Un secolo di imprese – Dondi – Mirandola

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Stabilimento Dondi, 1936 (Collezione famiglia Dondi)

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Aratro Dondi modello DP3, 1934. (Collezione famiglia Dondi)

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Dondi

L’azienda Dondi venne fondata nel 1902 come ditta individuale da Pietro, che dal padre Vin­cenzo aveva ereditato un laboratorio di falegnameria nel gruppo di case denominato “Castello” in località San Pietro, a metà strada tra Mirandola e San Giacomo Roncole.

Nella foto, datata 1915, Pietro Dondi ha la mano destra sulla spalla di Genziano. La moglie Angiolina ha in braccio Giordano. Alla sua destra c'è Amulio, alla sua sinistra, dall'alto,Serena, Enrico e Redenta.

Nella foto, datata 1915, Pietro Dondi ha la mano destra sulla spalla di Genziano. La moglie Angiolina ha in braccio Giordano. Alla sua destra c’è Amulio, alla sua sinistra, dall’alto,Serena, Enrico e Redenta.

Vincenzo aveva già avviato la costruzione di un prototipo di aratro in legno, che venne poi per­fezionato da Pietro. Nel 1910 quest’ultimo acquistò un lotto di terreno sulla Strada Nazionale (oggi Statale 12), sul quale edificò il nucleo originario della nuova sede dell’azienda ed una Villa. Dopo la fine della prima guerra mondiale, la Dondi iniziò la produzione di aratri in ferro. La redditività dell’a­zienda permise alla famiglia l’acquisto di ulteriori terreni, che portarono la proprietà fino al confine con la Chiesetta di San Pietro. Negli anni Trenta nell’officina (che era dotata di tre ingressi in vetro che permettevano la visione dei modelli in esposizione) lavoravano anche i figli di Pietro, Genziano, Amulio e Giordano ed Enrico Luppi, nato dal primo matrimonio della moglie Angiolina. I prodotti erano commercializzati, oltre che in Emilia, in Lombardia ed in Toscana.

I figli di Pietro Dondi mentre si apprestano a consegnare aratri costruiti in legno e ferro, presumibilmente nel 1928. (Collezione famiglia Dondi)

I figli di Pietro Dondi mentre si apprestano a consegnare aratri costruiti in legno e ferro, presumibilmente nel 1928. (Collezione famiglia Dondi)

Durante la seconda guerra mondiale la ditta, che aveva non più di otto operai, attraversò un momento difficile, a causa delle difficoltà di approvvigionamento delle materie prime e dei combu­stibili, ma la produzione di aratri, seppure ridimensionata, non si arrestò.

Operai davanti allo stabilimento Dondi, 1936.(collezione famiglia Dondi)

Operai davanti allo stabilimento Dondi, 1936.(collezione famiglia Dondi)

Il 17 marzo del 1944 Pietro morì e la ditta individuale chiuse e l’attività proseguì con una società di fatto composta dai figli Genziano e Amulio, da Enrico Luppi e da Giuliano Dondi, erede di Giordano, morto nel 1940.

Alla fine del conflitto la ditta ripartì con 12 dipendenti. Lo sviluppo economico degli anni Cin­quanta, unito al processo di meccanizzazione dell’agricoltura, diedero un impulso all’azienda, che arrivò a dare lavoro ad una trentina di dipendenti. In quell’epoca divenne più articolato anche il rapporto con le maestranze ed i sindacati. Nel 1955 la Cgil diede vita a L’incudine, un periodico a circolazione interna sul quale venivano lanciati appelli politici, come l’invito a sottoscrivere il documento di Vienna per la pace, e di solidarietà sindacale, come l’appoggio alle maestranze della Fiat Grandi Motori e Oci di Modena, impegnate quell’anno in una dura vertenza; ma sul giornalino di fabbrica della Dondi non mancavano i temi locali, come la solidarietà alle maestranze della Barbi ed il confronto sindacale con la Cisl ed i suoi rappresentanti nelle commissioni interne. Sono assenti invece, sui numeri de L’incudine da noi consultati, riferimenti alla stessa Dondi, segno probabilmen­te di rapporti distesi tra lavoratori e proprietà o comunque non tali da oltrepassare i limiti di una normale dialettica tra le parti.

A quell’epoca la produzione si era andata diversificando e comprendeva aratri trainati pesanti monovomeri, bivomeri e trivomeri a ruote per lavorazioni profonde. A Genziano Dondi era affidato il settore amministrativo e commerciale; Aumulio, con la collaborazione di Enrico, dirigeva la pro­duzione e provvedeva agli acquisti di materiale.

