Vanni Chierici – Tradizioni perdute

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Tugnet classe 1898

“A son gnu a dar al Bon Cavdann, ch’a scampadi zent ann, zent ann e un dè, la bona man l’am ven a me.”

Ve la ricordate questa filastrocca? Certamente sì se avete almeno cinquant’anni. Appartiene ad una delle tante tradizioni popolari che si sono perse con l’avanzare del progresso e del benessere, perché non hanno più ragione d’essere. Questa canzoncina apparteneva all’antica usanza da parte dei bambini di andare, la mattina del primo dell’anno, a bussare alle porte, e negli ultimi tempi a suonare i campanelli, della brava gente per augurare loro il buon anno e ricevere in cambio dolci, roba da mangiare e, dopo l’ultima guerra, soldi. Un’usanza vecchia di secoli nata per rallegrare per qualche giorno i bambini poveri che altrimenti i dolci non se li potevano nemmeno sognare.

Da esperienza personale, alla fine degli anni “50 le famiglie che avevano già raggiunto un minimo di sicurezza economica, stipendio sicuro, cominciavano a sostituire i dolci con monetine, meno impegnative dal punto di vista organizzativo, e senza più pretendere la filastrocca, era sufficiente uno scialbo “Buon anno”. La mancanza dello spirito della tradizione e l’aumento generalizzato del benessere non potevano che portare al termine dell’antica usanza. Credo che gli ultimi bambini, spesso spinti più dalle famiglie nostalgiche che da un vero proprio desiderio, si siano visti in giro negli anni “70.

Un’altra vecchia usanza, ma che riguardava solo i poveri ed era praticata per lo più in campagna, era quella del Giovedì Grasso chiamata Onzr al sprocch”, ungere lo sprocco/spiedino. Piccoli gruppi di bambini poveri  appartenenti alla stessa famiglia bussavano alle porte dei casolari dove si sapeva, o si sospettava, che avessero ucciso il porco. All’apertura della porta iniziavano a cantilenare: ”A sèm gnu ad onzr’ al sprocch, ch’a m’in dadi un bel balocch, ch’a m’in dadi un balucchen, sol par onzr’ al mè sprucchen”. (Siamo venuti per ungere questo stecco, datemene un bel pezzetto, o anche solo un pezzettino, che basti ad ungere il mio stecchino). La “razdora” della casa infilava nello spiedino un pezzo di lardo o pancetta e tutti erano contenti. Quest’antica tradizione andò persa un po’ prima del buon anno e già a metà anni “50 non ve n’era più traccia.

E per finire questa breve carrellata ecco un’altra tradizione perduta, questa meno conosciuta, credo. Si chiamava La mattinata o ciucòna, aveva radici nel medioevo e scomparve nell’ultimo dopoguerra. La ragion d’essere di questa antica pratica sta, forse, nella carenza di ragazze in età da marito. Quando un vedovo si risposava, in particolare se con una ragazza più giovane, gli scapoli del villaggio pensavano di essere stati defraudati di una possibile moglie da parte di chi già aveva avuto. Il giorno delle nozze, essi si riunivano in gruppo e all’uscita della chiesa, usando padelle, casseruole e materiali vari, iniziavano una cacofonia di rumori e suoni assordanti che dovevano rappresentare la protesta della moglie defunta. L’unico modo per la coppia di sposi di far cessare tale disturbo era d’invitare i giovani in casa ed offrire loro da bere per simboleggiare il rappacificamento dello spirito della defunta. Se gli sposi si rifiutavano, la “cagnara” veniva fatta la notte stessa sotto le finestre della novella coppia, con notevole perdita di concentrazione da parte dello sposo.

Come si vede una goliardata innocente. Eppure un giorno essa si trasformò in tragedia. Il 23 febbraio del 1885 a Mortizzuolo, il signor Giuseppe Terrieri, cinquantenne, convolò a seconde nozze. Non è dato sapere se rifiutò all’uscita della chiesa di offrire da bere ai giovani o se questi decisero di passare direttamente al concerto notturno, fatto sta che si presentarono a notte inoltrata sotto le finestre della coppia ed iniziarono la serenata. Forse al Terrieri mancava il senso dell’umorismo, o forse non amò particolarmente l’essere stato interrotto sul più bello. Si affacciò alla finestra armato di fucile da caccia ed iniziò a sparare a destra e a manca. Ci furono vari feriti e due morti, ma ciò non valse a porre fine a questa antica tradizione che, come abbiamo già visto, arrivò fino ai primi anni “50.

Vanni Chierici

Fonti:  Paolo Golinelli – La religiosità popolare…

 Sergio Poletti – Ottocento e Novecento. Testimonianze da                

   “L’Indicatore Mirandolese.”

Cappi – La mia Mirandola.

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