Mirandola – Il Tricolore e l’Indipendenza Italiana – Mirandola prima città d’Italia a proclamare l’Indipendenza?

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Tricolore Cisalpino esposto al balcone municipio

MIRANDOLA IL TRICOLORE E L’INDIPENDENZA ITALIANA

Mirandola prima città d’Italia a proclamare l’Indipendenza?

 Tutti sappiamo che il tricolore è nato a Reggio Emilia nel 1797 in piena epoca napoleonica, copiando il tricolore francese,  prima come simbolo della Repubblica Cispadana, poi anche della  Repubblica Cisalpina.

Pochi sanno che a Mirandola, dal 3 febbraio  al 7 marzo 1831 i cittadini mirandolesi lo poterono ammirare esposto sul balcone del municipio come simbolo di INDIPENDENZA ITALIANA, vediamo riassumendo fortemente, come si giunse a quell’importante evento che forse non è mai stato abbastanza valorizzato.

Nel periodo napoleonico, il tricolore sotto forma di nastri e coccarde apparve a più riprese in piazza a Mirandola sui vari alberi della libertà che furono piantati, estirpati e ripiantati con alterne vicende.

Importante ricordare anche una grande figura mirandolese di quel periodo storico, Giuseppe Luosi avvocato, grande esperto di diritto che divenne governatore della Romagna nella Repubblica Cispadana e ministro della giustizia nella Repubblica Cisalpina.

Finita l’era napoleonica nel 1814 arrivò il congresso di Vienna, quello della Restaurazione, che si proponeva di cancellare il ricordo delle conquiste fondate sui valori della Rivoluzione francese, Libertà, Uguaglianza, Fraternità e di ripristinare i vecchi stati in cui era frastagliata l’Italia, quella definita sprezzantemente da Metternicht come una semplice espressione geografica…. Restaurazione si, ma fino ad un certo punto, perché l’Austria si “scordò” di ripristinare la Repubblica di Venezia e se la tenne per sé, ma questa è un’altra storia!

La Restaurazione riportò al potere in Italia ed in Europa i vecchi sovrani, ma non riuscì a cancellare il ricordo dell’esperienza vissuta con Napoleone Bonaparte ai tanti che vi avevano creduto, fu così che si svilupparono le sette segrete, come la Carboneria che si proponeva di formare lo Stato Italiano governato da Monarchia Costituzionale e i mazziniani invece che puntavano direttamente a formare la Repubblica Italiana.

Si arrivò cosi nel giro di pochi anni, a cominciare dal 1821, ai primi moti insurrezionali, moti che purtroppo fallirono miseramente con varie condanne a morte dei rivoltosi sia a Napoli che a Torino, senza troppo coinvolgere il Ducato di Modena e Reggio.

Solamente dopo dieci anni, nel 1831 sia in Europa che in Italia, si levò una nuova ondata di protesta verso i regimi assolutistici riportati al potere dal citato Congresso di Vienna. In Italia l’anelito di libertà soffiava molto forte, specialmente nel Ducato di Modena e Reggio e un po’ in tutto il Centro Italia. Ciro Menotti, modenese nato a Carpi, organizzò la rivolta per il 5 febbraio, in un primo tempo quasi appoggiato dal Duca che forse sperava di volgere a suo favore i sentimenti e l’animo di questi liberali rivoluzionari, ma questi preso dalla paura per gli avvenimenti europei contrari ai moti italiani, decise di cambiare strategia e contrastare i rivoluzionari. Ciro Menotti si era accorto di questo cambio di umore del Duca e per questo decise di anticipare l’insurrezione al 3 febbraio in tutto lo stato modenese, cosa che comunque non riuscì a prendere di sorpresa Francesco IV, il quale anzi prese d’assedio anche a cannonate la casa di Ciro Menotti e questi fu costretto alla resa. Non fu così invece nel resto del Ducato, dove i vari raggi (così venivano chiamati i gruppi rivoluzionari sparsi sul territorio), dei vari comuni come Sassuolo, Carpi e Mirandola, insorsero ed ebbero la meglio sulle guardie ducali. Dopo due giorni dall’arresto di Ciro Menotti, il Duca intimorito dalla reazione della popolazione modenese e da un ventilato attacco dei rivoluzionari bolognesi insorti il 4 febbraio, la mattina del 5 febbraio manda alcuni reparti militari a Carpi per schiacciare la rivolta e prepararsi la strada per scappare a Mantova, portandosi dietro il capo dei rivoltosi modenesi Ciro Menotti, accompagnato da 700 soldati.

