Il segreto di Ulisse – 5°e 6° capitolo

Commenti (0) Il segreto di Ulisse

Capitolo 5

«Picchio, Picchio, mi senti? Ehi, svegliati, su, apri gli occhi» sussurrava Marcello con le treccine rasta tutte per aria, che parevano i serpenti sulla testa della Gorgone.(1)

«Brando, Branduccio, mi senti? Sono Martina. Su Branduccio, di’ qualcosa, ti prego!»

«Branduccio un corno! E, tutti e due, levatevi dalla mia faccia, che non riesco nemmeno a respirare! Anche tu mamma, per favore, smetti di piangere, che, come vedi, non sono ancora morto. A proposito, come sto, cosa mi è successo? Ho un mal di testa spaventoso.»

Il ragazzo si era svegliato con le facce degli amici, pie­ne di apprensione, chine sulla sua a bisbigliare paroline di incoraggiamento, mentre in sottofondo sentiva sua madre singhiozzare e suo padre cercare di rincuorarla.

Brando, sdraiato in un letto d’ospedale, era pallido co­me le lenzuola e aveva male dappertutto; vedeva un po’ annebbiato, ma tutto sommato era stato anche peggio,quando aveva avuto l’influenza e la febbre a quaranta l’inverno precedente.

«Oddio, non si ricorda niente: ha un trauma cranico!»

«Mamma, piantala, non ho nessun trauma cranico, almeno spero. Mi ricordo tutto: so chi siete, mi ricordo che ero a scuola a parlare con Oreste, mi ricordo del… Be’, a un certo punto correvo per strada poi mi sono svegliato qui. Ne deduco con poco sforzo d’ingegno che o sono stato investito da una macchina o sono caduto. Siccome ho l’abitudine di guardare bene dove metto i piedi, propendo per la prima ipotesi.»

«Sì, sei stato investito da una macchina e quel delin­quente non si è neanche fermato a soccorrerti. Ti ha trovato Oreste, che aveva sentito un gran botto, e ha chiamato l’ambulanza. Per fortuna quel pazzo, chiunque fosse, ti ha preso di striscio, ma sei volato sul marciapiede. Comunque i medici ti hanno fatto le lastre e dicono che incredibilmente non hai niente di rotto. Però vogliono tenerti in osservazione almeno fino a domani: non si sa mai, hai battuto la testa. Ma evidentemente è piuttosto dura, come da sempre sosteniamo io e tua madre!»

«Babbo, stai scherzando, non posso stare fermo qui fino a domani: ho tremila cose da fare e da pensare! E poi mi sento bene, a parte il mal di testa!»

Detto questo Brando fece l’atto di scendere dal letto ma, effettivamente, un violento capogiro e un improv­viso senso di nausea, oltre che le otto braccia dei pre­senti che lo bloccarono all’unisono, lo dissuasero dal fare l’eroe.

«Va bene, va bene, mi do per vinto. Prometto che me ne starò buono, sdraiato qui fino a quando i dottori non mi faranno uscire. Ora però andate tutti a casa, per favore, che mi mettete l’ansia, con quelle facce lunghe. Ah, mamma, più tardi potresti portarmi il mio computer portatile e anche il telefonino, per favore?»

«Non ci penso neanche, Ildebrando! I dottori hanno detto che devi stare tranquillo e a riposo e poi quegli aggeggi non si possono tenere in ospedale, lo sai benis­simo che interferiscono con non so che cosa qui dentro. E ora ciao, dormi un po’, torno più tardi.»

I genitori lo baciarono sulla guancia e uscirono dalla stanza, mentre Brando cercava disperatamente di attira­re l’attenzione di Martina e Marcello, anch’essi avviati  all’uscita. Finalmente i due se ne accorsero e tornarono  in punta di piedi verso il letto con un’espressione inter­rrogativa sul viso.

«Ragazzi, ascoltatemi bene: uno di voi due, meglio forse Martina, vada a casa mia tra un po’ e inventi una scusa per salire in camera mia, prendere il mio portatile, nasconderlo nello zaino e tornare qui. Non credo che di notte ci sia una gran sorveglianza in ospedale, non dovrebbe essere diffìcile entrare in reparto e infilarvi nella mia stanza senza che se ne accorgano dottori e infermiere. Mi raccomando, è importante. Vi aspetto più tardi, diciamo intorno a mezzanotte, ok?»

«Ai tuoi ordini, Picchio» rispose Marcello, cui faceva  sempre piacere far finta di essere il protagonista di un film d’azione. «Se proprio non ci vedi arrivare saprai che siamo missing in action.»(2)

«Dai, Marcello, non fare l’idiota come al solito, non ti ho mica scritturato per Missione Impossibile. Martina, mi fido di te, mi raccomando, è importante: vi devo ori parlare. E adesso andate, che ho sonno e mi sento un po’ stordito. Ciao.»

