Il segreto di Ulisse – 13° e 14° capitolo

Commenti (0) Il segreto di Ulisse

Capitolo 13

Il vento gonfiava i capelli di Alice, protesa dalla balaustra del traghetto scalcinato, mentre un gabbiano curioso e ingordo compiva acrobazie per avvicinarsi alla sue mano tesa che reggeva un biscotto.

Marcello, come al solito, si era estraniato dal mondo con le cuffie inserite e la musica a tutto volume e Brando neanche a dirlo, aveva il naso infilato nella Lonely Planet dedicata alle isole greche e leggeva con avida curiosità.

Durante il viaggio i tre avevano dedicato poca attenzione al panorama marino, che si era rivelato piuttosto monotono. Ma ora la nave si stava avvicinando a Ithàki, il tramonto tingeva di rosso infuocato l’orizzonte a ovest e il riverbero accarezzava le costruzioni del piccolo por­to, donandogli un’atmosfera incantata.

Dopo frenetiche consultazioni di genitori, fervide raccomandazioni, severi ammonimenti e angosciose decisioni circa il contenuto degli zaini, i tre amici era­no finalmente partiti il 1° di luglio, con la benedizione di tutti i parenti.

Il viaggio era durato tre giorni, tanto avevano im­piegato per arrivare in treno a Brindisi, imbarcarsi sul traghetto per Igoumenitsa e Corfù e prenderne poi un altro per Ithàki.

Ora, finalmente, si accingevano a sbarcare e Brando, guida turistica alla mano, conduceva il gruppetto.

«Hella, Hella!(1) Avete preso tutti i bagagli? Sbrighia­moci a scendere: dobbiamo cercare una stanza per la notte e poi un ristorante decente ed economico, perché non so voi, ma io muoio di fame! Signora, permesso, permesso, mi scusi! Marcello, levati quelle cuffie una buona volta, che così non senti neanche quello che dico! Signora, le ho chiesto permesso, accidenti!»

«E proprio per questo che le tengo, Picchio!»

«Su, ragazzi, da bravi, non cominciate. Brando, hai idea di dove possiamo trovare da mangiare e da dormi­re?» aveva chiesto Martina, soffocando uno sbadiglio.

«So già tutto, non ti preoccupare: mi sono documentato alla Lonely e poi qui ci sono già stato l’anno scorso, non dimenticarlo. Ora scendiamo da questo catorcio, usciamo dal porto, giriamo subito a destra e poi a sinistra. In via Kallinikou, dove sta anche il museo, c’è una pensione decente, me la ricordo, e subito dopo una taverna che non dovrebbe essere niente male secondo la guida. Presto, presto, che altrimenti quest’orda di turisti ci frega tutte le stanze! Domattina, sveglia alle cinque: dobbiamo andare subito alla Grotta delle Ninfe e poi al museo archeologico, devo assolutamente esaminare quel vaso da vicino; poi magari facciamo un salto alla biblioteca, e poi…»

«E poi quando andrò a fare il servizio militare avrò già imparato la disciplina! Santo cielo, Picchio, ma non possiamo prendercela un po’ comoda? In fondo que­ste sono anche vacanze e abbiamo un sacco di tempo! Non possiamo andare un po’ in spiaggia e rimandare a dopodomani le escursioni e le visite culturali?»

«Marcello, te l’avevo detto prima di partire e te lo ripeto: questa non è una vacanza, questa è un’avventura,un’indagine, la ricerca di una risposta al mistero! Non c’è tempo per la spiaggia e altre bazzecole del genere. Se ti va bene, è così, altrimenti puoi dissociarti e fare quello che vuoi! Da solo, ovviamente!»

«Uh, come sei permaloso! Dicevo per dire, Picchio! Questo viaggio in traghetto mi ha stancato da matti e volevo solo riposare un po’.»

«Se il viaggio in traghetto ti ha stancato, pensa come deve essersela passata Ulisse, tutta la vita per mare!»

Sempre battibeccando i tre si avviarono lungo le stra­dine del porto di Itaca, pervase del profumo del mare e dei souvlakié(2)che arrostivano lentamente sugli spiedi.

Le macchine non avevano accesso a quel labirinto di case addossate le une alle altre e gli unici rumori erano quelli delle radio che trasmettevano sirtaki(3) e degli stre­piti dei negozianti che esaltavano le loro merci.

I ragazzi, come promesso da Brando, trovarono fa­cilmente una stanza con bagno a prezzo modico, una sola in tre per risparmiare, e una taverna dove sfamarsi abbondantemente senza alleggerire troppo il portafogli, perché la Mandragora Tours provvedeva solo agli spo­stamenti, non anche al vitto e all’alloggio.

Dopo il pasto e un caffè greco che fece rischiare a Martina di morire soffocata,(4) la stanchezza ebbe il so­pravvento e i tre dormirono sodo fino al trillo odioso della sveglia che Brando si era portato da casa.

(1) In greco moderno indica una esortazione a sbrigarsi, del tipo “dai, dai

(2) Spiedini di carne e verdure.

(3) Musica popolare danzabile.

(4) II caffè greco viene preparato versando acqua bollente sulla polvere finissima di caffè e va bevuto lentamente, dopo aver atteso un po’ di tempo, per fare in modo che la polvere si depositi sul fondo della tazzina.

Capitolo 14

Su, su, presto, alzatevi, pigroni, sono le cinque, il sole èsorto e io sono già pronto!»

Questa esclamazione valse a Brando una cuscinata in faccia da parte di Marcello, sconvolto e con le treccine tutte aggrovigliate, mentre Martina, rassegnata, metteva i piedi giù dal letto, ma aveva ancora gli occhi chiusi come un gattino appena nato.

Si prepararono comunque velocemente e dopo una sostanziosa colazione consumata in un caffè all’aperto nella strada ancora deserta, i tre si diressero al porto e contrattarono animatamente un passaggio in barca fino alla Grotta delle Ninfe.

«Adesso il mare comincia a piacermi!» esclamò Mar­cello agitando le braccia e ammirando la costa rocciosa a picco, la luce ancora tenue del sole e le onde blu zaffiro increspate di spuma bianca.

“Sta fermo, che si rovescia la barca. Bello, vero? Speriamo che questo losco figuro si ricordi di venirci a prendere tra due ore. Per sicurezza, meglio dargli solo la metà della cifra pattuita.”

Così dicendo, Brando contò la metà del compenso pagò e, gesticolando, ricordò all’uomo l’appuntamento per il ritorno. Infine i tre scesero goffamente dal caicco, che doveva avere l’età di Ulisse stesso, e si diressero verso la grotta, camminando quasi in punta di piedi sui ciottoli candidi della spiaggetta.

Appena varcata la soglia parve loro di trovarsi in fondo al mare: dopo un breve tratto pianeggiante, il suolo digradava dolcemente e la discesa terminava in un bacino di acqua cristallina.

Il riflesso della conca si moltiplicava al’infinito sulle pareti di bianco calcare, pervadendo l’intera grotta di una diffusa e danzante luce azzurrata.

La piscina naturale sembrava circondata da un tratto sassoso che si perdeva verso il fondo della grotta, nel buio più assoluto.

Marcello emise un piccolo sibilo, come se avesse trat­tenuto il respiro e ora lo stesse rilasciando lentamente tra i denti: «Caspita, che meraviglia, è davvero un posto magico! E questa luce azzurra, poi, che sembra essere inghiottita dall’oscurità, là in fondo… Non mi stupirei se vedessi apparire improvvisamente delle ninfe, magari in abiti succinti!».

«Sei sempre il solito, eh?» bisbigliò Brando all’amico.

Chissà perché, in quel silenzio profondo, rotto solo dal sussurro proveniente dall’esterno dello sciabordio delle onde, veniva spontaneo parlare a bassa voce, come in una chiesa.

«Martina, ti sei ricordata le pile, vero?»

«Sì, Picchio, eccole qui» rispose la ragazza, guardan­dosi intorno con aria incantata.

«Bene, allora prepariamoci, ragazzi» e così dicendo indossò sul capo una fascia elastica munita di faretto centrale, proprio come quelle usate dagli speleologi.

«Non ti sei portato anche un caschetto per protegge­re quella tua testa così preziosa?» ridacchiò Marcello accendendo una normalissima torcia.

«No, ma solo perché mio padre li aveva lasciati tutti in cantiere, spiritoso! Allora, vediamo di ricapitolare: questa è la Grotta delle Ninfe, o Marmarospilià, dove la leggenda vuole che Ulisse, al suo rientro in patria, na­scondesse i doni ricevuti dai Feaci, affidandoli appunto alle ninfe che abitavano questo luogo.

«Qui è stato scoperto il famoso vaso esposto al mu­seo, e questo non è un mito, ma non è stato rinvenuto assolutamente niente altro. A quanto ne so, non è mai stato intrapreso uno scavo ufficiale; qualche archeologo dilettante si è limitato a guardarsi un po’ in giro per ve­dere se, oltre quel vaso stranissimo, poteva saltar fuori qualcos’altro.

«Teniamo anche presente che questi itacensi sono convinti e orgogliosi di essere i discendenti dell’eroe omerico e che, pur sfruttandone il mito in tutti i modi possibili e immaginabili a scopo turistico e commer­ciale, tuttavia, secondo me, alla fine preferirebbero di gran lunga custodire in segreto un tesoro piuttosto che vederselo portare via per essere esposto al Museo Ar­cheologico Nazionale di Atene.

«Non dimentichiamo che questa è un’isola piccolis­sima, popolata da gente dalla mentalità un po’ chiusa, arcaica ed estremamente orgogliosa del proprio passato, vero o leggendario che sia.»

«Be’, dopo questa dissertazione psicologica, cosa pro­poni di fare? La grotta è piccola, non mi sembra che possa nascondere granché» disse Marcello facendo gi­rare un po’ intorno il fascio di luce della torcia.

«Sì, così sembrerebbe, ma guardiamo bene dapper­tutto.»

Brando iniziò a costeggiare lentamente la polla d’ac­qua di un blu profondo, facendo scricchiolare sotto i piedi la ghiaia fine che pareva d’argento. Marcello e Martina lo seguivano in fila indiana, senza parlare, completamente rapiti dalla magia del luogo.

Avevano iniziato da poco l’esplorazione quando, all’improvviso, i tre ragazzi percepirono sulla pelle uno spostamento d’aria, una folata di vento, dapprima lieve poi sempre più violenta.

«Cosa diavolo è?» esclamò Marcello stavolta quasi urlando per la sorpresa.

Li prese una subitanea sensazione di pericolo, un se­sto senso che fece loro accapponare la pelle sulle braccia e formicolare il cuoio capelluto, reazione atavica e in­spiegabile di quando l’uomo ancora non aveva imparato a camminare eretto.

Si voltarono all’unisono verso l’ingresso della grotta e constatarono con orrore che la spiaggetta all’esterno era scomparsa e che alte onde spinte da una corrente vorti­cosa lambivano ormai l’apertura dilagando all’interno.

«Oddio, qui si allaga tutto e muoriamo annegati come topi!» urlò Martina in preda al panico, «Picchio, Picchio che facciamo, non si può più uscire!»

«In effetti non la vedo bene questa faccenda. Abbia­mo un problema, un grosso problema, direi. Andiamo verso il fondo della grotta: non si vede niente, ma può darsi che il buio nasconda un cunicolo o un’altra apertu­ra collegata a questa dove l’acqua non possa arrivare. In fondo siamo in Grecia, questo è il Mar Ionio, mica l’O­ceano Pacifico, e il fenomeno cui stiamo assistendo non sarà di certo un uragano, accidenti! Andiamo, presto!»

Così dicendo Brando parve dimenticarsi all’improvviso della sua solita imperturbabilità e si avviò di corsa nell’o­scurità, appena rischiarata dalla luce delle torce, seguito a ruota dai due amici trafelati e spaventati oltre ogni dire.

«Ma lo sentite anche voi questo rumore o sto sognan­do?» esclamò Martina quasi senza voce.

«Sì, ma non riesco a capire cosa sia e da dove venga» rispose Marcello senza smettere neanche per un attimo di correre nella semioscurità.

Sulle pareti della grotta e nelle orecchie dei ragazzi risuonava infatti una sorta di gemito, di lamento, forse prodotto dal vento e dalla marea. O forse no.

Questa volta fu Brando a parlare: «Pare l’ululato delle anime in pena del Purgatorio, accipicchia. Mi fa venire i brividi. Ascoltate, ora è cambiato, sembra quasi un canto senza parole, una melodia. Ulisse ci parla, ragaz­zi, o forse sono le ninfe, arrabbiate per l’intr… Ahhh!».

La frase lasciata a metà e l’urlo agghiacciante di Bran­do bloccarono istantaneamente le gambe in corsa di Martina e Marcello. Cos’era successo? Dov’era finito il loro amico? Sembrava scomparso, letteralmente in­ghiottito dal buio.

«Picchio, Picchio, dài, non fare scherzi idioti! Dove sei?» urlò Marcello con malcelato panico nella voce.

Alle orecchie dei ragazzi giunse dapprima un flebile mugugno, che pareva provenire dalle viscere della terra, poi, finalmente, qualche parola comprensibile: «Attenti, non muovetevi, non fate un passo. Sono precipitato in un cunicolo, qualcosa ha ceduto sotto i piedi mentre correvo e sono sprofondato non so dove. Accidenti, ho male dappertutto e ho perso la pila. Vedete di recupe­rarmi, per favore».

A quelle parole Marcello e Martina puntarono le tor­ce davanti a loro e videro un buco nel terreno dal quale proveniva il rimbombo della voce di Picchio e nel quale il fascio di luce si perdeva nel buio più assoluto.

 

A questo punto, Marcello, forte di tutti i film di azione che aveva visto in vita sua, prese in mano la situazione: si guardò intorno, annuì tra sé e sé con aria solenne, prese dallo zaino una fune lunga e robusta e la fissò a una stalagmite, ne saggiò la resistenza e fece per calarsi nel pertugio.

«Ehi, dico, non vorrai lasciarmi qui da sola, vero?» esclamò Martina più stizzita che impaurita.

«Certo che no, donna di poca fede, ma solo se sei ca­pace di arrampicarti su una fune. Forse dovrò riportare su Picchio, se non è in grado di farlo da solo, e un sacco sulle spalle basta e avanza!»

«Sei sempre così galante!» gli rispose piccata la ragaz­za e, così dicendo, si assestò lo zaino sulle spalle, cacciò in bocca la torcia per avere libere le mani e si apprestò a scendere lungo la fune.

Pareva che il budello non avesse mai fine e Marcello, per un attimo, ebbe paura che la corda non bastasse per arrivare fino in fondo. Poi, finalmente, i piedi toccarono il solido terreno.

«Se non mi pesti, nel tuo impeto di salvataggio, è decisamente meglio! Ce ne hai messo di tempo ad arri­vare, cavolo. Fa’ un po’ di luce, che mi sembra di essere Pinocchio nella pancia della balena!»

«Magari hai le gambe e le braccia fratturate, ma la lingua no, vero?» rispose imbronciato Marcello, che si aspettava almeno un ringraziamento per la tempestiva azione di recupero.

«No, niente di rotto, ma tutto di ammaccato sicura­mente. Ora provo ad alzarmi in piedi e vediamo.»

Così dicendo Picchio si issò a fatica sulle gambe un po’ malferme e si appoggiò con le mani alla parete di roccia per stare in equilibrio. Si guardò intorno nella caverna sotterranea finalmente rischiarata da un pò di luce e prese a percorrerla procedendo lentamente e sorreggendosi sempre con le mani avendo rifiutato bruscamente l’aiuto offertogli da Martina.

Le pareti sfiorate dalla luce artificiale, sembravano dipinte di rosso e numerose stalattiti e stalagmiti scendevano dal soffitto e salivano dal pavimento dando l’impressione di trovarsi tra le fauci sanguigne di un enorme mostro. Il suono misterioso di poco prima, che si era fatto melodia struggente, si udiva anche lì, ma non incuteva più paura, anzi, aveva un effetto stranamente rilassante e quasi ipnotico sulle loro menti in subbuglio . «Che razza di posto è questo? Ma cosa ci succede? Questo deve essere il canto ammaliatore delle sirene, altro che ninfe! Picchio, di’ qualcosa, ti prego, illuminaci con la tua scienza prima che il sottoscritto cada addormentato in questo strano antro.”

“Tu piuttosto, asino che non sei altro concentra la luce su questa parete, e tu, Martina, fa’ altrettanto, per favore. Mi sembra che ci sia qualcosa di strano in ques in queste venature.”

Quando apparve più chiaramente ciò che le sue dita avevano sfiorato, Brando si sentì il cuore salire in gola.                                                     ‘

Non era possibile, non poteva credere ai propri occhi… …

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