La Mirandola – Storia urbanistica di una città – VII Capitolo – Due secoli di distruzioni

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Con la fine del dominio dei Pico e l’aprirsi della prima Guerra di Successione (primi anni del secolo XVIII) comincia la deca­denza della Città; la cattiva amministrazione e le disgrazie (tra le quali le altre due Guerre di Successione e lo scoppio della Torre Grande in Castello) deturpano o distruggono, in un periodo di tempo relativamente breve, il patrimonio edilizio più signifi­cativo della Città. Vengono demolite diverse chiese, abbattute come si è detto le torri e le mura del castello; non pochi palazzi, istituti, conventi vengono atterrati, altri riadattati ed adibiti ad abitazioni o ad usi diversi (magazzini) o non congeniali. Tutto questo, insieme al successivo lento travestimento delle case da parte dell’iniziativa privata (chiusura dei portici e delle logge, aggressione ed annientamento dei giardini e degli orti, rifaci­mento delle facciate, mancato o imperfetto restauro delle case colpite dalle guerre) alterano la fisionomia e distruggono a poco a poco il volto della Mirandola.

I danni arrecati, a scopo di lucro, dall’Amministrazione Du­cale Modenese e da quella Cisalpino-Napoleonica compaiono, nell’ordine, i maggiori e i più evidenti ma non sono da dimen­ticare quelli recati dalle Amministrazioni locali della seconda metà del secolo scorso.

Il danno maggiore e più evidente si ebbe dalla distruzione delle chiese dove più facilmente si trovavano raccolte opere d’arte e nella progettazione delle quali più facilmente si erano ricercate la bellezza delle linee e l’osservanza delle regole di ar­chitettura e di stile. Cosi al danno della distruzione materiale degli edifici si aggiunse quello altrettanto e talvolta più grave dato dalla dispersione del loro patrimonio artistico. Si deve ribadire che se si escludono le opere d arte della Corte e in misura minore quelle di qualche famiglia nobile, praticamente tutto il patrimonio artistico della Mirandola era raccolto nelle chiese e nei monasteri. Furono venduti (o dispersi) perfino gli arredi, le suppellettili, il mobilio.

La prima ad essere demolita fu la chiesa dei Servi (1768) intitolata a S. Filippo Benizzi, che era stata costruita solo nel 1675; fu abbattuta insieme al convento; di entrambi gli edifici ora non resta neanche il ricordo. Solo 5 anni dopo nel 1773 furono atterrati la chiesa e il convento di S. Agostino dei Padri Eremitani edificati nel 1606 e da poco restaurati; nel 1784 fu distrutto l’oratorio del SS. Rosario costruito solo nel 1666 ad opera della Confraternita omonima; tutti questi fabbricati erano in buone condizioni statiche, di manutenzione e patrimoniali. Le prime due chiese erano state «soppresse», per ordine del Duca di Modena, nel 1768 insieme a quella di S. Maria Maddalena (costruita nel 1512) che chiusa al culto ed abbandonata si trovò ugualmente condannata col suo convento alla degradazione edi­lizia. I Beni di tutte furono aggregati al Grande Albergo dei Poveri di Modena costituito nel 1767 e non si trova ora alcuna giustificazione della loro demolizione materiale. Queste distru­zioni impoverirono l’aspetto di tutta la Città.

Intanto (1783-1786) come si è detto altrove si stava demo­lendo, accanitamente e diligentemente, ciò che era rimasto del castello.

Il secondo periodo disastroso per gli edifici e la vita della città fu, come si è detto, quello Cisalpino-Napoleonico. Sotto la copertura del movente ideologico furono depredati i beni «ecclesiastici» delle chiese superstiti, del Seminario, di altri isti­tuti.

Non pochi di questi immobili finirono per essere demoliti perché, soppressi e trasferiti al Demanio (alla Nazione, come soleva dirsi), furono venduti alla pubblica asta e in seguito prontamente distrutti dai nuovi proprietari per fini speculativi.

Il primo ad essere distrutto fu il convento di S. Francesco, uno dei più antichi conventi francescani d’Italia, il convento più antico e più bello della Mirandola; alienato nel 1810 fu raso al suolo negli anni immediatamente seguenti. Anche la chiesa corse il pericolo di essere venduta e quindi sicuramente demolita ma fu salvata grazie a una permuta con gli oratori di S. Rocco e di S. Rosalia (cioè della Madonnina), quest’ultimo fortunatamente riscattato dal suo rettore. Invece l’oratorio di S. Rocco risalente all’anno 1636, di cui non fu concesso il riscatto, fu messo all’asta, acquistato (1811) e quindi distrutto nel 1813. Nell’anno 1811 era stata venduta anche la chiesa dei Cappuccini, già sconsacrata nel 1798, che quasi subito fu trasformata in abi­tazioni e granai; il suo convento fu in parte atterrato, in parte riadattato. La città dal punto di vista edilizio si andava trasfor­mando in un agglomerato amorfo di case senza qualità e senza epoca.