Con un moto brusco e una sonora sbuffata Brando si rigirò nell’angusto lettino, mentre gli amici gli facevano l’ultimo saluto e lo lasciavano solo, finalmente!

“Altro che stordito! Sono lucidissimo, a parte il mal di testa, e mi ricordo tutto perfettamente: il pozzo, il picchio e la macchina che ho visto all’ultimo minuto, arrivare a razzo da via Fulvia. E mi giocherei l’esame di maturità dell’anno prossimo che al volante non c’era nessuno. Eppure ho la sensazione che quell’auto mi­steriosa non volesse davvero ammazzarmi, ma solo farmi un po’ male… E’ assurdo, impensabile, illogico, incredibile, allucinante, ma è così! Io sono l’essere più razionale, logico, pragmatico che esista sulla faccia della terra; non sono superstizioso, non credo ai tarocchi, agli oroscopi e alle cabale, eppure mi stanno succedendo un sacco di cose strane, devo proprio ammetterlo! Meglio comunque non farne parola con nessuno: mi prende­rebbero per matto e mi terrebbero in osservazione non in ospedale, ma in un istituto psichiatrico, fino al giorno del Giudizio!”

Affranto da queste considerazioni, Brando quasi non si accorse dell’infermiera che era entrata nella stanza spingendo un cigolante carrello di metallo.

«Piccinini, ancora sveglio? Vediamo se ha la febbre, intanto.» Così dicendo, l’infermiera gli cacciò un ter­mometro digitale nell’orecchio, constatò l’assenza di alterazione della temperatura e, con espressione quasi delusa, brandì con fare bellicoso una siringa, neanche fosse stata Cassio(3) in procinto di dare una delle ventitré pugnalate mortali a Giulio Cesare.

«Ehi, ehi, che roba è quella? Io ho il terrore delle iniezioni! Qualsiasi cosa sia non mi può dare invece una pastiglia?»

«Quanta paura per una iniezione, Piccinini! È un tran­quillante, per farla riposare come un sasso tutta la notte: l’ha prescritto il dottore. Non c’è niente di meglio di una bella nottata di sonno per chi ha battuto la testa. Va bene, eccole in alternativa una pastiglia e un bicchiere d’acqua. Su, forza, ingoi.»

«Ma io sono calmissimo, riposatissimo, tranquillissmo e mi stavo proprio addormentando prima che entrasse lei con quel carretto rumoroso e traballante!» «Niente storie, mandi giù, avanti!» Brando fece la vista di arrendersi e finse di deglutire pastiglia e acqua. Visibilmente sollevata, l’infermiera si levò di torno in un battibaleno e il ragazzo non ebbe da fare altro che togliersi da sotto la lingua la pastiglia di sonnifero e buttarla nel cassetto del comodino. Ecco fatto. L’iniezione non avrei potuto evitarla, ma la pillola sì. Figurati se posso dormire tutta la notte con quel che ho per la testa!» Poco dopo ripassarono i suoi genitori, entrando in punta di piedi nella stanza. Per fortuna li aveva sentiti ar­ivare e fece finta di dormire. Confortati da quella vista e sollecitati dall’infermiera, i due si trattennero poco e andarono, scoccandogli un bacio leggero sulla fronte.

“E anche questa è andata! Adesso speriamo che Mar­a riesca a fare quello che le ho detto e che Marcello non rovini tutto come al solito…”

(1) Gorgone: Medusa, mostro alato con serpenti al posto dei capelli e dallo sguardo che tramutava in pietra. Fu uccisa da Perseo.

(2)Missing in action: inglese, solitamente abbreviato in mia significa “di- soeiso in combattimento

(3) Cassio: assieme a Bruto e ad altri congiurati repubblicani, pugnalò Caio Giulio Cesare nel 44 a.C.

Capitolo 6

Nonostante le elucubrazioni, le risposte da trovare, le soluzioni da escogitare e i piani da predisporre, Brando si era appisolato, distrutto dall’incidente, dalle emozioni e dalla precedente notte insonne.

A un certo punto si destò di soprassalto, sembrandogli di sentire dei bisbigli nella stanza.

«Picchio, siamo noi» sussurrarono nel buio Martina e Marcello, «scusa per il ritardo. Non ci crederai: fuori c’è una nebbia che si taglia con il coltello; è scesa all’im­provviso e non si vede a un palmo dal naso: sembra di essere in novembre. Comunque, a parte le considerazioni metereologiche, a casa tua è andato tutto liscio. Martina è un’attrice fantastica e tua madre non ha avuto alcun sospetto. Qui fuori invece abbiamo dovuto aspettare per ore che quel cerbero dell’infermiera si addormentasse. Finalmente è crollata sulla rivista che stava leggendo, ma prima aveva preso trecento caffè e ce n’è voluto!»

