Mirandola negli anni 50 – La meccanica: da operai a imprenditori.

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L'immagine della cartolina è stata gentilmente concessa da Roberto Neri

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La meccanica: da operai a imprenditori

Ma è soprattutto il settore metalmeccanico a conoscere la maggiore dinamicità: da 492 addetti e 93 aziende nel 1951 si passa a 758 addetti e 110 ditte nel 1 961.

È difficile dar conto delle tante officine meccaniche, dei laboratori di carpenteria e falegnameria, delle modellerie e fonderie sorte a cavallo degli anni Cinquanta-Sessanta a Mirandola. A soccorrerci in questa “impresa” (certamente incompleta) è una pubblicazione realizzata alla fine del decennio, che descrive alcune delle eccellenze della provincia.

Nel 1953 nasce in via Valli a Quarantoli la carpenteria metallica leggera di Carlo Chiarotti per la produzione di scale mobili in legno e, dal 1963, quando la ditta si trasferisce in via Punta, per la produzione di serramenti e scale mobili in metallo.

Nel 1955 prende il via l’avventura imprenditoriale di Cima (oggi azienda leader nei sistemi di gestione del contante), quando Giuseppe Razzaboni fonda una piccola ditta che si specializza nella produzione di vetrine, serrande ed infissi in alluminio.

Nel 1956 tocca ad Isio Levratti avviare un’azienda di tappezzeria, tendaggi e mobili che nel giro di breve tempo si amplia in un nuovo labo­ratorio nella zona di espansione di via Statale Sud. Allo stesso anno risale la nascita dell’officina meccanica di Licinio Meschieri, che si specializza nella realizzazione di pezzi di ricambio per macchi­ne agricole e nella tornitura di parti di ascensori, bruciatori, fornelli e cucine a gas.

A metà del decennio prende il via la storia imprenditoriale, tuttora in corso, della ditta di rimorchi Chierici. I primi modelli sono costruiti per essere trainati dai cavalli, solo in seguito la ditta si specializza in rimorchi per veicoli a motore.

Risale al 1957 la Vetreria Fratelli Paltrinieri, che comincia a produrre in un settore del tutto nuovo per Mirandola e quindi ricco di opportunità. L’azienda, tuttora esistente in viale Gramsci, viene am­pliata nel 1963 con la realizzazione di un nuovo capannone, dotato di moderni macchinari. Sempre nel 1957 Carlo Tadei e Francesco Bonfatti danno vita in via Fanti ad un’officina meccanica che dieci anni dopo si trasferisce in un grande capannone in via Statale Nord, producendo martinetti idraulici e squadre per la lavorazione della testata delle Fiat 125 e 128.

Nel 1958 Giovanni Berni apre in viale Gramsci 75 una modelleria artigiana che realizza prodotti in legno e metallo ed attrezzature per fonderie. Nello stesso anno viene anche costruita la fonderia metalli di Antonio Guandalini, specializ­zata in fusioni in ghisa e pompe a cilindri, ed il nuovo stabilimento della Fonderia Scacchetti, che si sposta in via Curiel.

Nel 1959 nasce la Falegnameria Artigiana di Razzaboni e Vincenzi, che rilevano la ditta Belluzzi di via Circonvallazione e che nel 1966 costruiscono un nuovo capannone in via Gobetti.

Alla fine degli anni Cinquanta L’Oman di Alfo Negrelli termina la produzione di trattori, dopo la realizzazione di una cinquantina di esemplari, ed inizia a lavorare per conto terzi, sempre nel settore delle macchine agricole (elettropompe, impianti idrici, motopompe).

Nel 1961 Angelo Dalcò trasferisce la sua attività di costruzione di linee elettriche e telefoniche da via Marsala a una nuova sede più ampia, in via Leopardi, dove trovano posto gli uffici direzionali e il laboratorio (mentre a Mantova si trovano il magazzino e un’officina per la costruzione di mensole e lavori di carpenteria).

Nel 1962 Gianfranco Bergamini apre in via Fanti 22 le Officine Meccaniche, costruendo un’innovativa macchina snervatrice per trattare la latta. Lo stabilimento viene trasferito nel 1967 in un impianto più grande, in viale Italia, per la realizzazione di rettificatrici idrauliche per superici piane e macchine snervatrici automatiche per fascette di latta, brevettate ed esportate in tutto il mondo.

Sempre nel 1962 i fratelli Fulvio e Ilvano Golinelli danno vita in via Marsala 18 ad un’azienda artigianale specializzata in costruzioni meccaniche per fonderia e carpenteria in genere e nella lavorazione di lamiere e profilati a freddo. La rapida espansione dell’azienda porta, nel 1967, all’edificazione di una sede più ampia con attrezzatura d’avanguardia.

Ancora nel 1962: Silvano Marazzi fonda un’officina per la lavorazione meccanica di tornitura e alesatura; Silvio Braghiroli, già socio della Fonderia S.I.M., rileva la proprietà di quest’ultima ampliandola ed ammodernandola; Enzo Varianini apre un piccolo laboratorio di maglieria che verrà presto ampliato fino a diventare uno dei più importanti della zona.

