Il segreto di Ulisse – 17°e 18° capitolo

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Capitolo 17

Le ore passarono veloci e i ragazzi cominciavano a essere stanchi e avviliti per gli scarsi risultati della loro ricerca.

Non era saltato fuori niente di particolare, tranne le solite notizie note e arcinote sulle peripezie di Ulisse, che non riusciva a tornare in patria per colpa dell’ira del dio del mare, Nettuno, e dell’idiozia dei suoi compagni di viaggio.

Solo un particolare aveva suscitato l’interesse di Brando, che continuava a rimuginarci sopra, ed era la faccenda della famosa profezia di Tiresia sull’ultimo viaggio di Ulisse.

Nell’ Odissea, infatti, l’ombra dell’indovino, incontrata nell’Ade(1),profetizza che Ulisse, dopo essere ritornato a Itaca e aver sgominato i Proci, dovrà ripartire per un ultimo viaggio senza nave.

Egli dovrà recare sulla spalla un remo e dovrà viaggiare a piedi fino a giungere in un paese dove le genti non conoscono i remi, né il sale, non conoscono il cibo condito con il sale, non conoscono il mare.(2)Quando un viandante scambierà il remo per un ventilabro,(3) allora l’eroe dovrà sacrificare a Nettuno, la cui ira sarà placata, e gli sarà finalmente concessa dagli dei una serena fine in patria in età avanzata.
1) Ade\ regno dei morti.

E se il paese dove le genti non conoscevano il mare fosse stato… Ciò significava che Ulisse sarebbe giunto fin lì e…

E perché mai l’eroe greco avrebbe dovuto cercare quei lidi così lontani, popolati da gente sconosciuta, che per di più non sapeva distinguere un remo da un ventilabro? C’era da impazzire!

Brando era immerso in queste elucubrazioni quando la voce di Elèni lo riportò improvvisamente alla realtà.

«Sapete, ragazzi, mi è venuta in mente una cosa carina: qui sull’isola c’è un vecchietto forse un po’ matto che da sempre sostiene di essere il discendente di un amico di infanzia di Ulisse e racconta un sacco di storie. E’ vero che non sono per niente suffragate dagli studi seri compiuti sull’ Odissea, però, per dare un po’ di colore alla vostra ricerca, magari vi potrebbe interessare farci due chiacchiere. Se volete, vi spiego dove trovarlo… Si chiama Callidoro.»

Brando saltò letteralmente sulla sedia con i capelli dritti. Quel nome… lo stesso che compariva sul bassorilievo! Finalmente il campanello suonava a più non posso nella testa del ragazzo! Ecco forse il collegamento, la tessera mancante, l’anello della catena!

Anche Marcello e Martina erano sbiancati in volto dopo il discorso di Elèni, ma avevano cercato di rimanere impassibili e di non dare a vedere l’emozione che li aveva presi. Un’occhiata severa di Picchio li convinse a chiudere la bocca rimasta aperta per la sorpresa e a stare zitti.

«Sì, hai ragione, Elèni. Qui ormai abbiamo già raccolto tutto il materiale che ci serviva e due chiacchiere con il vecchio strambo potrebbero essere interessanti. Che mestiere hai detto che fa, o faceva, lo scultore?»

«Non l’ho detto, ma comunque, nonostante l’età, fa tuttora il vasaio: vedrai quali piccoli capolavori escono dalle sue mani. Quando lo troverete, ditegli che vi mando io: l’hanno preso tanto in giro per le storie che racconta che non vuole più parlarne con nessuno. Ma per me ha un debole e vi riceverà sicuramente. Ah, non dovete preoccuparvi per la lingua, perché parla benissimo l’italiano.»

Seguirono le dettagliate istruzioni fornite dalla ragazza per trovare l’abitazione di Callidoro, che era isolata, fuori città e non facile da trovare

1) Ade: regno dei morti

2) Odissea, XI, 161-183.

3) Ventilabro: antico attrezzo agricolo, molto simile a un remo, usato per arieggiare il grano e separarlo dalla pula.

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Capitolo 18

La casetta, piccola e imbiancata a calce, si ergeva solitaria sul cocuzzolo di una collina gialla e riarsa, dalla quale lo sguardo poteva spaziare sul mare, che pareva una tavola d’argento nella luce radente del tramonto.

Tutto intorno all’abitazione olivi centenari protendevano i loro rami contorti verso il cielo rossastro, come in una silenziosa invocazione.

I tre ragazzi arrivarono trafelati su per la salita e videro in lontananza una figura assisa e immobile sotto un lussureggiante e ombroso fico, lo sguardo perso nell’orizzonte.

