Remo Rinaldi – La lavorazione del pane

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La preparazione del pane era quasi un rito, seguiva regole famigliari immutabili, che si ripetevano ogni settimana.

Non­na Aldegarda toglieva dall’armadio delle stoviglie un panetto di pasta di pane, segnato da una croce, lasciata inacidire e seccare. La frantumava a piccolissimi pezzi con l’aiuto di un coltello, la lasciava in ammollo in un po’ d’acqua tiepida. Veniva quindi mescolata alla pasta di acqua, farina e poco sale nella grande madia della cucina. La lavorazione della pasta era lunga, fatta a forza di braccia.

Quando nella madia era diventata un ammasso abbastanza omogeneo, si toglieva e si poneva sul ripiano della gramola. L’operazione della gra­molatura era abbastanza faticosa, perché si preferiva lavorare un impasto duro, per ottenere un pane gustoso e mangiabile anche dopo parecchi giorni dalla cottura. Una donna alzava e abbassava ritmicamente la barra che pressava l’impasto, mentre un’altra lo girava e rigirava, lo ripiegava su se stesso. Raggiunto il punto giusto di lavorazione, l’impasto era posa­to sul tavolo, tagliato a pezzi che, con le mani, erano ridotti a lunghi bastoni grossolani i quali, a loro volta, erano divisi a pezzi più o meno uguali, ciascuno dei quali, opportuna­mente lavorato, accoppiato e pressato a un altro, formavano la ciòpa, posata immediatamente su una lunga asse a lievita­re.

Raggiunto il punto giusto di lievitazione, conosciuto dal suono ottenuto battendo le nocche delle dita sul fondo della ciòpa, si passava a infornare nel forno già riscaldato a punti­no. La cottura durava a lungo, era lenta, quindi non superfi­ciale. Quando si sfornava, la fragranza del pane si insinuava e si spandeva nell’aria di tutta la zona.

Per noi bambini, la zia Ida faceva un cestino di pasta, con dentro una mela: un cestino di pane croccante con la mela cotta: una squisitezza.

Il pane era una cosa sacra. Càta su cal pan, dicevano severi gli adulti quando ci cascava un pezzo di pane. Guai a posare sul tavolo il pane capovolto, arrivavano certi scapaccioni!

Tratto da: Via Montanari e Dintorni – Ricordi di un mirandolese invecchiato in esilio.

Autore : Remo Rinaldi

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