Un pilota ricorda – Ultimo incidente – Capitolo VII

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7 - Ultimo deltaplano

Ultimo incidente.

30 giugno 1.990, una data storica nella mia carriera di pilota.

Oggi avrò il mio ultimo incidente. Tutti i preparativi per il volo sono terminati e mi trovo in testata pista col motore acceso in attesa dell’atterraggio di un altro pilota.

Non appena la pista è libera accelero e rilascio i freni iniziando la corsa di decollo.

Sto per raggiungere la velocità di stacco quando un fracasso tremendo alle mie spalle mi induce a togliere il piede dall’acceleratore e frenare bruscamente spegnendo immediatamente il motore. Scendo dal delta e mi porto verso il motore e l’elica per scoprire cosa diavolo sia successo. Ai miei occhi si presenta una scena demoralizzante. Elica rotta, un paio di strappi sulla semiala destra e manca il parafango della ruota posteriore destra i cui resti sono sparsi sulla pista alle mie spalle. Sposto a mano il velivolo verso una zona in cui non dia fastidio alle operazioni di volo e mi metto ad esaminare con attenzione i danni. Non mi ci vuole molto a capire che ancora una volta i materiali di scarsa qualità sono i responsabili dell’accaduto. I due parafanghi posteriori, in materiale plastico, sono fissati alle ruote da due sottili barrette di metallo più simili alla latta che non al ferro. A lungo andare le vibrazioni ed i sobbalzi sul terreno diseguale hanno indebolito una di queste barrette producendo una crepa. Durante l’ultima corsa di decollo la suddetta ha ceduto, il parafango si è staccato e rimbalzando sul terreno è finito contro la pala dell’elica che l’ha disintegrato spedendone alcuni frammenti verso l’ala che ne è rimasta danneggiata.    Per prima cosa tolgo il parafango ancora integro ed i resti dell’altro, poi smonto l’elica e la consegno al pilota/falegname che la rimetterà in sesto, quindi mi armo di ago, refe e loctite e rammendo l’ala con un risultato artigianale ma soddisfacente.

Riprendo i voli due giorni dopo, ma la tranquillità è andata persa. Ogni volta che inizio la corsa di decollo e fino ad atterraggio avvenuto il pensiero corre ai bulloni che possono sfilarsi o ai materiali che possono cedere all’improvviso. Non è un bel volare, ma tre mesi dopo mi si presenta un’occasione d’oro.

Uno dei piloti più anziani, come attività, aveva comprato un Motodelta nuovo equipaggiato con un’ala Atlas 21 , anch’essa nuova, una settimana prima del mio arrivo al campo di S. Felice. Da allora, per motivi familiari, aveva praticamente smesso di volare lasciandolo a prendere polvere nell’hangar ed usandolo per non più di una decina di ore. A malincuore lo mette in vendita ed io sono il fortunato a cui viene offerto per primo. Non perdo l’occasione e pur con notevoli sacrifici economici riesco a raggiungere un accordo ed il 6 ottobre lo porto in volo per la prima volta.    E’ un volare diverso. L’ala è leggermente più pesante da manovrare e sente maggiormente le termiche e la turbolenza creata dal vento a raffiche, ma mi ci abituo presto; inoltre ho la possibilità di caricare un passeggero, cosa che inizierò a fare ben presto, in particolar modo col gentil sesso. Portando in volo le ragazze, prendo l’abitudine di cedergli per qualche istante i comandi con la scusa di fargli provare l’emozione. In questo modo devono piegarsi in avanti appoggiandomi le tette sulle spalle, una vera emozione!!!

Una domenica con parecchia attività sul campo, mi capita una di queste occasioni. Un amico mi chiede di far provare il brivido del volo ad una ragazza. Non mi tiro certo indietro. Le procuro un casco, le faccio le raccomandazioni di rito e la sistemo sul delta. Avvio il motore, salgo e mi porto in testata pista. Controllo che i movimenti dell’ala siano liberi, un’occhiata in cielo per assicurarmi che la via sia libera e partenza. Non appena mi stacco da terra il velivolo sbanda fortemente a sinistra e per mantenerlo in linea di volo debbo spingere con tutte le mie forze i comandi verso sinistra. Il cuore mi batte all’impazzata ma mantengo il sangue freddo e non cedo al panico. Con i muscoli tesi nello sforzo di mantenere il velivolo in volo livellato, prendo quota e compio una larga e dolce virata appena accennata per riportarmi in circuito ed effettuare quello che prevedo sarà un difficile atterraggio. Le braccia cominciano a dolermi ed inizio a temere di non riuscire a tener duro, ma per mia fortuna c’è un momento di pausa nell’attività volativa e non devo attendere. Nonostante tutto, l’atterraggio si rivela più facile del previsto e non appena le ruote toccano terra posso finalmente rilassare le braccia che non ne potevano proprio più. Parcheggiato il delta, la ragazza mi chiede se è tutto qui; per fortuna non si è accorta di niente. Le snocciolo una scusa poi mi dirigo verso Lucio per spiegargli l’accaduto. Insieme esaminiamo l’ala e sveliamo ben presto l’arcano. Spostando il delta a mano, un’estremità della semiala destra aveva toccato il terreno e l’ultima stecca si era incastrata sotto il tip (un tubicino di alluminio che ha il compito d’impedire  che l’ala si pieghi troppo verso il basso durante alcune manovre particolari del volo). La lieve deformazione del profilo alare prodottasi aveva generato un effetto aerodinamico che spingeva la semiala sinistra verso il basso e conseguentemente l’altra verso l’alto. Una volta sbloccata la stecca e controllato che non si fosse piegata le cose tornano a posto e la ragazza si può finalmente godere il volo.