Si avvicinarono in rispettoso silenzio, fino a quando il vecchio, che si era accorto di loro, fece l’atto di alzarsi precipitosamente e di correre a chiudersi in casa.

«Andatevene» li apostrofò con veemenza in italiano, «non voglio vedere nessuno, non voglio parlare con nessuno!»

Brando fu lesto a ribattere con il tono più gentile che gli riuscì di trovare: «Signore, la prego, aspetti. Ci manda Elèni, siamo studenti italiani, abbiamo bisogno di parlare con lei. È molto importante. Per favore».

«Lo so che siete italiani, si vede lontano un miglio: sennò perché vi avrei rivolto la parola in italiano, secondo te? Come sta Elèni? è un pezzo che non viene a trovarmi, quella dea Atena sotto mentite spoglie! Perché vi ha mandato da me?»

Così dicendo, il vecchio aveva perso all’improvviso il fare aggressivo di poco prima e, senza attendere risposta, era sparito in casa per un attimo, ritornando con alcuni sgabelli, verso i quali fece un ruvido cenno con la mano, come a dire ai ragazzi di sedersi.

Con poche cerimonie scomparve ancora una volta nella fresca ombra della casa e stavolta ne tornò con una caraffa di tè freddo e un piatto di fichi maturi e polposi.

«Mangiate su, che mi sembrate tre uccellini d’inverno, magri e affamati. La fatica che avete fatto per arrivare fin qui merita una ricompensa.»

A Martina e Marcello non parve vero di potersi sedere all’ombra e ristorarsi un po’, ma Brando ricominciò subito a parlare.

«Grazie, signore, per la sua gentilezza. Elèni sta bene, l’abbiamo conosciuta in biblioteca e le manda i suoi saluti. Ci ha indirizzati qui perché stiamo facendo una ricerca scolastica su Ulisse: secondo lei avremmo potuto arricchire il nostro lavoro scambiando due chiacchiere niente meno che con, ehm… il discendente di un amico di infanzia del mitico eroe greco.»

«Proprio così, ragazzo» rispose il vecchio sghignazzando allegramente, «anche se non ci crede nessuno. Ma chiamatemi Callidoro e datemi del tu, che potrei essere vostro nonno. Cosa volete sapere di preciso?»

«Be’» rispose Picchio, passando velocemente a un tono più colloquiale, «tutto quello che ci puoi dire sul tuo antenato e sui suoi legami con Ulisse. E poi c’è anche un’altra cosa che vorrei chiederti, ma questa può aspettare.»

Brando finalmente si versò un bicchiere di tè freddo e rimase in rispettosa attesa, camuffando l’ansia che lo attanagliava con una calma solo apparente, tradita dal tremito delle mani che maneggiavano caraffa e bicchiere facendoli tintinnare.

«Quanto sto per dirvi, che ci crediate o no viene tramandato da secoli nella mia famiglia, di padre in figlio, come il mestiere che facciamo, i vasai. Ora sono rimasto l’ultimo e non ho eredi, la storia finirà con me, ma sono felice di raccontarvela. Chissà che cosi, in qualche modo, la tradizione possa continuare. Potrei anche insegnarvi a plasmare la creta, ma non credo abbiate il tempo e la voglia.

«Comunque, il mio antenato si chiamava come me , Callìdoros, e come me faceva il vasaio. Aveva la stessa età di Ulisse e i due crebbero insieme, fino a quando gli dei decretarono destini diversi per i due amici.

«Le vicende di Ulisse sono ben note, mentre Callidoros non fece niente di speciale tranne continuare la tradizione di famiglia, creare e decorare vasi di una perfezione famosa in tutta l’Ellade.

«Dopo tanti anni, però, le strade dei due si incrociarono nuovamente. Ulisse era da poco tornato a Itaca, aveva sgominato i Proci e ripreso il suo posto accanto a Penelope, quando una sera andò a cercare il suo vecchio amico vasaio e gli fece una strana richiesta. …

«Creare un vaso con su raffigurato se stesso, Circe e un certo Picus, trasformato in uccello, e c’era anche di mezzo uno strano medaglione» completò la frase Brando, ormai in preda alla più incontrollabile frenesia. «Come fai a saperlo, ragazzino?» sbottò Callidoro visibilmente sconvolto, «questi particolari non li ho mai raccontati a nessuno, nemmeno a Eleni!»

«Per adesso diciamo che ci sono arrivato seguendo una certa pista e trovando disseminati alcuni indizi che ho saputo ben interpretare» rispose Brando con la sua solita modestia. «Ma vai avanti, Callidoro, ti prego. Il vaso creato dal tuo antenato era quello che è sparito dal museo, vero?»

