Al Cranval Finalese

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1928 lorchestra di remo soriani tratta dal libro- san martino spino album di famiglia 2

La più vistosa “sagra pagana” dell’anno viene celebrata con una serie di viglion privati, vere e proprie feste ad invito, organizzati da gruppi di giovani. Si balla e ci si diverte al suono di pic­cole orchestre (clarino, fisarmonica e violino) e ci si esibisce in passi di danza “classici”: valzer, polca e mazurca. Alcuni giri di danza hanno un nome tutto particolare e la loro esecuzione conferisce un colore prettamente popolare alla festa.

Al bàl dal cumparmés è riservato agli intrusi che non mancano mai. Chi si presenta alla festa senza essere stato invitato può chiedere ad un ballerino, toccandolo sulla spalla, che gli sia ceduta la dama con la quale potrà fare solo quel ballo.

Al bàl dal granadlìn è eseguito dal ballerino che, rimasto senza dama, si esibisce con una scopa. Se poi con questa toccherà un altro bal­lerino, costui gli cederà la dama e continuerà a sua volta a ballare con la scopa.

Nel bàl dal spèc la ballerina sceglie il cavaliere di turno guardando in uno specchio che tiene fra le mani, mentre nel bàl dla scràna la balle­rina che nessuno ha tòlt su rimane a sedere su una sedia fino a quando un ballerino non deci­derà di scambiarla con la propria dama.

Al bàl di’ “ahi” è il più appariscente di tutti i balli carnevaleschi. L’invito alla danza viene rivolto attraverso un rituale di domande e risposte improvvisate o codificate, impostate su una serie di rime (o non-rime) nelle quali trova libero sfogo la fantasia individuale. Spesso la rima è pesante, quasi volgare: ma tutto s’inquadra alla perfezione nello spirito carnevalesco. (…)

Il dialogo comincia, in lingua, con una parte fissa, codificata:

“Ahi!”

“Cos’hai?”

“Una ferita! ”

“Dove?”

alla quale segue l’improvvisazione, quasi sem­pre in dialetto:

“In dal cuor,

par balar con ti

che t’è ‘l mè amor.”

“In d na gamba, par balar con ti che t’è na stanga! “

“In un bugnìn, ti ‘t ‘gh ha la gabia e mi ‘gh ho l’uslìn!”(…)

 

Zobia frittura

E’ il penultimo giovedì di carnevale. (…) Si mangiano frittelle con l’àmna: imbottite, cioè, con una fetta di salame. Non mancano i gnuchìn e i csintìn, anch’essi imbottiti con una fetta di salame o formaggio e fritti.

Zobia grasa

Ultimo giovedì di carnevale. (…) Fame e miseria, a volte anche l’ingordigia, spin­gono molti ad andare di casa in casa a chiedere la grazia di una fetta di lardo o di un salsicciot­to (murlìn). In mano i questuanti reggono un bastoncino appuntito[spròch) nel quale infila­no le offerte. (…)

E di rito una cucina grassa: si consumano pie­dini di maiale e zamponi [zampét ad ninìn oppure zampóri).

 

Ultim dì ‘d cranvàl (…)

Pasà cranvàl e cranvalìn

pèrs la mrósa e finì i quatrìn. Dolce di rito sono il fràp, fritte e servite abbon­dantemente cosparse di zucchero a velo.

C.A.R.C. 1981

Tratto da “Il setaccio della memoria” Comune di Finale Emilia anno 2000

La foto: 1928 – l’orchestrina di Remo Soriani Da sinistra: Rocco Tironi, Renato Franciosi, Armando Guerzoni, Remo Soriani e Cinzio Soriani – Tratta dal libro “San Martino Spino Album di Famiglia

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