Il segreto di Ulisse – 7°e 8°capitolo

Commenti (0) Il segreto di Ulisse

Capitolo 7

Allora, ragazzi, fatemi concentrare, perché la faccenda è piuttosto complicata… Cercherò di essere sintetico e schematico per renderla più comprensibile.

«Innanzitutto, vi ricordate un po’ la storia del viaggio di Ulisse raccontata da Omero nell’ Odissea? Sì? Bene. Tenete presente che tra le molteplici tappe del viaggio a noi interessa quella all’isola Eea, presso Circe. L’episodio è noto: la maga, con un sortilegio, trasforma in maiali gran parte dei compagni di Ulisse; questi, dopo aver ricevuto in dono da Ermete un antidoto alle pozioni magiche, si reca al palazzo, soggioga Circe, riesce a imporle di riportare a forma umana gli sventurati amici e ne diviene l’amante. A un certo punto poi Ulisse ripartirà per nuove enture… Questo è il primo punto della mia teoria. «Secondo punto: varie leggende narrano di una divinità ­italica, Picus o Pico, che amava teneramente la moglie Canente, una ninfa,(1) ma che ebbe la sfortuna di attrarre troppo l’attenzione della solita maga Circe, capite cosa intendo… Siccome quella aveva un pessimo carattere, per la rabbia di essere stata rifiutata lo trasfomò in un uccello, un picchio, in particolare. Tutto chiaro fin qui?»

Al bisbiglio affermativo dei due amici, Brando continuò, nel buio più assoluto della stanza di ospedale, l’esposizione della sua teoria, ancora piuttosto nebulosa.

«Terzo punto, e qui viene il bello: l’anno scorso, come ricorderete, la mia classe è andata in gita in Grecia. Ci fermammo anche a Ithàki, l’antica Itaca, e mentre tutti gli altri facevano il bagno o perdevano tempo attorno alle bancarelle di souvenir, il sottoscritto, gironzolando un po’ per i fatti suoi, scoprì un minuscolo museo, oltre­tutto a ingresso gratuito. Come avrei potuto resistere? Entrai e dopo una breve occhiata non trovai niente di interessante, tranne uno stranissimo vaso, inserito in una nicchia oscura.

«La didascalia esplicativa, mi ricordo, diceva esatta­mente: “Probabile rhyton (recipiente ove si versavano le libagioni in vino per gli dei) di autore ignoto e data­zione incerta (900-750 a.C.?), recante figure stilizzate: una donna cinge il collo di un uomo con una catena che indossa un medaglione, mentre sullo sfondo un essere metà uomo e per metà uccello protende le ali verso la figura maschile che riceve il dono”.

«Non avevo mai visto niente di simile! Altro che fi­gure stilizzate! La scena aveva una forza e un’incisività da far venire la pelle d’oca e la didascalia era nata pro­babilmente dalla scarsa fantasia del custode del museo!

«Lo trovai infatti che dormiva riverso su una scrivania ingombra di cartoncini scritti per metà e di bottigliette di ouzo(2) ormai vuote! Ci vollero varie scrollate e dieci euro per svegliarlo, avere il permesso di fotografare il vaso e cavargli di bocca indicazioni confuse su dove avrei potuto trovare informazioni più dettagliate sugli oggetti esposti nel museo. Riuscii a capire solo “biblioteca”. Mi ci recai immediatamente.

«Dopo una scrupolosa ricerca constatai che il materia­le a disposizione era incredibilmente scarso e frammentario. Le notizie sostanziali si riassumevano in breve: lo strano vaso era stato rinvenuto sull’isola verso la fine del 1800 da un pastore. Il luogo di ritrovamento era la Grotta delle Ninfe, dove la leggenda narra che Ulisse nascose gli splendidi tesori donatigli dai Feaci.

«L’autore della nota, un archeologo da quattro soldi, ipotizzava che il reperto raffigurasse Circe e Ulisse stes­so, mentre non sapeva dare indicazioni di nessun genere né sullo strano essere che completava la raffigurazione né sulla datazione del vaso. A un tale tipo ignoto di resa grafica non era possibile infatti collegare alcun periodo storico.

«Per dirla più semplicemente, in pratica quello era un esemplare unico e, a quanto sembrava, anche mi­sconosciuto o sottovalutato dagli specialisti! Vi rendete conto dell’importanza di questa cosa? Non so proprio come ho fatto a dimenticarmene per un anno intero: mi è tornato in mente solo ora!»

Martina, avvinta dal racconto di Brando, non aveva più sonno e fu la prima a rispondere, anche se la doman­da dell’amico era più che altro retorica e non richiede­va necessariamente una replica: «Picchio, è fantastico, forse hai portato alla luce un reperto archeologico per la seconda volta in poco più di un secolo! Sarebbe in­teressante fare in modo che gli specialisti o le autorità competenti se ne occupassero con il dovuto interesse. Ma sinceramente non vedo il nesso con i primi due punti della tua teoria, anzi, qual è la conclusione della tua teoria? Perché tutte le teorie devono averne una, giusto?».

«Martina, tu quoque,(3) mi deludi così? Marcello, ve­diamo se stavolta, per puro caso, hai più acume di lei. Cosa ne pensi?»

«Penso che finora ci hai fatto venire qui nel cuore della notte per raccontarci due favole e il resoconto di una gita scolastica, ecco cosa penso! Non dovevamo fare gli Hardy boys, non dovevamo trascorrere un’estate avventurosa e all’insegna dell’investigazione?»

 1) Canente: figlia di Vinilia e Giano bifronte, ninfa famosa per l’abilità nel canto

2) Ouzo: bevanda alcolica greca a base di anice, consumata in abbondanza come aperitivo, diluita con acqua.