Nonostante la forte concorrenza di altre ditte, soprattutto quella dei Fratelli Greco (che da S. Martino Spino si erano trasferiti a Villa Poma), la produzione e le vendite crebbero a ritmo sostenuto nei principali mercati di riferimento, che erano tutta la provincia di Modena ed il basso mantovano, le cui aziende agricole erano battute in bicicletta dal “commerciale”, Genziano, fino a quando la famiglia non fu in grado di acquistare la prima autovettura.

Aratro Dondi modello DP1 monovomere (1937, in prova presso l'azienda Balboni Luigi. Il trattore è un Landini Velite. Si noti l'aratura profonda 40cm su terreno forte. (Collezione famiglia Dondi).

Aratro Dondi modello DP1 monovomere (1937, in prova presso l’azienda Balboni Luigi. Il trattore è un Landini Velite. Si noti l’aratura profonda 40cm su terreno forte. (Collezione famiglia Dondi).

A 17 anni entrò in officina anche Giuliano Dondi, che fino a quei momento aveva vissuto a Mo­dena con la madre Olga, operaia della Manifattura Tabacchi, e con la nonna. Dopo un breve appren­distato, Giuliano, che aveva frequentato due anni all’Istituto tecnico “Fermo Corni”, portò nell’azien­da di famiglia alcune conoscenze nel settore tecnico e del disegno meccanico. Su sollecitazione degli zii, cercò di perfezionare un nuovo tipo di zappatrice che l’azienda aveva iniziato a produrre in una trentina di esemplari con risultati non soddisfacenti. «Iniziai a disegnare le componenti prin­cipali della struttura portante, – spiega Giuliano Dondi – ma per quanto riguardava la trasmissione ad ingranaggi dovetti ricorrere al supporto esterno di una ditta specializzata nella produzione di ingranaggi: componenti indispensabili per il trasferimento del moto della presa di forza del trattore agli organi lavoranti della zappatrice. Fu un lavoro intenso e stressante che mi impegnò per mesi, ma il primo prototipo ebbe l’approvazione di tutti i soci, in particolare dopo le prove in campo».

Gli sviluppi successivi, con la definizione di una gamma completa di zappatrici, aprirono la stra­da alla produzione di diverse centinaia di macchine negli anni Sessanta/Settanta, fino ad arrivare a qualche migliaio negli anni Ottanta. Un’evoluzione interessò anche la produzione degli aratri: grazie all’esperienza maturata a partire dagli anni Trenta e all’intuito ed alla capacità di uno dei dipendenti, Primo Bertoli, l’attrezzo agricolo Dondi venne sempre più perfezionato. Si iniziò la produzione di una nuova serie di aratri a due e tre punti mentre quella dei grossi aratri a ruote trainati fu progressi­vamente ridotta, seguendo gli sviluppi del settore. La ditta mirandolese si legò in quel periodo alla Landini di Fabbrico, azienda leader nella produzione dei trattori, i cui tecnici assistevano spesso alle prime prove dei nuovi modelli Dondi.

La fabbrica venne nel frattempo ampliata con la costruzione di due capannoni moderni e suffi­cienti a contenere, separati, diversi reparti di produzione. Fu eretta anche una palazzina dove furono trasferiti gli uffici amministrativi e commerciali. Gli aratri e le zappatrici, sempre più perfezionati e maneggevoli, venivano richiesti anche nel Centro ed in alcune regioni del Sud Italia. Il mercato di maggiore diffusione era la Toscana. Intorno al 1965, quando l’azienda dava ormai lavoro a 58 dipendenti, si decise di sondare anche il mercato estero incaricando il rag. Giorgio Dondi, figlio di Genziano, che, conoscendo alcune lingue estere, promosse i prodotti in alcuni Paesi, in partico­lare Spagna, Yugoslavia e Grecia (ma con quest’ultimo i rapporti si interruppero bruscamente con il golpe del 1967). Contemporaneamente, lo staff tecnico, diretto da Giuliano Dondi, progettò e perfezionò, negli anni successivi, una nuova attrezzatura agricola, lo Scavafossi rotativo, che in una ventina d’anni monopolizzò il mercato nazionale ed estero. Con il marchio “Dondiditcher’’ la Dondi lo esportò in oltre 50 Paesi di ogni continente.