A Mirandola addirittura il pomeriggio del 3 febbraio dopo lo scoppio dell’insurrezione, Barbetti Alessandro capo dei rivoluzionari la sera stessa viene nominato dittatore ed egli affacciandosi sulla piazza con un discorso infuocato, dal balcone del municipio, emana immediatamente il proclama di INDIPENDENZA ITALIANA ESPONENDO IL TRICOLORE (quello della Guardia Civica della Repubblica Cisalpina a strisce orizzontali).

Pure S.Felice era insorta contro il Duca, anche se i dragoni erano riusciti a soffocare la rivolta, ma il 4 febbraio, Barbetti che si era recato a Modena con 40 rivoluzionari, dove aveva appreso della cattura di Ciro Menotti,  al ritorno andò in soccorso a Giuseppe Campi capo dei rivoltosi sanfeliciani e insieme sconfissero i dragoni.

Con questo atto della PROCLAMAZIONE DELL’INDIPENDENZA ITALIANA, Mirandola probabilmente fu se non la prima, una delle prime città italiane a formalizzare questo atto e rimase in questa situazione di indipendenza, mantenendo esposto il tricolore sino al 7 marzo, quando gli austriaci riaccompagnarono a Modena il Duca con 6.000 soldati contro i quali nulla poterono i 300 volontari modenesi capitanati da Antonio Morandi che tentarono di fermarli presso Novi.

I mirandolesi condannati a morte o all’ergastolo dopo il ritorno del Duca furono:

Barbetti Alessandro

Tabacchi Alberto

Rezzati Filindo detto Zanaroli

Guvi Michele

Barbetti Luigi

Lolli Dott. Flaminio

Malavasi Luciano

Muller Giovanni

Montanari Giuseppe detto Bozzalino, zio di Francesco

Panizzi Dott. Lorenzo

Polacchini Domenico

Gavioli Giovanni

Martinelli Ing. Paolo

Bignardi Ing. Giacomo

In questo contesto storico dei moti del 1831, il bimbo Francesco Montanari all’età di 9 anni cominciava a respirare quel desiderio di libertà e indipendenza italiana, per la quale lo zio paterno Giuseppe Montanari detto Bozzalino  era stato condannato all’ergastolo dal Duca Francesco IV. Quel bimbo di cui quest’anno 2022, celebriamo il bicentenario della nascita, diverrà aiutante di campo di Garibaldi nelle guerre d’indipendenza, sino all’impresa dei Mille nella quale morirà.

Questo testo sicuramente scarso e incompleto, non ha nessuna velleità, si propone più che altro di chiedere aiuto a chi è interessato alla storia della nostra città, per verificare se veramente Mirandola può essere catalogata come prima città d’Italia a PROCLAMARE L’INDIPENDENZA ITALIANA, come ipotizzato dal Dott. V. Cappi nel suo libretto dedicato ai Moti del 1831, dal quale ho attinto per scrivere questo frettoloso riassunto, a cui allego anche una immagine del Municipio di Mirandola, al quale ho aggiunto il tricolore cisalpino a bande orizzontali esposto al balcone.

Sarebbe interessante poter chiarire questa ipotesi e magari una volta verificata, prepararci a celebrarla degnamente nel 2031, in occasione della ricorrenza del bicentenario dei moti risorgimentali del 1831 innescati da Ciro Menotti.