(3) Tu quoque, latino = proprio tu. Furono le parole che Cesare rivolse a Bruto, suo figlio adottivo, che stava per pugnalarlo.

Capitolo 8

«Ma insomma, proprio non volete capire ciò che a me appare ormai piuttosto evidente! Ulisse incontrò Picus durante il suo soggiorno presso Circe e fu testimone della punizione inflittagli dalla maga: la raffigurazione sul vaso ne è la prova!»

«Be’, e allora?» bisbigliò Marcello, per niente impressionato dalla rivelazione.

«Ossignore, sei proprio duro di comprendonio, peggio di quanto potessi immaginare! Prova a fare uno sforzo sovrumano e a pensare cosa questo può voler dire e quali collegamenti possono esistere tra una figura mitica a nome Picus e il nostro illustre compaesano di alcuni secoli fa, Pico della Mirandola! Se non arrivi neanche a questo sei sicuramente senza speranza!»

«Accidenti, Picchio, vorresti dire che c’è un legame tra quella leggenda e la nostra piccola città e il suo illu­stre personaggio dalla memoria prodigiosa?» intervenne la ragazza dopo un lungo silenzio.

«Oh, Martina, vedo con piacere che il tuo cervello non è atrofizzato come quello di Marcello! Certo, sono convinto di quel legame e voglio scoprirne di più. Mi incuriosiscono anche il ruolo di Ulisse nella vicenda e quel medaglione che compare nel disegno sul vaso: vorrei proprio sapere cos’era e che fine ha fatto. E sono anche convinto di essere sulla pista giusta. Non vi ho raccontato cosa mi è successo prima che l’automobile mi investisse, ma penso che c’entri qualcosa…»

Brando raccontò dunque agli amici esterrefatti l’esa­me del pozzo, l’apparizione del picchio nel cortile della scuola e le impressioni che ne aveva tratto, nonché la sensazione di essere stato subito dopo investito da una macchina priva di conducente.

«Ma tu devi essere completamente matto! Oppure chissà cosa ti fumi di nascosto per ridurti così!» sbottò Marcello.

«Guarda che io non fumo proprio niente: lo sai che sono assolutamente contrario alla droga e a qualsiasi altra cosa che interferisca con il normale funzionamento del mio cervello.»

«Però davvero potrebbero essere segni» intervenne Martina, «il picchio che hai visto sembrava che volesse lanciarti un messaggio del tipo “continua su questa stra­da”, no, anzi, hai detto che scuoteva il capo come per dire no, quindi tutto il contrario, voleva farti desistere, forse. Anche l’auto senza conducente poteva avere l’intenzione di farti desistere. Sì, potrebbe essere proprio così.»

La risposta di Marcello fu alquanto irruenta: «Potreb­be, potrebbe. Ma dico, siete impazziti tutti e due? Un uccello e un autista fantasma! Avete guardato troppi film, ve lo dico io! E tu, Picchio, avrai preso troppo sole nel cortile della scuola e chissà cosa hai creduto di vedere. E poi cosa c’entra il pozzo?».

«Sul pozzo cercavo elementi decorativi che potesse­ro collegare Pico con il Picchio o con Ulisse o con un particolare qualsiasi dell’intreccio di vicende, ma tutti i bassorilievi sono stati scalpellati via.

«Inoltre, caro Marcello, c’era anche Oreste quando è arrivato l’uccello e si è posato sul pozzo: puoi sempre chiedere a lui, se non mi credi!»

«Sì, buono quello come testimone oculare: è peggio di una Ferrari, consuma un litro di Lambnisco(1) per ogni metro quadro di portico che deve spazzare!»

«Insomma, o mi credi o non mi credi, vedi tu, nes­suno ti obbliga. Volevate sapere cosa mi passava per la lesta e questo è quanto. Ho tutta l’intenzione di passare l’estate investigando un po’ qua e là, tra la Grecia e Italia: se volete venire con me e darmi una mano a icoprire il mistero, bene, sennò ci vado da solo, che, anzi, forse sarebbe meglio!»

«Io vengo con te, genitori permettendo» sbottò Mar­tina, ormai convinta e affascinata da una situazione che, a suo parere, richiedeva senz’altro la presenza e l’intervento di una strega, viste le manifestazioni soprannatu­rali che si erano verificate.

«Boh, vedremo» rispose invece laconicamente Marcello.

« Va bene, ragazzi, ora andate a casa, che è quasi l’alba. Se vorrete, ne riparleremo quando mi faranno uscire di qui. Comunque grazie per essere venuti e per avermi ascoltato.»

Assai impermalito, Picchio, come un antico re, si era avvolto nel manto della sua dignità offesa e aveva as­sunto un tono del tutto indifferente e altezzoso.

Cosa importava se quel somaro dell’amico non gli credeva? Lui era convinto sia di quello che gli era accaduto sia della sua teoria e del mistero che essa racchiudeva. E, perdinci, avrebbe fatto di tutto per venirne a rapo, con o senza Marcello.

La notte volgeva al termine e già il cielo, a oriente, si ungeva di rosa. I ragazzi lasciarono la stanza in punta di piedi, salutando l’amico e ottenendo per tutta risposta solo un incomprensibile grugnito.

Anche l’ospedale iniziava a svegliarsi e dalla corsia risuonavano i primi rumori di non meglio identificate attività sanitarie quando Brando, spossato nel corpo e nello spirito, finalmente prese sonno.

                                 1) Lambrusco, tipico vino rosso della provincia di Modena.

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