1943 – Gli antifascisti mirandolesi si organizzano.

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1946 Nino Lolli (al centro con l'impermeabile chiaro) con un gruppo di antifascisti. Si riconoscono Zorè Giliberti (secondo da sinistra), il futuro sindaco Oreste Gelmini (quinto da sinistra) e Tullio Paltrinieri (terzo da destra) comandante partigiano.

1946 gruppo antifascista

Dopo il crollo del fascismo Mirandola divenne sede di un Comando di Piazza tedesco (Platz Kommandantur). In città le truppe germaniche stabi­lirono depositi per indumenti con relativo personale, un reparto veterinario e la V Divisione da Montagna.

Per la sede della propria attività i tedeschi occuparono gli Alberghi “Aqui­la Nera” e “Commercio”, la Casa della Madre e del Fanciullo e, a San Giacomo Roncole, la villa della contessa Maria D’Arco Frassinesi, nota artista con il nome d’arte di “Fatima Miris”. Diverse furono anche le ditte requisite dall’ autorità germanica: l’autofficina “Frassoldati”, i panifici “Ascari Gervasio”, “Tellini Maria” e “Ferrari Giuseppe”, il biscottificio “Goldoni” e l’industria sa­lumi “Montorsi”. Per l’alloggio delle truppe vennero inoltre occupate, tra il 6 novembre 1944 e il 22 aprile 1945, camere, stalle, rimesse ed altri locali in 80 abitazioni private del centro e delle frazioni.

Considerevole era anche la presenza di soldati della Repubblica Sociale Italiana, organizzati nella Guardia Nazionale Repubblicana (Gnr) e nella Bri­gata Nera, utilizzati per lo più come forza di retrovia e con scopi e funzione di repressione antipartigiana. Diverse centinaia erano state a Mirandola le adesioni al Partito Fascista Repubblicano, nato nella nostra provincia il 26 set­tembre 1943. Nel Pfr non avevano tardato a mettersi in luce gli elementi più violenti, fautori del ritorno alle origini (cioè allo “squadrismo”) e filonazisti. La Guardia Nazionale Repubblicana si costituì invece in novembre, racco­gliendo quanto rimaneva della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, dei carabinieri e della polizia dell’Africa italiana, con compiti di ordine pub­blico. Anche in questo caso Mirandola, con la storica presenza di una delle due scuole per ufficiali e sottufficiali della provincia, ebbe una forte presenza fascista. Di ciò abbiamo anche una singolare testimonianza diretta di fonte al­leata. Al tenente inglese John Furman, in fuga dalla prigionia, la città apparve infatti nel 1943 come «una roccaforte fascista, forse un quartier generale del fascisti della provincia: c’erano qui più fascisti ogni cento metri quadrati di quanti ne avessi visti fino a quel momento per ogni chilometro quadrato»”.

Con l’acuirsi delle intimidazioni e delle repressioni, gli antifascisti miran-dolesi cominciarono ad intensificare i propri incontri, e in due riunioni svol­tesi nell osteria di Osvaldo Galavotti a Fossa di Concordia e presso la fornace di Quarantoli, decisero di costituire un Comitato civico per coordinare le iniziative individuali e dei piccoli gruppi. A quegli incontri parteciparono at­tivamente,  Remo Brunatti, Ottavio Caleffi, il dott. Vilmo Cappi, Diego Cappi, Loris Silvestri e il dott. Mario Merighi. L’an­ziano leader socialista, già direttore dell’Ospedale cittadino, era rimasto un punto di riferimento, non soltanto politico ma anche logistico, per i giovani oppositori al regime.

Nell’ottobre del 1943 nacque così il primo Comitato di Liberazione mi-randolese, del quale facevano parte Adolfo Pollastri per il Partito comunista, Alfo Soncini per il Partito socialista, Umberto Vanzini e, in seguito, Torquato Zagnoli per la Democrazia Cristiana, il prof. Renzo Pivetti e quindi il dott. Paolo Gambuzzi per il Partito d’Azione. Tullio Paltrinieri e Arturo Galavotti furono invece incaricati di organizzare i nuovi gruppi militari partigiani.

