San Felice – “Stagneda”, l’uomo del cavallo di Troia

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Stagneda – L’uomo del cavallo di Troia

Ivo Bergamini, classe 1930, artigiano. Iniziò a lavorare a tredici anni come apprendista dal lattoniere Marcello che aveva il suo laboratorio in via Marconi.

Di fronte lavorava il meccanico per biciclette Tonino Cavicchioni che, finita la guerra, propose a Ivo un lavoro presso un suo amico a Milano. Le necessità del momento erano molte e così accettò. Il lavoro consisteva nella lucidatura di pavimenti in parquet, che doveva essere preceduta da una levigatura fatta “a piedi”, cioè fregando questi pavimenti con della paglietta di lana di vetro legata sotto i piedi. Il lavoro era faticoso e poco soddisfacente, così dopo una settimana si licenziò, perdendo però anche il posto letto che gli era stato fornito dal datore di lavoro.

Mentre camminava per Milano alla ricerca di un nuovo impiego, passando davanti alla stazione centrale vide che degli operai stavano staccando i fogli di rame che coprivano il tetto e li sostituivano con delle lamiere. Avrebbe potuto fare molto bene quel lavoro, perciò chiese se cera bisogno di un operaio. Il titolare l’assunse subito, dicendo che aveva giusto bisogno di un’altra persona, poiché un suo dipendente era morto due giorni prima cadendo da venti metri di altezza.

Accettò immediatamente, ma doveva risolvere il problema dell’al­loggio.

Sopra la porta centrale della stazione, ci sono ancora oggi due imponenti cavalli di bronzo. Esaminandoli, vide che l’interno era vuoto e che poteva comodamente servire da alloggio. Ottenne il permesso di farlo e così per tre mesi uno dei cavalli fu la sua abitazione, piuttosto calda in estate, ma poco costosa.

Finito questo lavoro, si recò, sempre in bicicletta, nella campagna vercellese e trovò lavoro in un’azienda risicola, nei pressi della quale in quei giorni si stava girando il film “Riso amaro”. Poiché cercavano delle comparse, avrebbe voluto andare a presentarsi al regista, ma il padrone dell’azienda glielo impedì dicendo che “chi usciva dall’azienda non vi avrebbe più fatto ritorno”. Così sfumò la speranza di una carriera cine­matografica.

Si recò in seguito a Torino, dove trovò lavoro presso un meccanico che lo assunse volentieri poiché gli operai che aveva erano spesso ubriachi e i lavori non procedevano. Aveva anche un grosso appalto presso la Fiat, così l’impiego durò un certo tempo. Un giorno però le divergenze con un capo reparto divennero più serie del solito, quindi si licenziò dicendo: “Non a Valletta, ma a te e al capo fabbrica dico di andare a cagare. Io me ne vado”.

‘”Guarda che non si può uscire dalla Fiat”.

“Tu riferisci che io me ne sono andato per disobbedienza al capo”.

Questa fu la sua fortuna, perché poi trovò lavoro presso una signora architetto, moglie del presidente della FIEG (Federazione Italiana Editori Giornali) Giovanni Giovannini e con lei entrò nella cerchia della “Torino bene”. Si mise in proprio e si specializzò come idraulico installatore di bagni. Lavorò per i grandi nomi torinesi, in diversi settori, poiché anche il professor Ludovico Bergamini (sanfeliciano di nascita) lo fece cono­scere nel suo ambiente. Lavorò per tre sindaci di Torino: Peyron, Secreto e Anselmetti, ma ai primi due si permise di dire un bel “no” quando si presentarono divergenze.

Al momento della pensione, ritornò a risiedere a San Felice.

Tratto da: I Sanflisan di Ultim Sent Ann – Vist dal Bass – San Felice sul Panaro nel XX secolo attraverso i suoi abitanti

Autore Ermanno Guerzoni

Anno 2011

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