«Ma cosa siete venuti a fare da me se sapete già tutto?»

«No, non so ancora tutto, mi mancava un collegamento, e ora credo proprio di averlo trovato, grazie a te.»

Finalmente Brando si zittì e Callidoro, leggermente stizzito, si alzò ed entrò in casa, uscendone poco dopo con il vaso famoso tra le mani e con una espressione beata di vittoria dipinta sul viso rugoso.

«Accidenti, ma lo hai rubato tu, allora?» esclamò Picchio sgranando gli occhi.

«No, ne ho solo fatto una copia. Ma lasciami finire la storia, se non ti dispiace. Allora, dicevo, Ulisse si presentò da Callìdoros quella notte raccontandogli quanto gli era accaduto presso la maga Circe: cioè che aveva ceduto alle sue lusinghe amorose con lo scopo di salvare i compagni trasformati in maiali, che invece Picus non aveva voluto fare altrettanto, amando profondamente la moglie, che egli, dopo essere stato trasformato in picchio, aveva supplicato Ulisse di cercare la moglie e il figlioletto e di narrare loro la sua triste sorte, affinché non pensassero che li aveva abbandonati.

«In quell’occasione la strega donò a Ulisse, come pegno d’amore, o come sosteneva lui, come triviale ricompensa, un medaglione d’oro. L’eroe non volle mai aprirlo, e ne ignorò per sempre il contenuto, nonostante Circe gli avesse assicurato che conteneva un dono ancora più prezioso dell’oro e l’avesse più volte sollecitato ad aprirlo.

«Dopo il racconto e la preghiera di creare un vaso che raffigurasse tutto ciò, Ulisse disse a Callìdoros che sarebbe partito per un ultimo viaggio, al fine di tenere fede alla promessa fatta a Picus e di trovare la moglie e il figlio. Dove fosse diretto non lo disse, ma Picus era italico e senz’altro la meta del viaggio fu quella. Ulisse non fece mai più ritorno in patria, o almeno non fino a che visse Callìdoros, e il mio antenato conservò gelosamente il vaso per anni, senza mostrarlo a nessuno e senza fare parola del colloquio avuto con l’amico.

«Sentendo avvicinarsi la morte, lo nascose nella Grotta delle Ninfe, dove fu poi rinvenuto alla fine del 1800. I suoi discendenti non lo videro mai, ma hanno sempre saputo che si trovava lì.

«Il segreto rimase ben custodito, fino a quando un povero pastore lo trovò ed ebbe così il suo breve momento di celebrità. Solo allora potei ammirare l’opera del mio antenato e ne feci una copia per me, visto che l’originale sarebbe finito al museo. E ora chissà chi l’ha preso…»

«Callidoro, amico mio, segreto per segreto, voglio confidarti una cosa. Abbiamo esplorato la Grotta delle Ninfe e ci sono successe cose strane: una marea anomala e un suono misterioso che pareva un canto angoscioso o un lamento. Mentre correvo in preda al panico, una sottile lastra di calcare ha ceduto sotto i miei piedi, sono caduto in un cunicolo e ho scoperto un’altra grotta sotterranea. Sulla parete c’è un bassorilievo che riproduce esattamente la raffigurazione del vaso. Penso che il tuo antenato abbia voluto riportare anche lì, in quel luogo nascosto, il segreto di Ulisse, nel caso il vaso dovesse andare perduto: il bassorilievo, infatti, reca la firma inequivocabile di Callìdoros. Se vuoi ti possiamo accompagnare a vederlo.»

«No, grazie, ormai sono troppo vecchio per queste esplorazioni. Ma sono felice che mi crediate e che la storia di famiglia sia finalmente dimostrata. Mi basta questo. Stai certo che non ne parlerò con nessuno, ma voi state attenti: da quello che mi hai raccontato su quegli strani fenomeni, mi viene da pensare che ci siano all’opera forze oscure. Ho l’impressione che qualcuno o qualcosa voglia aiutarvi e qualcun altro invece non voglia che scopriate la fine della storia. Non dimentichiamo che c’è di mezzo una maga potente.»

«Proprio così, Callidoro, l’ho pensato anch’io, anche perché in Italia, prima della nostra partenza, sono successe altre cose stranissime.»

E fu così che Brando raccontò al vecchio del picchio nel cortile del liceo, dello strano incidente con l’auto senza pilota, della sparizione del file dal computer, della strana vincita di quel biglietto per viaggiare gratis.

Il vecchio, sentendo tutte queste meraviglie, scosse lentamente il capo in cenno affermativo, lo sguardo fisso come a voler strappare per un attimo le cortine dei secoli e guardare oltre i misteri del tempo.

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