Mirandolina, Barnardon e le Maschere Modenesi

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Mirandolina

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Nel mondo delle maschere Modenesi ha fatto la sua apparizione, da qualche tempo, nelle vesti e nella figura di una amabile giovane donna, una nuova Maschera, la maschera della Città della Mirandola, che, na­turalmente, si chiama Mirandolina.

(Ufficialmente la Maschera è nata nel Giugno del 1976 in occasione della Festa del Dialetto organizzata dal Lions Club della Mirandola con la partecipazione dei poeti dialettali modenesi e reggiani del Grup­po della Trivella. Per la esattezza la Maschera aveva avuto un prece­dente importante nell’anno 1972 in quanto una bambola con lo stesso nome e con lo stesso vestito aveva vissuto qualche anno in una Scuola Materna di Mirandola, utilizzata dall’insegnante come transfert peda­gogico e figura parentale. I bambini, tramite la bambola, che sapevano rappresentare commistamente il simbolo della loro Città e della loro Comunità, ricevevano consigli, soddisfazioni e perfino ammonimenti.)

La nascita della Maschera si riallaccia, secondo una fantasia del suo inventore, ad un episodio che si fìnge capitato a Mirandola circa 250 anni fa, che avrebbe visto protagonisti il commediografo Carlo Goldo­ni e la giovane ostessa dell’antico Albergo detto la Posta vecchia (che esisteva fino a non troppe decine di anni fa) che allora era il migliore della Bassa Modenese. Il Goldoni, instancabile ed impareggiabile in­ventore ed animatore di maschere e personaggi stava lavorando ad una delle sue tante commedie per le quali, come si sa, si giovava spesso e volentieri dell’osservazione di fatti e persone della vita quotidiana. Di passaggio per la Mirandola, in occasione di un suo fugace ritorno a Modena (dove era nato suo padre e dove aveva ancora cose dì famiglia  da sistemare), alloggiato per qualche giorno a La Posta ebbe modo di osservare e di apprezzare il comportamento spiritoso ed abile della gio­vane e bella padrona alle prese con le esigenze, le pretese e le necessità della clientela; da questa situazione avrebbe ricavato non solo lo spun­to e la ispirazione per una parte della trama e per il titolo della com­media (La Locandiera) ma anche motivi per la creazione e la tipizza­zione della protagonista; alla quale anzi avrebbe dato , unico tra tutti i suoi personaggi che hanno nomi tolti dalla Commedia dell’Arte, il nome della Città dove l’aveva incontrata cioè il nome di Mirandolina. Da al­lora (sono passati circa 250 anni perché la Commedia risale al 1751) ogni tanto Mirandolina esce dalle pagine del suo libro per ritornare nella sua Città, in carne ed ossa, viva e parlante, sotto forma di Ma­schera. Il costume che porta è quello della Commedia, anzi per dir meglio quello generico delle donne della sua condizione di quel tempo con qualche nota tipica dell’abbigliamento femminile della Bassa Modenese e del Mirandolese: corpetto di velluto nero o di stoffa pesante scura con camicetta bianca increspata a maniche corte, gonna larga, lunga fino alla caviglia, scura con piccoli fiori bianchi, arricciata, pro­tetta sul davanti da un grembiule in tinta, ugualmente a fiori. La Maschera rappresenta la bellezza, la grazia e la furbizia delle donne mirandolesi e nello stesso tempo vuole simboleggiare la Città della Mi­randola che ha già rappresentato in diverse non poche occasioni (Festa delle Maschere del Lions Club della Mirandola, Festa del Giallo-Bleu degli Sportivi Mirandolesi nell’anno 1977, ”omaggio” a Sandrone e al­la Famiglia Pavironica in Modena il giorno di Giovedì Grasso degli an­ni 1977-78, ecc.). La sua lingua è il dialetto.