«Ok, ora ci siete. Cerchiamo di non fare troppo ru­more, che se quella si sveglia sono guai. Martina, dammi per favore il portatile e tu, Marcello, attacca la spina, perché la batteria, se non mi ricordo male, deve essere quasi scarica. Per l’amor del cielo, sei scemo, Marcel­lo? Spegni quella luce, accidenti! Vuoi farci scoprire proprio adesso?»

«Calma, Picchio, non vedevo dov’era la presa di cor­rente. Ecco, adesso l’ho trovata. Ma, scusa un attimo, mi sfugge qualcosa. Mi sto divertendo un sacco, dico la verità, per quest’avventura notturna, ma ci vuoi spiegare perchè ci hai fatto venire qui con il tuo computer nel cuore della notte come se fossimo dei congiurati? Non è che la botta in testa ti ha fatto uscire di senno del tutto? Martina mi ha raccontato del suo giro di carte, ma anche lei non e che sia proprio il massimo della normalità quando si fa prendere dall’idea di essere una sorta di strega reincarnata. Insomma, non ci sto capendo niente.»

«Come al solito, ma va bene così. Ora vi mostrerò il risultato di una ricerca che ho fatto e vi spiegherò cosa mi passa per la testa. Vi ricordate gli Hardy boys?»(1)

Martina se ne stava seduta al buio in silenzio e lascia-va parlare i due ragazzi: a dire il vero avrebbe pagato non so quanto per essere nel suo letto a dormire Ma da ventiquattro ore dava la caccia a Brando per capire cosa bollisse in pentola e ora non avrebbe certo rinunciato alle spiegazioni solo per un po’ di sonno. La domanda di Picchio sui fratelli Hardy, però, l’aveva un po’ spiazzata.

«Vuoi dire i fratelli investigatori, protagonisti di quei romanzi per ragazzi, tanto in voga anni fa? Sì, me li ricordo: mi sono sempre piaciuti un sacco quei libri e anche adesso, quando ne trovo qualcuno in circolazione, lo leggo volentieri. Che avventure! Scusa, però, cosa c’entrano i fratelli Hardy?»

«Era solo per introdurre l’atmosfera, per farvi capire come noi tre passeremo l’estate. Sì, lo so, mi piace fare il misterioso, ma adesso vi spiego. Un attimo che trovo il file(2) che ho creato ieri notte…»

Brando armeggiò un po’ con la tastiera, in maniera sempre più concitata. Passavano i minuti, le cartelle di archiviazione dei documenti venivano controllate a una a una, il ragazzo sudava freddo e… il file non c’era più.

«Oddio, ragazzi, il documento è scomparso!» quasi urlò Picchio completamente fuori di sé.

Martina bisbigliò: «Avrai dimenticato di salvarlo: sei stato sveglio tutta la notte a cercare chissà che cosa e alla fine ti sarà sembrato di averlo salvato, invece no. Hai fatto talmente tardi che non sei neanche arrivato sul sagrato in tempo per il nostro appuntamento e durante la mattinata ti ho intravisto nel corridoio più stralunato che mai. Oppure il computer ha qualche problema».

«Assolutamente impossibile: questo portatile è l’ulti­mo ritrovato della tecnologia informatica; è fantastico e, tra l’altro, mi è costato l’intero guadagno del lavoro in biblioteca dell’estate scorsa. E per quanto stanco io possa essere, non sono tanto stupido da scordare di salvare un file, oltre al fatto che questo gioiellino è programmato per farlo da sé, se proprio uno si dovesse dimenticare.»

«Sarà come dici» intervenne sarcastico Marcello, «ma resta il fatto che il file non c’è!»

«Va be’, ritroverò quel materiale in seguito, anche se mi costerà un’altra notte insonne. Comunque posso dar­vi spiegazioni lo stesso, tanto la documentazione serviva solo a suffragare la teoria che ho in mente, affinché non pensaste, come al solito, che sono matto! Ora ascolta­temi con la massima attenzione e per favore cercate di non addormentarvi, che con questo buio non me ne accorgerei neanche e parlerei per niente!»

Le parole che seguirono avrebbero tenuto sveglia an­che una persona assalita da uno sciame di mosche tze-tze!

(1) Hardy boys: fratelli protagonisti di una famosa serie di romanzi di avventura per ragazzi scritti da Franklin W.Dixson, pseudonimo di Edward L.Stratemeyer (1862-1930)

(2) File: inglese, termine che indica un documento o un archivio di documenti contenuti nella memoria del computer.

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