Fine agosto – L’è ora ad “spanuciàr”

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Il dialetto è mantovano, essendo l’autore di Poggio Rusco

Al furmantón

(il mais)

La semina avveniva in primavera e quando la pianticella arrivava all’altezza del ginocchio, bisognava togliere le erbe con la zappa, dando terra alle radici, sarchiare. Quando la pannocchia era prossima alla maturazione, cun al sghét o la fórbas da vidi as taiàva li sìmi che servivano per dare un boccone alle mucche.

Era un lavoro fatto sempre contro voglia: la polvere, il polline delle spighe, la pula si impastavano con il sudore, a gneva na spira da gratar via la pel.

A fine agosto si cominciava a spanuciàr: dalla pianta ormai rinsecchita si staccavano li panóci (le pannocchie), si mettevano nel cesto che una volta pieno si rovesciava nel carretto cun li gradi che a sera si trascinava a casa con la cavalla e si rovesciava sull’aia. Dopo cena si incominciava a dascartusàr, togliere cioè il cartoccio lasciando a nudo la pannocchia. Tutta la famiglia partecipava e spesso anche i vicini che poi venivano contraccambiati (as fava sérla); si lavorava, si parlava, si scherzava, si rideva e, se c’era la luna piena la gente poteva guardarsi in faccia: al filò era completo.

I scartòs più sottili e più morbidi venivano utilizzati per riempire al paión, cioè al materàs: quando ti giravi nel letto si faceva un gran rumore.

In disparte uno, cun la gratusa piano piano, stando ben attento a non grattarsi le dita, incominciava a sgranare le pannocchie. Non si buttava via al gustón, l’andava ben a tacar al fòch in la stua.

Una raccomandazione: prima di coricarsi era meglio lavarsi per non grattarsi tutta la notte.

Tratto da: Giochi, lavori, ricordi di un tempo

Autore: Ado Lazzarini

Anno: 2017

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