Barnardon

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Un altro personaggio che si presterebbe molto bene a dar vita ad una Maschera mirandolese per giunta fortemente tipizzata perché affonda le sue radici nel mondo e nelle tradizioni popolari potrebbe essere Barnardon materializzato nella figura di un apparente uomo di studio, occhialuto e in abito ottocentesco (con la sua bella redingote) con il cannocchiale in mano, proprio come si vede nella Testata del Lunario. Anche alle spalle del personaggio vive una storia; la sua lunga presenza nel mondo popolare mirandolese, le sue predizioni meteorologiche non precisissime, i suoi pronostici facilissimi ed ovvi, le sentenze, i proverbi locali, il testo stesso del Discorso generale gli darebbero più di un mo­tivo di validità.

L’origine letteraria dì Mirandolina è in contrapposto all’origine popo­lare e contadina delle altre Maschere Modenesi: Tugnon, Sandron e Tamburlan. Tugnon è la Maschera di S. Felice sul Panaro, l’impareggiabile Sandron è, come si sa, la Maschera di Modena e dei Modenesi, Tamburlan è la Maschera di Fanano.

Mirandolina che rappresenta ti­pologicamente una ragazza comune, graziosa e spiritosa ma priva di note caricaturali, quasi ”colta”, collocata tra i tipi fissi della Comme­dia dell’Arte sarebbe stata ”una giovane di garbo”. Le altre tre Ma­schere modenesi invece hanno caratteristiche tipologiche dosate su di un robusto e concreto spessore contadino e montanaro con evidenti note caricaturali. È indubbio che le forze e gli umori popolari, etnici e so­cio-culturali che hanno fatto nascere le Maschere regionali e i Tipi fissi della Commedia dell’Arte sono all’origine anche di queste tre Maschere Modenesi. La loro stessa posizione socialmente ed economicamente su­balterna ne è una conferma; la vanga che Sandrone impugna come un Re della Commedia impugnava lo scettro è il simbolo, consapevole ed accettato, di questa condizione che era un po’ quella degli Zanni (ogni Compagnia aveva due Zanni; uno rappresentava il servo furbo, l’altro quello sciocco) dalla quale non si poteva evadere se non con l’aiuto della furberia, della finta dabbenaggine, della pazienza tollerante, del­l’arguzia mescolate all’occorrenza con un po’ di millanteria. I perso­naggi della Commedia dell’Arte in genere si sono trasferiti ed hanno se­guitato a vivere, dopo il Goldoni, nel mondo dei Burattini.

Sandrone

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Il periodo burattinaio di Sandrone ci mostra un personaggio più candido ed in­colto di quello presente, sempre ancorato al mondo contadino e, specie nelle “Farse” millantatore e manesco, talvolta ma solo provvisoria­mente pusillamine di fronte ai potenti e più di tutto di fronte al so­prannaturale, in definitiva una specie di eroe antieroico e tuttavia alla fine una specie di giustiziere bonaccione e spassoso, vittorioso a suon di legnate sull’ingiustizia e il sopruso, sormontatore di indicibili diffi­coltà creategli dagli avvenimenti e, spesso e anche in misura non picco­la, dalla indisciplina della famiglia composta, come tutti sanno, dall’ir­requieto Sgurghigul (Sgorghiguelo) dalla meritata fama di scarso lavo­ratore e dalla affettuosa e petulante Pulonia (Apollonia). Qualche bu­rattinaio invece aveva preferito spingere e mettere in risalto in Sandro­ne maggiormente certe sue caratteristiche di campagnolo piuttosto semplice, in certe situazioni un po’ ottuso (Sandrone è il superlativo con sfumature dispregiative di Alessandro), zotico e gradasso (però di animo buono e perciò in definitiva personaggio gradevole), una specie di miles gloriosus, salvatore della patria a cose fatte, robusto assertore di usi villerecci, personalità scombinata, di eloquio se in lingua compli­cato e retorico ma sempre dotato di grande senso di onestà e rettitudi­ne. Oltre che dalla tradizione burattinaio (che è stata fondamentale per la conoscenza capillare del personaggio) la fortuna e l’affermazione presenti di Sandrone sono state favorite, si può dire determinate dall’a­vere egli avuto a disposizione per tanti anni per i suoi Discorsi Ufficiali (gli ”sproloqui”) testi impareggiabili (del cav. Ugo Preti; la maschera è interpretata dal cav. Giordano Brusoni di Modena) e dall’avere alle spalle l’azione sostenitrice, affettuosa e corale della centenaria Società del Sandrone. Dal coagulo di questi umori, antichi e recenti, il perso­naggio è venuto a consolidarsi piano piano nella figura di un  “tipo fis­so di Maschera locale” con caratteristiche peculiari sia sul piano della cultura popolare che su quello etnico folcloristico al punto da poter es­sere identificabile chiaramente, anche se in chiave leggermente caricatu­rale, con certi atteggiamenti comportamentali e psicologici del popolo e della regione modenesi.

