Settembre – Tempo di “Cotognata”

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cotognata

Ma la cosa più singolare e stupefacente, quella più in sintonia con la tradizione locale, era la preparazione della cotognata, uno strano ma eccezionale prodotto a metà strada fra la marmellata e la caramella. Perché va tenuto presente che un tempo la nostra Bassa era un territorio ricco di piantagioni di mele cotogne, la Cydonia vulgaris, una pianta arborea originaria dell’Asia, che aveva ben attecchito nell’Italia del Sud ma anche nella bassa pianura emiliana.

Il melo cotogno (ma esiste anche il pero cotogno) era coltivato per i suoi frutti pro­fumati, commestibili solamente se cotti o tra­sformati in marmellata. Fra l’altro, l’albero del melo cotogno era molto utile per gli innesti con le varietà più delicate del pero e del melo.

Ma cos’era la cotognata, una leccornia oggi assolu­tamente introvabile? In primo luogo va detto che questa specie di marmellata solida era l’or­goglio della casata dei Pico e, dato che la coto­gnata non era facilmente reperibile in altre città d’Italia, veniva portata in tavola dai Signori della Mirandola nelle grandi occasioni solenni, soprattutto quando c’erano degli ospiti di grande importanza.

Già nel Cinquecento e soprattutto nel Seicento, il periodo d’oro dei Pico, la cotognata era il leggendario biglietto da visita dell’arte culinaria mirandolese. Questa cotognata si otteneva facendo bollire a lungo le mele cotogne ben tagliate a pezzi, anche per­ché queste mele possono raggiungere anche un peso superiore al chilogrammo.

Ma, dap­prima, le fette andavano messe a bagno nel­l’acqua resa acidula da alcune fette di limone, poi scolate e messe in un tegame con mezzo bicchiere d’acqua e il succo di un limone con relativa scorza. Poi la bollitura, assieme ad alcune altre mele comuni, per lungo tempo. Infine il tutto veniva passato al setaccio e di nuovo cotto assieme allo zucchero, avendo cura che fosse spesso mescolato e schiumato.

In definitiva, il prodotto doveva essere cotto fino a diventare consistente. Poi veniva steso su un tavolo di marmo e spolverizzato con un po’ di zucchero a velo: lo spessore doveva essere ridotto a circa un centimetro e mezzo e infine la cotognata veniva tagliata in piccoli quadretti, molto simili alle antiche caramelle di pomo (un buon rimedio contro la tosse) e con­servate in scatole di ceramica, ben asciutte e chiuse.

Il loro arrivo in tavola, a conclusione dei lunghi pranzi del buon tempo antico, era vera­mente un trionfo. E i Pico erano giustamente fieri di questo loro mitico orgoglio gastrono­mico.

Oggi la cotognata dei Pico, troppo labo­riosa, non si produce più, ma chi scrive queste note conosce una signora di Mirandola che ancora riesce a produrla come ai tempi fastosi di Alessandro II Pico. E, d’altra parte, sono anche praticamente sparite le coltivazioni di mele cotogne che un tempo erano il prestigio della terra della Bassa.

L’unico meleto cotogno di cui conosciamo resistenza sopravvive nei dintorni di Cavezzo; il titolare di questo impianto ricorda che il periodo migliore per la raccolta dei grossi e profumati frutti è la prima settimana di settembre.

Giuseppe Morselli

Tratto da “La cucina mirandolese” di Giuseppe Morselli – Edizioni CDL

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