Nel 1963 Libero Bellini e Novello Romagnoli aprono un’officina meccanica di attrezzature e stampi che un anno dopo comincia a lavorare per la Fiat Trattori. Nello stesso anno apre in via Montello il laboratorio di falegnameria di Amedeo Baraldi (che un anno dopo costruisce uno stabilimento più moderno ed attrezzato, specializzandosi nella costruzione di serramenti) e prende il via la storia della Mantovanibenne di Alberto Mantovani, che non tarda ad imporsi anche su importanti mercati esteri. Sempre nel 1963 viene fondata la Smam di Aldo Arbizzi. Nata come smalteria, la fabbrica sviluppa in breve la produzione di mobili componibili per cucina in acciaio porcellanato, venduti sul mercato italiano ed estero, arrivando ad impiegare, alla fine degli anni Sessanta, 135 dipendenti.

In molti casi a dar vita alle nuove industrie sono ex operai di ditte locali, che decidono di rischiare mettendosi in proprio. Baraldi aveva acquisito esperienza presso la Cooperativa Falegnami di Mirandola; Guandalini e Scacchetti avevano lavorato alla Fonderia Focherini; Marazzi alla fabbrica di macchine agricole Dondi; Tadei e Bonfatti da Barbi; Razzaboni e Vincenzi presso la ditta Belluzzi, da loro rilevata; Meschieri prima alla ditta Rinaldi di Mirandola poi alla Borghi di Modena.

A volte l’esperienza era avvenuta “in famiglia”. I fratelli Golinelli avevano appreso il mestiere nell’officina di carpenteria metallica dello zio, Miotto in quella dei nonni, Mantovani aveva assunto in giovane età le redini dell’azienda di famiglia alla prematura morte del padre; anche Giuseppe Paltrinieri aveva lavorato presso lo zio, titolare di una ditta di lavori di falegnameria.

Altre volte i neo imprenditori si sono fatti le ossa in aziende di grandi centri industriali, ritornando a casa dopo alcuni anni per fare impresa. Bellini si era formato alle Officine Meccaniche Mattioli di Modena; Romagnoli aveva lavorato alla Fim, sempre di Modena; Arbizzi alla fabbrica di cucine Angelo Po di Carpi, come operaio meccanico; Berni alla ditta Lambertini di Bologna; Bergamini alla Fiat Trat­tori, come operatore di macchine utensili. Forse anche per la natura e l’origine dell’imprenditoria locale, i rapporti di lavoro, all’interno delle industrie mirandolesi, non conoscono (tranne qualche eccezione) gli eccessi di conflittualità che si verificano altrove in provincia. I datori di lavoro erano considerati i «proprietari» e non i «padroni», come sintetizza oggi Riccardo Morselli, negli anni Cinquanta fuochista alla Montorsi. «Con loro si poteva parlare, confrontarsi, capivano la situazione e i nostri problemi». Ma anche altri, stando alle testimonianze, appaiono i motivi di una minore ten­sione rispetto ad altre zone della provincia. Da un lato il sindacato locale, come riconosce nel 1950 il segretario della Camera Confederale del Lavoro di Mirandola, Giuseppe Trebbi, è visto dagli operai «come l’organo che indice riunioni, a volte che le “impone” […] Questo indica che non è ancora bene concepita l’organizzazione di classe [e] le lotte [nelle fabbriche] poggiano solo su alcuni elementi e non su l’opera cosciente di tutti i lavoratori i quali, da ultime esperienze, danno serie garanzie». Infine, vi è un atteggiamento relativamente “morbido” e dialogante del comandante dei carabinieri di Mirandola e di due marescialli (uno dei quali era stato partigiano), che cercano la collaborazione di Comune e sindacato per attenuare i toni dello scontro. Come rivela il predecessore di Trebbi alla guida della Camera del Lavoro di Mirandola, Nando Gavioli, in quegli anni di «dure lotte politiche e sindacali» i tre militi «avevano scelto di comportarsi con senso di responsabilità e di realismo, rifuggendo dall’assumere atteggiamenti e provvedimenti che non avrebbero avuto altro risultato che quello di rendere più aspre e meno controllabili le cose. Particolarmente durante la vertenza per l’applicazione del “lodo De Gasperi” nella mezzadria, e gli “scioperi a rovescio” per l’imponibile di mano d’opera, il loro atteggiamento era spesso servito a rendere possibile accordi e soluzioni che, altrove stentavano maggiormente a venire avanti. Il giorno dopo l’attentato a Togliatti, la protesta per il vile e provocatorio gesto, minacciò di divenire incontrollabile. Il capitano dei carabinieri chiese a Gelmini e a me di adoperarci per evitare fatti irreparabili».

Fabio Montella

Tratto da: Un secolo di imprese – 100 Anni di attività economica a Mirandola attraverso i documenti.

Edito da: Comune di Mirandola e Centro Studi Numismatici e Filatelici di Mirandola.

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