Mirandola 3 febbraio 2022

Ubaldo Chiarotti

MIRANDOLA IL TRICOLORE E L’INDIPENDENZA ITALIANA

Mirandola prima città d’Italia a proclamare l’Indipendenza?

 Tutti sappiamo che il tricolore è nato a Reggio Emilia nel 1797 in piena epoca napoleonica, copiando il tricolore francese,  prima come simbolo della Repubblica Cispadana, poi anche della  Repubblica Cisalpina.

Pochi sanno che a Mirandola, dal 3 febbraio  al 7 marzo 1831 i cittadini mirandolesi lo poterono ammirare esposto sul balcone del municipio come simbolo di INDIPENDENZA ITALIANA, vediamo riassumendo fortemente, come si giunse a quell’importante evento che forse non è mai stato abbastanza valorizzato.

Nel periodo napoleonico, il tricolore sotto forma di nastri e coccarde apparve a più riprese in piazza a Mirandola sui vari alberi della libertà che furono piantati, estirpati e ripiantati con alterne vicende.

Importante ricordare anche una grande figura mirandolese di quel periodo storico, Giuseppe Luosi avvocato, grande esperto di diritto che divenne governatore della Romagna nella Repubblica Cispadana e ministro della giustizia nella Repubblica Cisalpina.

Finita l’era napoleonica nel 1814 arrivò il congresso di Vienna, quello della Restaurazione, che si proponeva di cancellare il ricordo delle conquiste fondate sui valori della Rivoluzione francese, Libertà, Uguaglianza, Fraternità e di ripristinare i vecchi stati in cui era frastagliata l’Italia, quella definita sprezzantemente da Metternicht come una semplice espressione geografica…. Restaurazione si, ma fino ad un certo punto, perché l’Austria si “scordò” di ripristinare la Repubblica di Venezia e se la tenne per sé, ma questa è un’altra storia!

La Restaurazione riportò al potere in Italia ed in Europa i vecchi sovrani, ma non riuscì a cancellare il ricordo dell’esperienza vissuta con Napoleone Bonaparte ai tanti che vi avevano creduto, fu così che si svilupparono le sette segrete, come la Carboneria che si proponeva di formare lo Stato Italiano governato da Monarchia Costituzionale e i mazziniani invece che puntavano direttamente a formare la Repubblica Italiana.

Si arrivò cosi nel giro di pochi anni, a cominciare dal 1821, ai primi moti insurrezionali, moti che purtroppo fallirono miseramente con varie condanne a morte dei rivoltosi sia a Napoli che a Torino, senza troppo coinvolgere il Ducato di Modena e Reggio.

Solamente dopo dieci anni, nel 1831 sia in Europa che in Italia, si levò una nuova ondata di protesta verso i regimi assolutistici riportati al potere dal citato Congresso di Vienna. In Italia l’anelito di libertà soffiava molto forte, specialmente nel Ducato di Modena e Reggio e un po’ in tutto il Centro Italia. Ciro Menotti, modenese nato a Carpi, organizzò la rivolta per il 5 febbraio, in un primo tempo quasi appoggiato dal Duca che forse sperava di volgere a suo favore i sentimenti e l’animo di questi liberali rivoluzionari, ma questi preso dalla paura per gli avvenimenti europei contrari ai moti italiani, decise di cambiare strategia e contrastare i rivoluzionari. Ciro Menotti si era accorto di questo cambio di umore del Duca e per questo decise di anticipare l’insurrezione al 3 febbraio in tutto lo stato modenese, cosa che comunque non riuscì a prendere di sorpresa Francesco IV, il quale anzi prese d’assedio anche a cannonate la casa di Ciro Menotti e questi fu costretto alla resa. Non fu così invece nel resto del Ducato, dove i vari raggi (così venivano chiamati i gruppi rivoluzionari sparsi sul territorio), dei vari comuni come Sassuolo, Carpi e Mirandola, insorsero ed ebbero la meglio sulle guardie ducali. Dopo due giorni dall’arresto di Ciro Menotti, il Duca intimorito dalla reazione della popolazione modenese e da un ventilato attacco dei rivoluzionari bolognesi insorti il 4 febbraio, la mattina del 5 febbraio manda alcuni reparti militari a Carpi per schiacciare la rivolta e prepararsi la strada per scappare a Mantova, portandosi dietro il capo dei rivoltosi modenesi Ciro Menotti, accompagnato da 700 soldati.

