Mirandola negli anni 50 – Conflittualità nelle fabbriche – Alla vigilia di una nuova svolta

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L'immagine della cartolina è stata gentilmente concessa da Roberto Neri

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Conflittualità nelle fabbriche

In generale, al contrario, i primi anni Cinquanta sono per l’industria modenese un periodo di forte contrapposizione. Lotte aspre e difficili, smobilitazione delle grandi fabbriche, licenziamenti in massa, offensiva contro le commissioni interne ed i consigli di gestione sono all’ordine del giorno. Alcuni episodi assumono un rilievo nazionale, come le vertenza alla Fiat o l’eccidio del 9 gennaio 1950, quando la polizia di Scelba spara sugli scioperanti delle Fonderie Riunite, uccidendo sei operai. Anche a Mirandola, dove le aziende di grandi dimensioni si contano sulle dita di una mano e dove il clima nelle piccole imprese appare, come detto, piuttosto “familiare”, non mancano contrapposizioni frontali, come la vertenza alla ditta Barbi, le astensioni dal lavoro allo Zuccherificio e nelle fabbriche del settore metallurgico ed edile, le lotte della Cgil per i miglioramenti contrattuali al salumificio Montorsi nel 1955 e, soprattutto, la dura vertenza sindacale del 1959 alla Fonderia Ghisa, che si conclude dopo ben 57 giorni di sciopero.

Di questi episodi resta traccia anche nei giornali di fabbrica che nascono proprio in quegli anni, come strumenti di propaganda di massa delle sinistre, che avrebbero dovuto unire in una “rete” le maestranze di fabbriche e aziende agricole della provincia, superando i limiti dei vecchi mezzi quali le assemblee, le riunioni e i giornali di tipo tradizionale, politici e sindacali. Ecco allora che dall’Archivio provinciale della Cgil (confluito oggi nei fondi dell’Istituto Storico di Modena) spun­tano diversi numeri di periodici ciclostilati che hanno avuto vita effimera ma che hanno contribuito a formare la “classe operaia” mirandolese. I primi, in ordine cronologico, sono “Il fonditore della Fonderia Focherini-Molinari”, il cui primo numero risale al 30 marzo 1952 e che prosegue le pubbli­cazioni fino al 1956, e “Lo zuccheriero”, foglio interno delle maestranze dello Zuccherificio (1952-56). Vi sono poi “Il lume”, giornale a circolazione interna del sindacato dipendenti pubblici aderenti alla Cgil di Mirandola (1954-56), “Noi carrozzieri della Barbi” (1955-56), “La ciminiera del Salumificio Montorsi” (primo numero nel marzo-aprile 1955) e “L’incudine della Dondi” (1955). Il 22 settembre 1954 i giornali si uniscono costituendo una «Redazione comunale di fabbrica, onde facilitare il lavoro contemporaneo delle fabbriche assieme». A scrivere su questi periodici sono delegati sindacali ma anche gli stessi operai. Come si legge nel primo numero de “Il fonditore”.

«Il nostro Giornale ha bisogno di udire la voce di tutti i lavoratori della sua Fabbrica; speriamo nella collaborazione di tutti per la vita e lo sviluppo del nostro Giornale […] Non occorre essere un maestro o un professore, occorre solo e bensì mettere un po’ di volontà per l’interesse della collettività, per la soluzione dei problemi giornalieri. Bisogna scrivere come si parla, le vostre discussioni che fate nella mensa e sul lavoro, il consiglio che date, il pensiero che esprimete tutto sarà sufficiente».

Nei periodici a circolazione interna vengono promosse iniziative politiche, come l’invito a sotto­scrivere l’appello di Vienna per la pace o l’opposizione alla cosiddetta “legge truffa”, e di solidarietà sindacale, come l’appoggio alle maestranze della Fiat Grandi Motori e Oci di Modena, impegnate nel 1955 in una dura vertenza. Non mancano anche i temi strettamente locali, come la difesa delle commissioni interne, la solidarietà alle maestranze della Barbi, del biscottificio Goldoni e della Se­gheria Pineschi, impegnate in vertenze con la proprietà. Anche il confronto sindacale con la Cisl ed i suoi rappresentanti, le disparità salariali tra uomini e donne, il problema del lavoro dei giovani nelle fabbriche trovano spazio su queste pagine, come pure le condizioni di lavoro degli operai. Come scrive Otello Molinari su “Il Fonditore”,

«Nella nostra Fabbrica abbiamo fumo e polvere. Al reparto mole (dove lavoro anch’io) tale inconveniente è più grave. Di 10 mole (grosse e piccole) 7 sono ancora senza aspiratori, e oltre alla polvere ambientale, vi è quella della ghisa, che lavoriamo e che con il vento della velocità della mola, noi dobbiamo respirare, il che significa disturbi agli organi respiratori a carattere continuo.

Facciamo appello al Sig. Direttore affinché prenda a cuore questa importante necessità».