Poi venne la volta delle «Amministrazioni Comunali e Pub­bliche» alle quali va addebitata principalmente la distruzione delle mura che avvenne dal 1876 al 1896 tra la indifferenza della popolazione. Nello stesso periodo si ebbe l’abbattimento dei resti del chiostro grande del Convento delle Monache (1885), la demolizione della chiesa di S. Ludovico (1882), la demoli­zione della Torre di Piazza (1888).

Poche furono le città che subirono maggiori danni ed insulti urbanistici ed edilizi e così continuativamente; le distruzioni e le manomissioni proseguirono per più di 200 anni, dal 1714 (data dello scoppio della torre grande in castello), fino pratica­mente a pochi decenni or sono; nelle loro conseguenze hanno siglato e siglano un lungo arido periodo di carenza «culturale», di gusto, di senso civico del quale sono rimaste e rimarranno indelebilmente le tracce.

Pianta, spaccato e misure della Chiesa dei Servi

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Ultima in ordine di tempo tra le chiese della Città, la chiesa dei Servi o di S. Filippo Benizzi risaliva al 1675 e come quella del Gesù, dei Cappuccini e di S. Agostino aveva finito per dare il nome al baluardo vicino al quale era stata innalzata; il destino volle che fosse la prima ad essere demolita.

La pianta la mostra di forma rettangolare, ad una sola navata, con quattro grandi cappelle sul lato destro, l’abside semicircolare; non si conosce l’aspetto della facciata che aveva una unica porta eccentrica (però in asse rispetto alla navata) e che doveva richiamare stilisticamente i non sgrade­voli motivi architettonici dell’interno.

Il Convento si estendeva a sinistra della chiesa e contro le mura e il suo terreno arrivava fin oltre la gola del baluardo, precedentemente detto di S. Giorgio, interrompendo con la sua recinzione la via Fulvia detta allora di S. Maria Maddalena.

Misure principali della chiesa: lunghezza, m. 46,35 circa pari a braccia mirandolesi 73; larghezza, all’interno, m. 14,65 circa; all’esterno, m. 16,50.

La Chiesa si S. Maria Maddalena dei Canonici Regolari di S. Salvatore, prospetti, pianta e misure.

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Misure principali: larghezza, m. 17,55; lunghezza, m. 38,74; altezza fino al cornicione, m. 14,40.

La Chiesa di S. Maria Maddalena

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Così si presentava la chiesa prima della chiusura al culto (nel 1768) e della sua trasformazione in deposito e magazzino di grano (1834).

La facciata era aperta nella sua parte inferiore da un porticato a tre luci dal quale si accedeva per una porticina laterale anche al convento; era volta verso la strada che fiancheggiava le mura di levante della Città ed aveva davanti un piccolo erboso sacrato adibito in parte a cimitero. L’interno, a tre navate con archi a pieno centro (sostenuti da grossi pilastri cruciformi) si sviluppava in   un ritmo di cinque larghe campate e  terminava  senza abside.

Il campanile era a sinistra della chiesa e la sua parte superiore che era stata colpita dall’artiglieria francese nell’anno 1707 ed era crollata, era abbellita in origine da una serie di piccole bifore di cui rimase a lungo quella inferiore.

Il convento si trovava   a sinistra della chiesa e si estendeva col  suo orto e le dipendenze fin contro  il Convento di S. Francesco.

I fabbricati, tanto della chiesa che del convento non furono material­mente distrutti, come si è detto, e per quanto irriconoscibili esistono tuttora; il primo detto «i granaroni», nuovamente ristrutturato (nel 1970) e di nuovo adibito a magazzino, il secondo, fortemente modificato, adibito ad abitazione.

L'Oratorio di Sa. Rocco

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Non solo la distruzione materiale degli edifici religiosi e la loro assenza fisica nel contesto urbano vanno considerate ma anche ciò che essi avevano rappresentato per la maggioranza dei cittadini, l’offesa recata al sentimento religioso e civico di questi, la vanificazione dei sacrifici di chi tali edifici aveva studiato, promosso o materialmente innalzato.

Per rimanere in un ambito di considerazioni dì natura strettamente rie­vocativa non è chi non veda come la distruzione dell’Oratorio non abbia impoverito artisticamente e dal punto di vista ambientale quella parte della Città nella quale l’edificio si trovava.

L’Oratorio sorgeva lungo la strada che dalla Piazza Grande porta alla chiesa del Gesù, nell’angolo di sud-est del primo incrocio; la facciata era volta a mezzodì cioè la porta era quasi di fronte alla prima delle due stradicciole del Ghetto.

Pianta dell'Oratorio di S. Rocco

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La Torre di Piazza

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La torre, che si trovava, come altrove si è detto, nell’angolo di sud-est del Castello, era stata risparmiata dalle demolizioni degli ultimi anni del secolo XVIII perché portava l’orologio e la campana grande della Città.

Costruita o forse solo rifabbricata da Ludovico II Pico in forme rinasci­mentali nel 1561 fu sconsideratamente abbattuta nel 1888.

Tratto da: La Mirandola – Storia urbanistica di una città

Autore: Vilmo Cappi

A cura: Cassa di Risparmio di Mirandola – Seconda Edizione a cura del Circolo “G.Morandi” di Mirandola.

Anno: 2000

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