Tugnon

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Anche per Tugnon (Antonione) valgono più o meno gli stessi concetti; la sua nascita rispetto a quella pluricentenaria di Sandrone è piuttosto recente e risale circa agli anni trenta ma la sua caratteristica tipologica è così affermata che la Maschera sembra, come quella di Sandrone, che sia vissuta da sempre; perché certamente risponde a caratteristiche popolari universali e della gente locale. Tugnon è, come si è detto, la Maschera di S. Felice sul Panaro, luogo di antiche tradizione contadi­ne; perciò veste i panni, da festa, del contadino della Bassa Modenese di una foggia vagamente tardo-settecentesca (giacca e corpetto di pan­no ruvido, pantaloni sotto al ginocchio con calze rigate a colori, gran­de fazzoletto al collo e cappello scalcagnato) e della popolazione ma­schile e rumorosa della Bassa presenta come si è detto molte caratteri­stiche, la bonomia, la arguzia, l’astuzia, la simpatia. Contingentalmen­te la Maschera deve la sua fortuna alla versatilità del personaggio che la interpreta (il cav. Mario Bozzoli) ricco di fantasia e di estro, di lin­guaggio colorito e schietto, di pronta risposta, capace di improvvisare ”a tema” proprio come un antico Comico dell’Arte. Il suo parlare è il dialetto.

La Famiglia Frascona - Fanano

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Tamburlan (Tamburlano) è la Maschera di Fanano e per esteso della Montagna Modenese. Nonostante il nome che richiama quello del fero­ce guerriero turco Tamerlano la Maschera rappresenta un personaggio pacifico e sedentario, saggio e bonaccione, che ama i suoi modi, le abitudini quotidiane, la propria famiglia composta dalla moglie Sbron­za (il cui nome questa volta indica una chiara ed inequivocabile predi­lezione e vocazione) e dal figlio Giocondo piuttosto svanito, coi quali per nessun motivo, salvo che per incontrare Sandrone e la Famiglia Pavironica il Giovedì Grasso, verrebbe a visitare o peggio ad abitare in “Val Pantana” che per lui sarebbe la Pianura Padana. Il suo linguag­gio è l’italiano scorretto nel quale gli ”storpioni” rappresentano non solo un motivo di ilarità o di sorriso ma con i loro doppi sensi sottoli­neano ed evidenziano criticamente certe parti del discorso. Chi, oggi, rappresenta la Maschera (sig. Passini Umberto di Fanano) possiede tra le altre qualità quella rara di esprimersi in rima per lo più sotto forma di brevi ed incisive quartine che espone improvvisamente ”a scoppio” creandole estemporaneamente secondo le diverse occasioni; massiccio, bonario e sornione è un personaggio di per se stesso; la moglie e il fi­glio molto più che la Pulonia e Sgurghigul per Sandrone (che sono più tipicizzati dalla tradizione burattinaio) gli fanno praticamente e prevalentemente, come suol dirsi, da spalla. Veste come la famiglia il vec­chio costume montanaro di Fanano (il ”’pannetto”, una volta di pro­duzione locale) solo leggermente caricaturato. L’origine del personag­gio sembra antichissima; da secoli Fanano usa una Maschera per rap­presentarsi, con nomi diversi, ma sempre con lo stesso cognome: Dalla Frasca o Frascona e perciò la famiglia di Tamburlano di chiama fa­miglia Frascona.