Grazie anche alla disponibilità di ufficiali dell’Esercito, che misero la loro esperienza a disposizione delle forze resistenziali locali, si costituirono i pri­mi Gap (Gruppi di Azione Patriottica) e le prime Sap (Squadre di Azione Pa­triottica), che nell’inverno del 1943 iniziarono a svolgere importanti azioni di disturbo e a consegnare frumento, formaggio e burro alla popolazione civile affamata. In cambio, quest’ultima fornì ai partigiani, come anche ai soldati sbandati dopo l’8 settembre, assistenza e luoghi sicuri dove rifugiarsi, espo­nendosi al rischio di rappresaglie.

L’organizzazione resistenziale iniziò anche a fornire agli Alleati informa­zioni sulle postazioni e sulla dislocazione delle forze nazifasciste e sui movi­menti delle truppe nemiche; ad aiutare i renitenti, i disertori, gli sbandati e gli Alleati a raggiungere la montagna, dove più facile era sfuggire all’arruolamen­to e alla prigionia; a recuperare armi e divise militari; a distribuire volantini di propaganda antifascista; a spedire materiale, viveri e denaro ai compagni che lottavano sui monti.

Nel clima cupo di quei mesi, particolarmente incerta e difficoltosa fu la vita dei tanti profughi fuggiti dalle zone d’Italia occupate o bombardate dagli angloamericani; nel gennaio 1944 la città dei Pico ospitava 1.265 sfollati, su­gli oltre 18 mila presenti in provincia di Modena.

Il 23 aprile del 1944 nacque il primo governo di unità nazionale, guida­to da Badoglio e formato dai partiti del Cln. Nel giugno del 1944, dopo la liberazione di Roma, il re Vittorio Emanuele III trasmise i propri poteri al figlio Umberto e si costituì un nuovo governo, guidato da Ivanoe Bonomi, più direttamente collegato al movimento partigiano in pieno sviluppo nel­l’Italia settentrionale. In settembre i Gap della zona di Mirandola, compren­denti una cinquantina di attivisti, furono riconosciuti come distaccamento al comando di Rino Gasparini (che ad agosto aveva sostituito Arturo Galavotti), con Oreste Gelmini commissario politico e Venizelos Bulgarelli capo di Stato Maggiore.

Nell’autunno del 1944 gli Alleati, che nel frattempo avevano continuato la Campagna d’Italia, si bloccarono sulla linea gotica, tra Rimini e La Spezia.

Cominciò in quei giorni il periodo più difficile per i partigiani e i civili, che dovettero subire i brutali rastrellamenti e le ritorsioni dei tedeschi e dei “repubblichini”. Il 30 settembre a San Giacomo Roncole, per la rappresaglia scatenata dall’uccisione di due tedeschi, sei giovani legati all’Opera Piccoli Apostoli furono impiccati ai pali della luce.

Altri ostaggi o prigionieri furono uccisi in varie zone del territorio, oppu­re perirono a seguito di drammatici incidenti conseguenti all’occupazione tedesca. Fu questo il tragico destino di 15 bastigliesi, precettati con altri 14 concittadini, che saltarono in aria a Mortizzuolo nella notte tra il 21 e il 22 ottobre 1944, mentre scaricavano bombe d’aereo.

La violenza proseguì nei giorni successivi. Il 28 novembre vennero tru­cidate altre cinque persone, mentre all’alba dell’11 dicembre anche San Martino Spino conobbe la violenza degli occupanti, con la fucilazione di tre giovani antifascisti dopo un processo farsa. Il 22 febbraio 1945 altri cinque prigionieri politici furono impiccati ai platani del viale d’ingresso di Miran­dola, vicino al luogo dove era stato ritrovato un tedesco, ucciso, pare, da un suo commilitone. Nella seconda metà di marzo si intensificarono i rastrella­menti e le uccisioni brutali, come quella della staffetta partigiana Umbertina Smerieri, torturata per 15 giorni prima di essere fucilata.