A Mirandola addirittura il pomeriggio del 3 febbraio dopo lo scoppio dell’insurrezione, Barbetti Alessandro capo dei rivoluzionari la sera stessa viene nominato dittatore ed egli affacciandosi sulla piazza con un discorso infuocato, dal balcone del municipio, emana immediatamente il proclama di INDIPENDENZA ITALIANA ESPONENDO IL TRICOLORE (quello della Guardia Civica della Repubblica Cisalpina a strisce orizzontali).

Pure S.Felice era insorta contro il Duca, anche se i dragoni erano riusciti a soffocare la rivolta, ma il 4 febbraio, Barbetti che si era recato a Modena con 40 rivoluzionari, dove aveva appreso della cattura di Ciro Menotti,  al ritorno andò in soccorso a Giuseppe Campi capo dei rivoltosi sanfeliciani e insieme sconfissero i dragoni.

Con questo atto della PROCLAMAZIONE DELL’INDIPENDENZA ITALIANA, Mirandola probabilmente fu se non la prima, una delle prime città italiane a formalizzare questo atto e rimase in questa situazione di indipendenza, mantenendo esposto il tricolore sino al 7 marzo, quando gli austriaci riaccompagnarono a Modena il Duca con 6.000 soldati contro i quali nulla poterono i 300 volontari modenesi capitanati da Antonio Morandi che tentarono di fermarli presso Novi.

I mirandolesi condannati a morte o all’ergastolo dopo il ritorno del Duca furono:

Barbetti Alessandro

Tabacchi Alberto

Rezzati Filindo detto Zanaroli

Guvi Michele

Barbetti Luigi

Lolli Dott. Flaminio

Malavasi Luciano

Muller Giovanni

Montanari Giuseppe detto Bozzalino, zio di Francesco

Panizzi Dott. Lorenzo

Polacchini Domenico

Gavioli Giovanni

Martinelli Ing. Paolo

Bignardi Ing. Giacomo

In questo contesto storico dei moti del 1831, il bimbo Francesco Montanari all’età di 9 anni cominciava a respirare quel desiderio di libertà e indipendenza italiana, per la quale lo zio paterno Giuseppe Montanari detto Bozzalino  era stato condannato all’ergastolo dal Duca Francesco IV. Quel bimbo di cui quest’anno 2022, celebriamo il bicentenario della nascita, diverrà aiutante di campo di Garibaldi nelle guerre d’indipendenza, sino all’impresa dei Mille nella quale morirà.

Questo testo sicuramente scarso e incompleto, non ha nessuna velleità, si propone più che altro di chiedere aiuto a chi è interessato alla storia della nostra città, per verificare se veramente Mirandola può essere catalogata come prima città d’Italia a PROCLAMARE L’INDIPENDENZA ITALIANA, come ipotizzato dal Dott. V. Cappi nel suo libretto dedicato ai Moti del 1831, dal quale ho attinto per scrivere questo frettoloso riassunto, a cui allego anche una immagine del Municipio di Mirandola, al quale ho aggiunto il tricolore cisalpino a bande orizzontali esposto al balcone.

Sarebbe interessante poter chiarire questa ipotesi e magari una volta verificata, prepararci a celebrarla degnamente nel 2031, in occasione della ricorrenza del bicentenario dei moti risorgimentali del 1831 innescati da Ciro Menotti.

Mirandola 3 febbraio 2022

Ubaldo Chiarotti

Albero della Libertà

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