I Due Campanili

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i due campanili

C’erano una volta, nella bella città di Mirandola, due campanili: uno ero io, il campanile della chiesa del Duomo, e l’altro era il mio grande amico, un po’ più vecchio e basso di me, il campanile della chiesa di San Francesco. Noi due, belli, importanti e molto vicini, guardavamo dall’alto le costruzioni di Mirandola e ci salutavamo tutte le ore, quando i nostri orologi le scandivano. Ci eravamo anche messi d’accordo di non suonarle insieme, ma a pochi secondi di distanza l’uno dall’altro, così che chi arrivava in ritardo nel sentire i primi suoni potesse poi contare i rintocchi dei secondi e sapere sempre che ore fossero anche se non aveva l’orologio.

Per centinaia di anni la nostra vita è trascorsa placida e serena e, quando è crollato qualche pezzo dei nostri vecchi tetti, gli amici mirandolesi l’hanno subito riparato. Gli abitanti della città ci volevano molto bene, ci sorridevano guardandoci e ci hanno reso sempre più belli e luminosi: insomma eravamo felici di vivere insieme alle nostre sorelline chiese nel centro di Mirandola. Dall’alto potevamo vedere tutto quello che capitava in piazza in certi momenti dell’anno: le feste, le fiere, le manifestazioni storiche e folcloristiche, i mercati.

Ma ogni giorno la nostra vita era interessante: nelle nostre sorelline chiese entravano tante persone che pregavano o assistevano alle Sante messe o ricevevano i sacramenti. Di notte, quando la città dormiva, io raccontavo a campanile Francesco tutto il continuo viavai di persone all’LIfficio Postale e lui mi descriveva le mostre e gli spettacoli organizzati nel chiostro del Liceo. Gli piaceva tanto sentire le voci degli studenti che leggevano a voce alta brani di libri importanti. Ci raccontavamo anche che, in città, specie nel centro storico, abitavano ormai molte nuove persone che provenivano da altri paesi, di cui noi due non capivamo il linguaggio. Eh già, noi sapevamo solo l’italiano e un po’ di latino. Vedevamo, però, che erano allegri, spesso in gruppo e si ritrovavano nella grande piazza di Mirandola per raccontarsi forse che erano venuti a vivere nella nostra città per trovare un lavoro e garantire un futuro ai loro bambini.

Andava tutto così bene … quando all’im­provviso, nella notte tra il 19 e 20 maggio, la mia vita è cambiata completamente. C’era la fiera e nell’aria si avvertivano musica, risate, profumi di croccante e di zucchero filato. Mi stavo dolcemente addormentando quando mi sono sentito dondolare molto. “Oh, che cos’è?” – mi sono chiesto – “Beh, forse è una scossa di terremoto un po’ più forte del solito, ma tanto qui siamo al sicuro e non capiterà nulla di grave”. Così mi sono riaddormentato, ma dopo un po’ mi sono rimesso a ballare tanto, in modo più forte di prima. Ho anche sentito dei terribili rumori vicino a me e ho visto che il tetto della mia sorellina chiesa era tutto crollato. La mia sorellina piangeva e diceva: “Oh, che disastro! Povera me! Come facciamo adesso?”.

Anch’io piangevo, anche perché vedevo intorno a me tante case e uffici danneggiati e sentivo la gente che scappava fuori di corsa e urlava. Ho pensato subito al mio amico Francesco e l’ho chiamato: “Come stai? Niente di rotto? Qui è un disastro!”. Francesco mi ha risposto: “Eh, insomma, la mia sorellina ed io abbiamo perso tanti pezzi perché siamo molto vecchi, ma vedrai che i nostri amici mirandolesi presto aggiusteranno voi, noi e tutto quello che si è rotto perché vogliono molto bene alle loro vecchie cose!”, lo avevo paura che venissero nuove scosse di terremoto, ma, poi, vedendo che tutti si erano dati da fare per mettere in sicurezza g edifici e per ripararne i danni insieme ai Vìgili del Fuoco e alla Protezione Civile, ho sensato anch’io che il peggio fosse passato e ho cercato di consolare la mia sorellina chiesa che piangeva sempre.