Particolarmente efferato fu anche il delitto di Sperindio Barbi a Mortiz­zuolo, ucciso davanti a moglie e figlia per avere ospitato nella propria casa alcuni militari, tra i quali il maggiore John Barton (“Stone”). Quest’ultimo era stato incaricato di effettuare un’esplorazione nella Bassa modenese tra il no­vembre e il dicembre del 1944. In quella prima operazione il graduato aveva contattato le formazioni partigiane della pianura modenese in qualità di uf­ficiale britannico di collegamento con i reparti guerriglieri. Nella primavera del 1945 Barton era stato quindi incaricato di una nuova missione (“Evapo­rate Mission”) presso il comando della 14A Brigata garibaldina “Remo”, con il compito di razionalizzare le azioni partigiane, correlandole con l’attività degli Alleati nei futuri combattimenti della Liberazione. Barton, il sergente radio-telegrafista Charles Barret e un ufficiale italiano di collegamento si pa­racadutarono nella notte del 20 marzo e vissero nascosti per quasi un mese, insieme ai partigiani del battaglione “Pecorari”, a Mortizzuolo, all’interno del cosiddetto “Lager Menuett”, un esteso deposito di munizioni sotto il control­lo civile e militare germanico.

Il 18 aprile, mentre si attendeva un lancio alleato nella zona delle Valli mirandolesi, la relativa calma in cui operava da circa un mese la Missione fu interrotta da un improvviso combattimento, durante il quale fu ucciso il sottotenente del presidio della Gnr di Mirandola, Walter Tavoni. Nel vio­lento combattimento che ne seguì, morirono un maresciallo tedesco e due membri della Gnr: il capitano Armando Millesimi e il sottotenente Mugnaini. Il sottotenente Anteo Moretti, catturato dai partigiani, venne probabilmente fucilato. La mattina seguente, per rappresaglia, i fascisti e i tedeschi incendiarono la casa di Sperindio Barbi, nei pressi della quale era stata trovata la salma di Tavoni. Il proprietario venne ucciso con colpi d’arma da fuoco al torace e al capo, alla presenza dei più stretti congiunti.

Fu quello il periodo più duro e lacerante per la popolazione. Se alle per­sone (residenti e non) uccise a Mirandola per mano dei nazifascisti durante la Resistenza si sommano i mirandolesi uccisi altrove, sempre per mano dei tedeschi o dei fascisti, si arriva ad un totale di 97 caduti.

In quei mesi, caratterizzati da un freddo intenso e da abbondanti nevicate, i partigiani mirandolesi diedero prova di coraggio e di efficienza, in uma serie di azioni militari e di sabotaggio che colpirono le forze nazifasciste. Gli at­tacchi a gruppi armati di nemici furono numerosi, così come le interruzioni delle comunicazioni stradali e dei trasferimenti di viveri e bestiame oltre il Po. Tra le azioni più eclatanti vi fu l’attacco, nella notte tra il 23 e il 24 feb­braio 1945, alla caserma della Brigata Nera “Pappalardo” di Concordia. L’ope­razione, condotta da circa 200 partigiani con l’aiuto di quattro cannoncini anticarro “panzerfaust”, portò all’uccisione di un’ottantina di fascisti.

Superato il rigido inverno, riprese l’offensiva angloamericana in Italia, che si concluse soltanto il 2 maggio 1945 con la pubblicazione della resa tedesca, firmata il 29 aprile 1945. Il prezzo pagato dalle truppe straniere per aiutare a ristabilire libertà e democrazia nel nostro Paese fu altissimo: sul suolo ita­liano caddero in guerra o per cause riconducibili alla guerra 45.469 soldati britannici e del Commonwealth, 32 mila americani, 7.800 francesi e 3.955 polacchi.

Il cimitero di San Martino Carano raccolse diverse centinaia di salme di quei militari, ma anche i corpi di molti tedeschi, per i quali furono osservati lo stesso rispetto e la medesima cura.

Tratto da: Alba di Libertà – Mirandola e gli Alleati tra Liberazione e Ricostruzione.

A cura di Fabio Montella per il Comune di Mirandola

Anno 2007

 

 

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