A grattare solo un poco al di sotto della superfìcie delle cose, come suol dirsi, si scopre che Sandron, Tugnon, Tamburlan presentano mol­te caratteristiche comuni e ciò è logico perché tutti e tre provengono da una matrice comune che è quella etnico-socìo-culturale padana e mode­nese; sarei quasi tentato di dire che Sandron e Tugnon che sono perso­naggi paesani e contadini provengano addirittura dalla matrice della Bassa Pianura Modenese. Non per caso Sandrone diceva — così ricor­do dal tempo in cui andavo ad ascoltarlo ai Burattini in una vecchia lunga sala in Castello a Mirandola — diceva con orgoglio come se pro­venisse da un luogo celebre per aver dato i natali a dinastie di alto li­gnaggio, di provenire dal Bosco di Sotto, ”dal bosch ad sotta d’Modna” che nella accezione universale e tradizionale della zona era il vec­chio bosco della Saliceto detto nel Mirandolese di S. Felice.

Per identiche ragioni queste maschere ànno una indubbia parentela anche con Bertoldo di S. Giovanni Persiceto, tipo di contadino rustico ed astuto, illetterato e sapidissimo, maschera popolare tipicamente pa­dana, usata troppe poche volte come Maschera di quella Città. La parentela tra Sandrone e Bertoldo, poi, è addirittura molto più stretta di quanto possa sembrare a prima vista perché il creatore di Bertoldo, astuto villano, il fabbro Giulio Cesare Croce (1550-1609) è stato anche il creatore di un Sandrone in anteprima, nelle vesti di un astuto conta­dino che si esprimeva in dialetto con qualche strafalcione in lingua e che agiva come protagonista in due composizioni in versi e in una Commedia intitolata addirittura Sandrone l’astuto.

Ritornando ad un discorso di carattere generale, Sandron, Tugnon, Tamburlan, tutti accomunati dal fatto di sembrare a prima vista dei sempliciotti per le loro caratteristiche esteriori, con le loro faccie rusti­che e rubiconde, i loro vestiti di campagna, il loro eloquio incolto sono invece delle ”teste fine”, hanno intelligenza da vendere; spesso sono dei furbi di tre cotte. Basta ascoltare certe loro risposte estemporanee; ba­sta considerare il loro modo di affrontare situazioni inaspettate o che sopravvengono a tradimento. I limiti di Mirandolina sono chiaramente più ristretti; il personaggio è acerbo e forse ancora non del tutto defi­nito; forse Mirandolina aspetta il “suo” personaggio cioè una persona, una attrice che la interpreti, che le possa dare una vita più autonoma di quella vissuta finora che è dipesa esclusivamente da un testo lettera­rio, da recitare. Mirandolina cioè è ancora piccola, anzi, come si è vi­sto, è appena nata; ma diventerà grande, diventerà maggiorenne. ”A son piccula ma a gnirò granda; a carsrò; e a spèr in pressia. A spèr da dvintar brava cum’è Sandron, Tugnon e Tamburlan e ad farum cgnossar e vlèr ben cum’è lòr” (Dalle ”Parole” pronunciate alla Festa del Giallo-Bleu nel Febb. del 1977). Questo è nei voti; questo le auguro, con tutto il cuore e con tutto l’affetto… proprio come fossi suo padre.

Vilmo Cappi

Tratto da: Nona i me car mirandules

Autori: Vilmo Cappi – Giuseppe Morselli

Editori: Franco Bozzoli – Leonardo Artioli

Anno: 1978

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