Superata senza eccessivi problemi la fase della cosiddetta “congiuntura”, che in provincia di Modena colpì anche il settore meccanico intorno al 1964, la Dondi decise una riorganizzazione aziendale, che si concretizzò alla fine di quel decennio. «Dopo numerose e accese discussioni – ricorda Dondi – si decise di affidare a una società di organizzazione l’intero sistema gestionale, ristrutturando e organizzando con metodi più moderni tutti i settori dell’azienda, dal settore am­ministrativo e commerciale, ai reparti di produzione e organizzazione del lavoro». Furono quindi acquistati attrezzi di sollevamento e trasporto delle merci, si allestirono linee aeree di assemblaggio finali delle macchine, si utilizzò un primo computer per la gestione informatica della contabilità amministrativa e una riorganizzazione del settore commerciale, [ammodernamento degli impianti di produzione, la riorganizzazione amministrativa e commerciale, l’automazione aziendale, la mag­giore presenza sui mercati nazionali e la partecipazione a manifestazioni specializzate del settore consentirono di ampliare le conoscenze su un terzo prodotto, lo scavafossi rotativo, che aprì nuovi mercati. In questi anni venne anche curata la costruzione di impianti idraulici di vario genere e di apparecchiature cingolate.

La continua crescita della Dondi si interruppe nel 1973 con lo “shock petrolifero”, l’aumento del prezzo delle materie prime e la maggiore difficoltà ad accedere al credito bancario obbligarono l’azienda a rivedere i piani d’investimento a medio termine. Il ricorso alla cassa integrazione e la necessità di innovazione tecnologica provocarono una diminuzione del fatturato. Aumentarono le difficoltà di recuperare crediti in sospeso e la necessità di ridurre l’organico provocò aspri conflitti fra la proprietà e le organizzazioni sindacali.

Il 5 dicembre 1978 l’azienda venne trasformata in Società per Azioni, la morte, nello stesso mese, di Genziano Dondi privò la ditta di un leader ma fece anche emergere divergenze sulla prose­cuzione dell’attività. «Dopo la trasformazione della ditta in SpA – spiega Giuliano Dondi – sarebbe stato utile prendere in considerazione la possibilità di un nuovo intervento di una Società di organiz­zazione aziendale, come era stato fatto negli anni Sessanta. Pareri fortemente discordi impedirono questo investimento che avrebbe permesso di ristrutturare e riorganizzare, secondo criteri moderni, tutto l’apparato direttivo della Società, introdurre sistemi informatici gestiti da personale qualificato, automatizzare i processi produttivi per ridurre i costi dei prodotti e della manodopera». Nonostante le divergenze di vedute, l’azienda tra la fine degli anni Settanta ed i primi anni Ottanta produsse migliaia di macchine, ancora suddivise equamente fra aratri, zappatrici e scavafossi, furono aperti nuovi mercati come quello degli Stati Uniti e l’export aumentò la sua percentuale sul fatturato totale.

Venne anche introdotto un nuovo reparto di verniciatura, con un forno di cottura, che accelerò i processi di finitura delle macchine migliorandone l’aspetto e la resistenza agli agenti atmosferici. «Tutto ciò contribuì a mantenere inalterate le quote di mercato – spiega Giuliano Dondi – ma non ad aumentarle per la mancanza di una rete di distribuzione capillare come aveva la concorrenza».

L’aratro declinò definitivamente come prodotto, per l’introduzione sul mercato nazionale di attrezzi polivomeri ad alto contenuto tecnologico prodotti in Francia, Austria, Germania e nei Paesi scan­dinavi, mentre lo scavafossi permise all’azienda mirandolese di rimanere leader sui mercati esteri.

Nonostante la qualità dei suoi prodotti, all’inizio degli anni Ottanta l’azienda pareva aver perso la spinta propulsiva, di fronte ad una concorrenza che si era fatta sempre più agguerrita. I bilanci evidenziarono una crescente debolezza finanziaria dovuta, in buona parte, alla difficoltà nel recupero di crediti in alcuni Paesi europei e, soprattutto, extraeuropei. Nel 1982 la famiglia Dondi superò con forza anche la terribile esperienza del rapimento di Giordano, secondogenito diciottenne di Giuliano, ma l’azienda si trovava di fronte ad un decennio pieno d’incognite. Nel 1984 entrò in re­gime d’amministrazione controllata, dal quale uscì due anni dopo con buone prospettive. Nel 1987, il Consiglio di Amministrazione, su suggerimento del commercialista, consulente della Società, propose di delegare un imprenditore, estraneo alla compagine sociale, come scelta strategica per il futuro della Dondi. Due soci, componenti del direttivo, si dimisero perché in disaccordo con quella decisione che, nei due anni successivi, causò profondi cambiamenti strutturali e societari, portando verso l’inevitabile liquidazione di una delle poche realtà imprenditoriali significative di Mirandola prima dell’avvento del Biomedicale.

Fabio Montella

Tratto da: Un secolo di imprese “Cento anni di attività economica a Mirandola attraverso i documenti”

Testi di: Fabio Montella

Copertina e impaginazione: Alessio Bignozzi – Tipolito Salvioli

I documenti pubblicati sono di proprietà di: Centro Studi numismatici e Filatelici di Mirandola

Anno 2013

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