Non mancano, sui giornali di fabbrica mirandolesi, gli annunci pubblicitari, realizzati a mano libe­ra con un effetto decisamente naìf, [oreficeria-orologeria Chicchi, Mantovani gomma, l’ombrellaio Enzo Tricotti, la ditta Ennio Pellacani e figlio, i rivenditori-riparatori di bici Luigi Borellini e Aldo Spaggiari, il concessionario di moto Fratelli Barbieri, il negozio di elettrodomestici di Leopoldo Mussini, il negozio di frutta e verdura di Cazzuola Dorina. Ogni settore merceologico dà un contributo alla causa degli operai delle fabbriche, promuovendo prodotti che, evidentemente, risultano ora alla loro portata e vicini al loro gusto: scarpe da tennis, Lambrette 125, bombole Domogas per le cucine economiche, vendute anche a rate e senza anticipi, apparecchi radio delle marche Marelli, Siemens, Telefunken e Vega.

Alla vigilia di una nuova svolta

Anche da questi segnali si intravede che Mirandola sta per conoscere, seppure in ritardo rispetto ad altre realtà della provincia, il suo “boom” economico, [accresciuta richiesta di abitazioni e di capannoni artigianali ed industriali, con il correlato fenomeno di spopolamento delle campagne e di inurbamento, impone all’ente locale nuove risposte ai bisogni della popolazione. Da un lato cominciano a sorgere quartieri di edilizia residenziale, pubblica e privata, nelle periferie dell’abitato; dall’altro vengono avviate lottizzazioni artigianali, che, come visto, consentono di trasferire labora­tori e officine dal centro storico, di sviluppare industrie esistenti e di dare impulso a nuove iniziative imprenditoriali.

A partire dal 1963 (anno del primo piano particolareggiato all’ex Prevostura) comincia anche un’evoluzione nella pianificazione urbanistica. L’Amministrazione comunale compra, in due tempi, 214 mila metri quadrati di terreno sulla Statale 12 a nord dell’abitato, nei pressi del Cimitero, [inve­stimento pubblico per l’acquisto e le opere di urbanizzazione (fogne, strade, acqua, elettricità) è no­tevole: 138 milioni di lire. Le aree di questo primo “Villaggio organico per l’industria e l’artigianato” vengono quindi vendute dal Comune a 400/600 lire al metro quadrato, con possibilità di pagamento rateizzato. Nel 1970 nell’area saranno insediate 18 aziende con 470 dipendenti.

Come osserva l’architetto Davide Calanca, autore di un’approfondita ricerca sulle trasformazioni  urbane ed urbanistiche di Mirandola nei 150 anni dell’Unità d’Italia, all’inizio di questo processo si tratta di «semplici zonizzazioni circondate da essenziali opere di urbanizzazione primaria; succes­sivamente diventano riempimenti di vuoti urbani lasciati da una espansione non sempre controllata nel periodo del boom economico, ed infine ripensamenti di spazi urbani storici o industriali dismes­si o lasciati in disuso per anni.                                                                                                        Anche grazie a questa dinamicità, il forte spopolamento registrato tra il 1951 e il 1961 non si replicherà nel decennio successivo, quando i residenti continueranno a calare, ma in misura deci­samente più contenuta. Comincia negli stessi anni anche il fenomeno dell’immigrazione dal sud (più tardi affiancata da quella dai Paesi stranieri), che rappresenta una linfa vitale per le aziende del territorio ma anche un’opportunità di riscatto per la gente del Meridione, che vede nel frattempo accentuarsi il divario dei loro paesi con quelli del Nord Italia.                                

La Mirandola degli anni Sessanta è insomma molto diversa da quella dell’immediato dopoguer­ra. La città ha cominciato a gettare le basi del suo sviluppo industriale, grazie alla qualità della ma­nodopera, alla voglia di molti ex operai di “fare impresa” e ad una ramificata rete di servizi comunali a supporto delle famiglie e dell’infanzia, che favorisce l’inserimento lavorativo delle donne nel mon­do del lavoro. Non manca anche l’intervento diretto nell’economia dell’Amministrazione comunale, che nel giro di una decina d’anni mette a disposizione aree per un milione di metri quadrati, come dichiarerà soddisfatto il sindaco Gherardi.                 Ciò che ancora nessuno può immaginare, all’epoca, è l’esatta direzione che questo sviluppo prenderà. Accanto all’industria meccanica, all’alimentare ed al terziario, che hanno ormai relegato in secondo piano l’agricoltura, sta per affiancarsi una novità. È il 1962. Un farmacista, nel suo garage, sta provando a percorrere nuove strade. Ma qui comincia un’altra storia.

Fabio Montella

Tratto da: Un secolo di imprese – 100 Anni di attività economica a Mirandola attraverso i documenti.

Edito da: Comune di Mirandola e Centro Studi Numismatici e Filatelici di Mirandola.

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