Da lontano vedevo le nuove abitazioni di chi aveva la casa rotta: tende, camper, roulotte, automobili, ma speravo che tutti, presto, avrebbero avuto di nuovo un tetto solido sulla testa. Anche Francesco, ogni notte, mi ripeteva che, in breve tempo, saremmo tornati alla normalità.

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Invece, in una bella mattina di sole, il 29 maggio mi sono sentito ballare in un modo terrificante, la terra sotto di me faceva onde alte, su e giù in continuazione, e si udivano boati spaventosi, urla, pianti, sirene. “Aiuto, cado! Ho paura!”

  • ho pensato. Non vedevo nulla perché c’era tanta polvere dappertutto, poi, quando è un po’ calata, voltandomi verso Francesco ho visto che non c’era più, era crollato a terra con gran parte della sua sorellina chiesa. “No!”
  • ho urlato – mentre continuavo a ballare. Ho guardato, allora, la mia amica scuola elementare, ma anche lei stava piangendo perché il suo tetto era crollato.

“Basta, basta! lo adesso che cosa faccio?” – ho pensato. E ho quasi sperato che venissero nuove scosse perché volevo crollare anch’io, avevo già perso tanti pezzi, quasi tutta la mia sorellina, tanti amici. E poi vedevo che la gente era disperata e non aveva più niente. Inoltre sono arrivate le telecamere delle Tv, tante, e si sono sistemate davanti a me e mi filmavano in continuazione, per trasmettere in diretta il momento in cui sarei caduto in mille pezzi. “Che rabbia!” -urlavo – e non sapevo più se volevo spezzarmi o no. Ma, dietro alle telecamere, lungo i viali, ho visto passare tante persone dal viso triste, affaticato, ma non vinto, che mi guardavano con affetto e mi mandavano un chiaro messaggio: “Resisti, resisti, resisti! Non crollare! Sei il nostro unico campanile rimasto! Abbiamo bisogno che tu ci sia per poter sperare ancora in un futuro migliore!”.

Così, grazie a loro, ho ritrovato la mia voglia di vivere, anche se tutto intorno a me era distrutto. Dopo un po’ le telecamere hanno capito che non sarei crollato e se ne sono finalmente andate. I miei amici mirandolesi continuavano a passarmi davanti, mi sorridevano e mi dicevano: “Bravo! Hai resistito! Sei tutti noi!”. E io, più magro e con molti buchi, sono ancora qui, dopo quasi un anno da quei giorni terribili. I miei amici mirandolesi lavorano tanto insieme e si aiutano tra di loro per ricostruire, insieme a generosi volontari venuti da fuori, la loro ciftà e la loro vita. Il centro di Mirandola è ancora un luogo molto triste, pieno di impalcature e con tante ferite che forse non guariranno, nonostante gli sforzi continui di tanti. Quando lo guardo, mi viene da piangere anche se si organizzano in piazza mercati, mostre e presto ci sarà di nuovo la fiera. Allora osservo un po’ più in là, in periferia, le nuove scuole, i nuovi negozi, la galleria commerciale, le attività nei container, le nuove casette in cui ora abitano tanti che prima vivevano in piazza.

Di notte chiamo sempre Francesco e le sue pietre, da terra, mi rispondono: “Ciao, Duomo! Beato te che sei ancora in piedi! Dai, raccontami che cosa vedi da lassù perché io, qui dal basso, non vedo niente!”, io, allora, gli racconto tutte le novità positive e lo sento felice, sempre accanto a me, sempre dentro di me. C’erano una volta due campanili a Mirandola. Adesso in piedi ce n’è uno solo, ma l’altro è ancora vivo e forte nel suo cuore e in quello di tutti i mirandolesi. E forse, con molta fatica, sudore, tenacia, anche qui a Mirandola si potrà tra qualche tempo tornare a vivere come prima, meglio di prima, felici e contenti.

Questa storia è stata tra le vincitrici del concorso:

“La scuola studia e racconta il terremoto” A.S.2012/2013

Indetto dal Miur – Roma

Centro di Educazione alla Sostenibilità “La Raganella”

Illustrazioni a cura di Monica Morselli

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