Anche i voli più tranquilli a volte possono cambiare improvvisamente a causa di fattori esterni ed assolutamente non preventivabili. Ne è un chiaro esempio questo volo che si presentava come routine.

Stavo andando  da S. Felice verso Mirandola passando sopra S. Biagio. Giunto quasi all’altezza della chiesa, noto due persone affacendate in qualcosa di non ben definito nel prato retrostante. Non ci faccio caso più di tanto e mentre distolgo lo sguardo, alla mia sinistra, alla mia stessa quota e a non più di trenta metri di distanza appare una piccola nuvoletta bianca. Nel contempo sento mezzo soffocato dal rumore del motore un piccolo botto. Non capendo bene cosa sia successo, archivio il fatto in un cassetto della memoria e mi godo il resto di un normalissimo volo. Quando la sera torno a casa, decido di passare da S. Biagio. Attraversando a passo di lumaca la locale sagra, capii immediatamente cosa era successo quel pomeriggio. I due tizi che avevo visto trafficare dietro la chiesa, stavano preparando i fuochi artificiali e, senza tanti riguardi per me che stavo sorvolando la zona, ne avevano provato uno proprio in quel momento. Era esploso molto vicino al mio delta, ma per foruna doveva essere molto piccolo e comunque penso che avrebbe dovuto colpirmi direttamente per procurarmi danni seri.

Nonostante ripeta continuamente, agli amici che mi chiedono quali sensazioni si provassero in volo, che ogni volta era diverso e che non esistono voli uguali o monotoni, in alcuni casi volando in solitaria e senza una meta precisa cercavo di vivacizzare il momento in qualche modo.

Nella nostra zona è facile trovare in volo coppie di aironi grigi. Questi grandi uccelli hanno un volo molto aggraziato, quasi solenne e molto lento; la loro velocità massima è inferiore a quella consentita dalla Atlas 21. Avevo preso l’abitudine quando li incrociavo di mettermi in coda ad una cinquantina di metri e seguirli. Naturalmente il forte rumore li spaventava e quelli iniziavano delle virate per seminarmi che io cercavo di seguire il più fedelmente possibile, ma senza avvicinarmi più di tanto. La cosa mi riusciva piuttosto bene, ma poi le virate si facevano sempre più strette, fino a che non decidevano di effettuare una picchiata seguita da un veloce dietrofront. A questo punto li lasciavo andare, anche perchè trovandosi ora ad una quota più bassa si mimetizzavano perfettamente con la campagna sottostante e perderli di vista era un attimo. Non valeva la pena perdere tempo a cercarli, li avrei ritrovati un altro giorno.

Una manovra che mi divertiva parecchio ma che presentava un fattore di rischio relativamente elevato consisteva nel raggiungere una quota di almeno mille metri (quota massima raggiunta 2.000 metri). Giunto a quell’altezza, mettevo il motore al minimo, tiravo completamente verso di me la barra di comando e poi la spingevo tutta a destra. Ne usciva una decisa picchiata in una spirale strettissima verso sinistra. La forza centrifuga mi schiacciava sul sedile e perdevo la quota, faticosamente raggiunta in una decina di minuti, in pochi ma adrenalitici secondi. Qualcuno quando lo racconto mi chiede se valeva la pena rischiare tanto. Cavoli se ne valeva la pena!

In questi dodici anni le mie bestie nere sono state le termiche estive ed il vento a raffiche. Nella stagione calda, ad una temperatura superiore ai 25 gradi celsius, il suolo si riscalda in modo non omogeneo a secoda del tipo di terreno e vegetazione. Si formano così delle invisibili bolle di aria calda  che si staccano dal terreno e salgono con una velocità che varia a seconda della propria ampiezza e temperatura; queste sono le termiche. Passarvi in mezzo mentre si vola con mezzi così leggeri come i deltaplani è qualcosa di impressionante. Si possono compiere balzi improvvisi verso l’alto anche di un centinaio di metri e più, e quando ne esci ne perdi il sostentamento e ricadi in verticale, vere e proprie montagne russe. Vi assicuro che non è affatto piacevole. Quando poi ti colpiscono solo un’ala, il cuore ti balza in gola ed il rischio di rovesciarti ti sembra molto vicino. Ora capite perchè nella stagione estiva raramente decollavo prima delle 18.00? Paradossalmente volavo quasi più d’inverno che d’estate, tempo permettendo.

Il vento a raffiche era meno terribile, ma sentire quelle improvvise spinte, specialmente se arrivavano lateralmente, mi erano di stimolo ad atterrare il più presto possibile. Una volta raffiche più violente del solito mi costrinsero a lasciare il deltaplano nel campovolo di S. Possidonio, dove ne ero stato sorpreso. Andai a recuperarlo due giorni dopo.

Il 28 ottobre del 2.001 l’ultimo decollo. Una veloce salita a tutto gas, un paio di virate fatte col cuore ed un atterraggio perfetto, poi consegno il deltaplano a motore nelle mani del nuovo proprietario.

Dopo 417 ore e 41 minuti di volo e 1.414 atterraggi ero di nuovo coi piedi per terra. Nessun rimpianto né ripensamento, ma quando ricordo … wow!!!

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