22 Aprile 1945 – La liberazione di Mirandola

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Soldati dell'80a Divisione fanteria Usa prima del passaggio del Po (Revere 28 aprile 1945)

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Mirandola fu liberata a partire dalle ore 22 di domenica 22 aprile, ad ope­ra dei partigiani del Battaglione “Pecorari”, appartenente alla XIV Brigata Ga­ribaldi “Remo”. Ad entrare per primi in città, dalla zona del campo sportivo, furono il IV Distaccamento proveniente da Ca’ Bianca (Gavello), al comando di Cirillo Bianchi, ed il II Distaccamento comandato da Guido Lana, che si era­no uniti nella marcia di avvicinamento. Contemporaneamente, raggiunsero l’abitato anche i gruppi armati guidati da Franco Lodi e da Enzo Gavioli, pro­venienti rispettivamente da Quarantoli e Gavello. A Mirandola li attendevano altri partigiani che erano penetrati nella Caserma della Guardia Nazionale Repubblicana (nel Palazzo Maffei, oggi sede del Commissariato di Ps), ormai abbandonata dai fascisti.

Negli scontri che seguirono, vennero catturati ed uccisi tre agenti della Questura repubblicana fascista, ma già verso mezzanotte i partigiani si scon­trarono per le strade di accesso alla città soltanto con tedeschi in ritirata.

Nella lotta ai nazifascisti si distinse anche l’azione di 20 paracadutisti, atterrati la sera del 19 aprile in due squadre guidate dal tenente Guerrino Cerner, comandante in capo della centuria “Nembo” (appartenente alla Divi­sione “Folgore”). I parà facevano parte di un contingente di 26 squadre che gli Alleati, privi di truppe analoghe in Italia, avevano scelto per dare corpo all’Operazione “Herring n. I”. Dopo essere atterrati isolati o in piccoli grup­pi, alcuni paracadutisti si disposero lungo la Statale 12 Abetone-Brennero per attaccare automezzi e carriaggi in transito, in modo da ritardarne la ritira­ta. Nei pressi di San Giacomo Roncole, in particolare, si registrarono diversi scontri ed altri si verificarono a Quarantoli, San Martino Spino, Disvetro e sulla direttrice San Biagio-Cividale. Il bilancio di questi combattimenti fu di una decina di tedeschi morti ed altrettanti feriti. Un imprecisato numero di prigionieri fu consegnato agli americani.

Altre due squadre della “Nembo” (la 10A e la 12A del IV plotone), for­mate complessivamente da 16 uomini, atterrarono a Dragoncello, frazione di Poggio Rusco, non lontano da San Martino Spino. Braccati dai tedeschi, i parà, agli ordini del sottotenente Franco Bagna, si nascosero al Casellone, in una casa colonica annessa a un caseificio in località Passo dei Rossi, abitata dalla famiglia Martinelli e da una ventina di sfollati. Verso le 5 del mattino del 23 aprile i tedeschi, entrati nella casa per rifocillarsi, furono attaccati. La violenta sparatoria che ne seguì provocò la morte del proprietario dell’abitazione, Clito Martinelli, di Bagna e di due tedeschi. I militari germanici, accorsi in forze per aiutare i commilitoni, cominciarono a cannoneggiare l’edificio. Dopo una breve tregua accordata per fare evacuare i civili, gli scontri ripresero furiosi. Soltanto due parà riuscirono a fuggire. A terra ne rimasero altri 14, insieme a due civili e a 18 soldati tedeschi.

Nel capoluogo, la fuga dei tedeschi non segnò la fine dei lutti. Intorno alle 2 del mattino del 23 aprile, infatti, una batteria americana, situata dalle parti di Camposanto, ritenendo che Mirandola fosse ancora in mano al nemico, aprì un intenso fuoco di artiglieria.

Poiché non esistevano contatti radio o altri mezzi di comunicazione a distanza, il Comando di Brigata decise che un gruppo di uomini doveva rag­giungere gli americani, eludendo le ancora numerose formazioni tedesche. Alle ore 3 partirono quattro volontari, che a pochi chilometri dall’abitato si divisero in due pattuglie: quella composta dal comandante della Brigata, ca­pitano Giuseppe Ferraresi (“Polo”), e dal sergente radio-telegrafista Charles Barret della missione inglese raggiunse gli Alleati alle ore 5.45; l’altra, formata dal maggiore inglese Barton e da un partigiano, fu catturata nei pressi di San Biagio da una formazione tedesca. Per liberarli partì da Mirandola un au­tocarro con una trentina di partigiani del Battaglione “Pecorari”, guidati dal vicecomandante Gino Borghi, che perì insieme ad altri due partigiani, Silvano Paltrinieri e Natalino Silvestrini. L’azione, che provocò il ferimento di altri quattro o cinque patrioti, si concluse con la liberazione dei due prigionieri. Nel corso delle azioni di rastrellamento compiute tra il 22 e il 23 morirono, probabilmente a causa di un tragico errore, anche il partigiano mirandolese Erminio Ori e Hans Koèpling, un soldato tedesco passato alla Resistenza.

Il 23 aprile, mentre la V e l’VIII Armata stringevano ormai il cerchio intor­no al grosso delle forze germaniche, a Mortizzuolo, nei combattimenti ingag­giati da carristi americani morirono dieci militari tedeschi.

Alla fine delle operazioni, i risultati della sola Missione inglese “Evaporate” furono di 20 automezzi, quattro carri armati e due batterie tedesche distrut­te e di 1 .046 nemici prigionieri, appartenenti in maggioranza al 76° Panzer Korp, che era stato accerchiato nel territorio di Camposanto.

Alla sera tutta la provincia di Modena era stata completamente liberata, ma ad un prezzo assai alto. Secondo i dati delle relazioni ufficiali, a partire dal 10 aprile 1945, quando erano iniziate le operazioni in Appennino, tra i partigiani e i civili che si erano loro affiancati si contarono 129 morti e 165 feriti. Dall’altra parte il bilancio fu molto più pesante. I tedeschi uccisi furono 1.176, quelli catturati 3.691. Soltanto a Mirandola, secondo i responsabili del Battaglione “Pecorari”, tra il 21 e il 23 aprile i tedeschi uccisi in combattimen­to furono 31, i prigionieri 112, due le batterie di medio calibro catturate, 12 gli autocarri distrutti e due quelli recuperati.

Nei giorni successivi le forze alleate dilagarono in tutta l’Italia settentrio­nale, mentre le truppe tedesche, prima di arrendersi, compirono un’ultima serie di massacri civili. Il 28 aprile Mussolini venne fucilato dai partigiani e il 30 Hitler si suicidò. La capitolazione delle truppe tedesche in Italia avvenne il 2 maggio. Il giorno 8 la guerra si concluse in tutta Europa.

In ogni principale centro della Provincia l’organizzazione resistenziale riuscì a centrare quello che considerava da almeno sette-otto mesi un obiet­tivo politico prioritario: liberare le città (Modena innanzitutto) prima dell’ar­rivo delle truppe angloamericane.

Tratto da: Alba di Libertà – Mirandola e gli alleati tra Liberazione e Ricostruzione.

A cura di Fabio Montella per il Comune di Mirandola

Anno 2007

 

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