Omaggio a Tugnon – Come è nata la maschera “Tugnon”

Commenti (0) Racconti

1983 Le maschere di Tugnon e Mirandola

1983-le-maschere-di-Tugnon-e-Mirandolina

L’atto di nascita della tradizionale Fiera di Settem­bre è forse il documento più significativo dei rapporti che intercorrevano in quel periodo tra il Duca Cesare d’Este, che da sedici anni aveva portato la capitale da Ferrara a Modena e San Felice. Il documento datato 28 luglio 1614 dice tra l’altro: «… concedere di poter fare una fiera nel principio del mese di Settembre per tre giorni, exenti da ogni dacio et essendocene contentati come qui sotto, n’ordiniamo con questa nostra ch’ogni anno facciate pubblicare, a suo tempo la detta fiera … Et inviglierete che le cose passino con quiete. State sano ». Il tutto indirizzato al « dilecto nostro » Podestà di San Felice.

Nella fantasia popolare ha preso sempre più corpo l’immagine del contadino « scarpa grossa, cervello fino » che teneva i legami col duca e con i comandanti della guarnigione. Quello che poi sarebbe stato « al fattòr » che curava gli interessi del padrone senza rovinare i sud­diti, che forniva le primizie della generosa terra e cer­cava di ricavarne il pane quotidiano per i familiari e che informava con astuzia facendo eventualmente il finto tonto. Un buon mangiatore, miglior bevitore ma soprat­tutto un parlatore dal linguaggio colorito, schietto e ge­nuino come i prodotti della sua terra.

Un contadino, insomma, che « al “liga l’àsan in du a vùal al padròn “, un uomo saggio che ha « dò uréci da ascultàr e ’na boca da tasèr », un « puvrètt ma galantòm »… Il padrone, da parte sua, potrà invece obiettare che « a tgnòssar un vilàn – agh vùal un mès e un ann – quand po’ at l’ha gnusù – al t’ha bela futù! ».

Scherzi a parte, la gente di San Felice è tradizio­nalmente laboriosa ed ingegnosa. Quando dal lavoro dei campi, il sanfeliciano si è dato all’artigianato ha brillato subito per ingegno e capacità: proprio recentemente è venuta alla luce una pergamena nell’Archivio di Stato di Modena, nella quale il Duca Ercole I d’Este, il 10 Lu­glio 1500, si compiace di dare la cittadinanza onoraria ad un fabbro di San Felice, certo Francesco Ferrari, la cui fama è giunta fino a Ferrara.

I sanfeliciani tradizionalmente sono dei buontem­poni e ne è la riprova il « fattaccio » avvenuto 60 anni fa illustrato da una « sirudella » del tempo: « Quàtar tip da n’invidiàr – ch’in savìvan cusa far – i han pinsà un scherz da far – a Russètt al campanàr » e la storia in rima va avanti descrivendo come i quattro salissero di nascosto sul campanile per legare il battàglio della campana più grossa con un lunghissimo spago, tanto lungo da poter suonare anche al di là della staccionata della ferrovia.

« Al campanàr, sgnor Russètt – che da poch l’ira andà a lett – a sintir sta cunfusiòn – salta fora dal paiòn » « Al dis Bitàs, con na’ vòz ciàra – a gh’è sicur mulà Panara – da la Gilda brontla Muscòn – « a gh’è i tedesch a Malcantòn! » – Al fa Benea al sgnor Pivant – « i han ditt che in cisa è scapa un sant » – So’ anca mi, al fa Domizi – quest l’e al giòran dal Giudizi! » – Il psìvan dir, fa la Lu­cia – chi han spustà l’Ave Maria! – Infìn sconvolta la fa la Lisa – « a sona mezdì e a son in camisa! » – Quand dopo poch nisùn l’aspeta – a riva al marescial in bidcleta »; e qui comincia la descrizione della salita al campanile con la minacciosa ingiunzione (rivoltella alla mano) « vieni giù, mascalzone! » e la conseguente scoperta dello scherzo « un gran ridar fa la gent – mentr’intant taca i comment – su sta cosa ch’ivan fatt – senza dubi un branch ad matt » e l’anonimo estensore della « sirudella » finisce dicendo che la storia non è inventata « ma sa cardii ch’il sian tutt bal – al dmandâ po’ al marescial! ».

Mi scuso della divagazione, ma il « fattaccio » meri­tava davvero lo spazio anche perchè, come ho detto, serve a sottolineare ancora di più il particolare senso dell’umo­rismo della gente di San Felice che non ha esitato, anche se in ritardo, a dare vita alla « sua » maschera.

Dato corpo al personaggio non ci fu perplessità nell’assegnargli il nome: Tugnon. Da Antonio, nome comu­nissimo per il culto che si deve al Santo « protettore de­gli animali ». Un giovanetto o un uomo di minute pro­porzioni assumeva il nome di Tugnìn, di mezza età o di media statura Tugnet, anziano e saggio (corredato anche di pancetta) Tugnon.

La figura era nell’aria, era il personaggio chiave di storielle, era la pietra di paragone fra « il bel tempo che fu » ed i giorni nei quali si viveva con l’amara riflessione del saggio nonno Tugnòn: « Che temp! i fan scarnìr al sànguv » (Che tempi! fanno rabbrividire).

Ma ci volle la compagnia di prosa locale degli anni trenta a rispolverare un vecchio copione del Tugnòn che va in città dal padrone e gli porta fra l’altro un cesto di mele con il seguente storico dialogo: « Ma Tugnòn non c’era bisogno! », « Oh, sgnor padron, an n’importa! tant i pom st’àn a i dém sol a i porch! ».

Trovato l’interprete ideale nel giovanissimo capoco­mico Mario Bozzoli, fummo in tre a tenere a battesimo il personaggio: Mons. Pietro Paltrinieri, arciprete e gior­nalista, Franco Barbieri allora universitario ed ora me­dico anestesista e direttore sanitario del locale ospedale ed il sottoscritto.

Da anni fiere e sagre della Bassa si avvalgono del discorso ufficiale di Tugnòn, improntato sempre alla più viva attualità ed alle vicende locali.

Il giovane capocomico ha ora « alcune » primavere in più sulle spalle e di conseguenza sta meglio nei panni della maschera. Il Cav. Mario Bozzoli, orefice e Presidente dell’ultracentenaria locale Società Operaia, orafo ed ec­celso incisore, interpreta con tanta bravura il personaggio che ormai ne porta il nome. Non sentirete mai chiamarlo cavaliere! Ed in paese si aspetta con ansia il suo discorso dove « dice tutto, e di bene e di male » ma con battute così esilaranti che spesso vengono ricordate e tramandate.

Curando da anni insieme i testi dei monologhi e dei discorsi, abbiamo pensato di dare vita anche al calendario di Tugnòn e così il 1972 ha visto il primo « Lunari ad Tugnòn » dove in ogni mese si riferiscono proverbi e modi di dire, consigli agricoli, amene riflessioni su fatti e vicende.

Sarà bene allora approfondire ed interpretare il modo di dire « issia, fussia, magari – tri caiòn ch’a stampava i lunàri ». Cercherà di farlo anche per un centinaio di altri modi di dire, proverbi e filastrocche Tugnòn, maschera di S. Felice sul Panaro, al secolo il cav. Mario Bozzoli.

Riccardo Pellati

Tratto da: San Felice sul Panaro – La sua storia il suo dialetto.

Autori: Elena Zavatta – Mario Bozzoli -Riccardo Pellati

A cura della Banca Popolare di San Felice sul Panaro

Anno 1978

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *