Il segreto di Ulisse – 11° e 12° capitolo

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Capitolo 11

Il campanile del Duomo stava suonando il quarto rintocco e già da dieci minuti Brando passeggiava impaziente sotto i portici del Comune.

La piazza era quasi deserta a quell’ora e i pochi passanti facevano ben attenzione a camminare all’ombra dei vecchi platani. Era arrivata l’estate, all’improvviso come al solito, e come al solito la gente se ne stupiva, per la subitanea calura e per l’umidità che toglieva il respiro

Brando vide arrivare Martina dal fondo della piazza e, nell’aria tremolante del pomeriggio, gli parve quasi una visione mitologica, una divinità, l’essenza della fem­minilità, Afrodite, l’Aurora, Elena…

“È solo una ragazzina in bicicletta, diamine! Sono proprio uno scemo, non c’è che dire” si rimproverò il ragazzo e subito si ricompose e riassunse la solita aria indifferente e menefreghista.

«Ciao, Strega Martina.»

«Ciao, Picchio, scusa il ritardo, ma avevo le gomme della bici a terra e ho dovuto gonfiarle. Pensavo una cosa buffa, mentre pedalavo a razzo sotto i viali: certo che i mirandolesi hanno davvero poca fantasia. Almeno la metà degli esercizi commerciali e delle imprese si chiama “Pico qualcosa”! Possibile che sia l’unico perso­naggio illustre della storia della nostra città? Va be’, ho detto la mia baggianata quotidiana. Andiamo alla Pico Viaggi a sentire per questa storia del biglietto.»

Martina era appena smontata al volo dalla inseparabile bicicletta, un po’ trafelata e con alcune lievi ciocche ricciute di capelli rossi come il rame lievemente incol­late alla fronte sudata.

Picchio, in cuor suo, la trovava bellissima, ma non a­veva mai avuto il coraggio di farle neanche il più piccolo complimento. Semplicemente non ne era capace e in certi momenti avrebbe davvero desiderato avere la fac­cia tosta di Marcello: nessuna ragazza sapeva resistergli.

«No, Martina, ci sono molte altre figure di spicco nel passato di Mirandola, ma vedi, Pico, con il suo De hominis dignitate, viene unanimemente considerato il padre del Rinascimento italiano e…»

«Va be’, va be’, Picchio, ho capito, lascia stare, la mia era solo una battuta cretina. Che ne diresti di un gelato al Cortina prima di andare in agenzia? Muoio dal caldo: oggi è proprio uno di quei giorni in cui non sopporto il clima della Bassa e vorrei vivere in riva al mare!»

«Eh, non sarebbe male, davvero. Vada per il gelato, offro io.»

Martina guardò l’amico esterrefatta: Brando non ave­va mai sborsato un euro per nessuno, era un convinto assertore del “facciamo alla romana” e si atteneva scru­polosamente al suo principio! Che fosse il caldo, o forse la botta in testa?»

Il ragazzo finse di non vedere lo sguardo stupito dell’amica, si aggiustò gli occhiali sul naso con gesto meccanico e si avviò risolutamente verso la gelateria.

«Dai, Martina, sbrighiamoci, che sono curioso di sa­pere del biglietto. Chissà se esiste davvero. Ma vedrai che è solo lo scherzo di qualche buontempone.»

«Sai, Picchio, te lo devo dire, in un modo o nell’altro. Ho chiesto ai miei genitori se potevo venire con te in Grecia e in teoria non ci sarebbe alcun problema, in pratica, invece, non posso. Mi dispiace tanto…»

«Ma guarda che, se il problema sono io, posso venire dai tuoi a spiegare che devono stare tranquilli, che io ho il massimo rispetto di te e che sarebbe un viaggio culturale e che io ti proteggerei e che non mi sognerei mai di fare qualcosa che…»

«Frena, frena. Non hai capito, o meglio, non mi sono spiegata bene. Il problema non sei tu: i miei genitori si fidano di te, sanno che sei un bravo ragazzo e tutto il resto. Il fatto è che mia sorella in autunno dovrà andare negli Stati Uniti a frequentare un master della durata di due anni che costa un mare di soldi e tutta la famiglia sta facendo un po’ di sacrifici. Non posso venire in Grecia perché non posso spendere, ecco tutto.»

Martina era un po’ arrossita di imbarazzo nello spie­gare a Brando i motivi della sua impossibilità di seguir­lo in giro per la Grecia e il ragazzo, intimamente, si commosse per l’onestà e la confidenza che l’amica gli dimostrava.

«Capisco, Martina, succede in tutte le famiglie. Per­ché credi che ogni estate il sottoscritto, dopo un anno di duro studio, si trovi un lavoro? Però, se per caso ci fosse davvero ad attenderci un biglietto per quattro per­sone completamente gratis, i nostri problemi sarebbero risolti, non credi?»

«Magari! Sarebbe davvero un sogno, o forse un in­tervento soprannaturale… Ho quasi paura di andare in agenzia e scoprire che non era vero niente. Dài, toglia­moci questo dubbio alla svelta!»

Capitolo 12

Dopo aver mostrato all’impiegata dell’agenzia viaggi la e-mail ricevuta e aver fornito un minimo di spiegazioni verbali, Brando si aspettava che quella gli ridesse in faccia, invece: «Lei è il Signor Piccinini Ildebrando? Può mostrarmi un documento, per cortesia?».

Brando, ammutolito, rovistò nel portafogli, ne trasse la carta di identità e la esibì alla signora sussiegosa, che la prese e la fotocopiò senza battere ciglio e, soprattutto, senza sognarsi di svelare l’arcano relativo all’esistenza o meno del biglietto. Dopo l’operazione di fotocopiatura, rovistò per un tempo che parve eterno in uno scheda­rio metallico, ne trasse una cartellina rossa e ritrovò finalmente la favella: «Vuole cortesemente consegnarmi anche l’autorizzazione firmata dei genitori, visto che lei è minorenne?».

A questo punto Picchio si riebbe parzialmente dal momentaneo ottundimento cerebrale, guardò in silenzio Martina, che si era fatta pallida come un cencio, e se ne uscì alfine con una esclamazione liberatoria: «Ma allora vuol dire che il biglietto esiste davvero? Per quattro per­sone, per due mesi, per tutta l’Europa, per tutti i mezzi di trasporto, completamente gratis?».

«Come mai si agita tanto? Certo che il biglietto c’è! Perché, aveva dei dubbi? Noi siamo un’agenzia seria, cosa crede.»

«No, vede, non mi fraintenda, il fatto è che io sono sicuro di non aver mai partecipato a quel concorso e…».

Una gomitata nelle costole da parte di Martina lo dis­suase dal continuare il suo sproloquio.

«Non so cosa dirle. Qui c’è un biglietto con tutte le caratteristiche da lei elencate a nome di Piccinini Ilde­brando, che è lei. Chiaro, no? Se lo vuole, deve solo fornirmi l’autorizzazione scritta dei suoi genitori. Questo è tutto. Ce l’ha o non ce l’ha l’autorizzazione?»

«No, cioè sì, cioè al momento non l’ho portata con me, ma posso andare a casa a prenderla e portargliela nel giro di un quarto d’ora. Non c’è alcun problema, davvero, glielo garantisco. Ma vorrei solo chiederle una cosa: chi è la Mandragora Tours, cioè, lei la conosce, ha avuto altri rapporti in passato con questa agenzia, come le è stata comunicata la faccenda del concorso e del biglietto?»

«Le cose che mi sta chiedendo sono più di una. Co­munque, non conosco la Mandragora Tours, non ab­biamo avuto altri rapporti in passato, mi è stata inviata una comunicazione via fax con i suoi dati anagrafici e l’indicazione della tipologia del biglietto, nonché un bonifico bancario a titolo di rimborso dello stesso. Le basta?»

«Sì, sì, certo, anzi, grazie della sua squisita cortesia. Vorrei solo disturbarla per un’ultima cosa: potrei avere una copia del fax? Giusto per inviare due righe di rin­graziamento, non per altro. Gliene sarei infinitamente grato.»

L’impiegata, ammorbidita dalla gentilezza e dall’os­sequiosità di Brando, per la prima volta, finalmente ab­bozzò un sorriso.

«Sa che lei è un ragazzino davvero molto educato? Non se ne trovano molti in giro, oggigiorno. Un momento che prendo il fax e ne faccio una copia. Ecco a lei, e si ricordi di portarmi l’autorizzazione. Guardi, questo è il biglietto. Arrivederci.»

Il magico foglietto azzurrino venne sventolato sotto il naso di Brando e Martina, che non credevano ai propri occhi. Fu un’apparizione fugace, poi venne riposto nel­la cartellina rossa, e la cartellina chiusa a chiave nello schedario di metallo.

«Arrivederci, torno subito. Vedrà, non impiegherò più di un quarto d’ora.»

«Faccia con comodo, siamo aperti fino alle venti. Buon pomeriggio a tutti e due.»

Uscirono in strada, nel riverbero del sole che per un animo li accecò. Non riuscivano a spiccicare una parola, si guardavano con gli occhi sgranati per lo stupore e camminavano lentamente per la strada, che cominciava ad animarsi.

A una dignitosa distanza dall’ingresso dell’agenzia viaggi, finalmente la gioia proruppe in urla, balletti e abbracci concitati, che non mancarono di attirare l’at­tenzione curiosa e benevola dei passanti.

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