Era d’estate, tanto tempo fa….. (1962 o 63?).
Ospitavamo a casa nostra Laurette, figlia di nostri parenti francesi. Una gran bella ragazza e, sebbene avesse qualche anno più di me, accompagnandola in giro per Mirandola “mi stimavo” un bel po’ con i miei amici a farmici vedere insieme.
Dopo averle fatto vedere Modena e Mantova, cosa potevamo offrirle di meglio che portarla a Venezia?
Quella mattina si partì talmente presto che alle otto eravamo già al parcheggio di Piazza Roma.
Eravamo in una decina su due auto. Una di queste era la 1100D di Luigi al Mantuan.
Nulla ricordo del passaggio a piedi per calli e campielli, se non quegli istanti fermati dalle foto che scattammo.
Solo sporte e zaini, pesanti all’inverosimile.
Stanchi e affamati, verso mezzogiorno, in piazza San Marco.
-Ma, dove si mangia? Abbiamo fame!-
-Gnii con me, andemma’l mar!- Luigi le sapeva tutte, aveva le idee chiare.
Via tutti su un vaporetto, destinazione Lido.
Appena sbarchiamo andiamo verso il mare dove affittiamo uno di quei casotti in legno che allora abbondavano sulla spiaggia. Solo il tempo per un bagno e per il mangiare.
Fantastici e comodi, dotati di ogni comfort, qualche brandina, sdraio, lettini e un grande tavolone sotto la veranda.
Non eravamo gli unici ad aver avuto quell’idea. Piano piano anche i casotti vicini si riempirono di altre numerose e chiassose combriccole.
Noi ragazzi ci buttammo in acqua e, dopo un bagno ristoratore, a mangiare.
Da quelle sporte saltò fuori tanta di quella roba da far impallidire una qualsiasi famiglia calabrese, è vero che mancava la parmigiana, ma in compenso c’erano lasagne, salami, frutta e cocomeri e, come per incanto, parecchie bottiglie di lambrusco.
Quel pezzo di spiaggia fu completamente coinvolto in un happening, avete presente Woodstock? ecco, ciò che accadde fu un vero e proprio rave party ante litteram.
Avvenne uno dei più grossi scambi commerciali (veri e propri baratti, nel senso buono, mi si intenda) che il mercato della repubblica di Venezia abbia mai visto contrattare su una delle sue piazze.
Luigi si dimostrò un istrione impareggiabile, con quella sua caratteristica parlata (fonologi e glottologi probabilmente litigherebbero nel definirla di origine medio/sub padana piuttosto che lombarda con gravi contaminazioni mirandol-ferraresi).
Con quel tono di voce, che solo un ambulante è capace di mantenere, così alto, per lungo tempo, aveva coinvolto tutti i vicini. Contagiosa simpatia.
Dialetti veneti e furlani si mescolarono senza vergogna alcuna. Una vera e propria contaminatio cultural-linguistica.
Fin da subito, non so come, erano saltati fuori una chitarra e una fisarmonica.
Immaginatevi cosa possa sortirne da una trentina di persone che ridono, cantano e ballano.
Canti, barzellette, battute al veleno, talmente salaci e boccaccesche da far arrossire anche una … ! Risate irrefrenabili (prima di sottecchi, poi sempre più apertamente).
La pancia, a forza di ridere, mi impediva quasi il respiro.
Che giornata. Certo, Venezia rimase una toccata e fuga.
Liberammo il capanno al tramonto, giusto in tempo per tornare, senza passare da Venezia, al parcheggio silos di piazza Roma.
E’ stata la foto di un negozio di via Smerieri a risvegliarmi queste antiche memorie legate a quel, per me, memorabile e caratteristico personaggio di Mirandola.
Luigi Azzolini, da molti conosciuto come “al Mantuan”, era all’epoca in cui lo conobbi (alla fine degli anni ’50) un ambulante di frutta e verdura che girava tutti i mercati della bassa modenese e mantovana.
Aveva con mio padre una stretta e sincera amicizia, probabilmente nata dal fatto che si riforniva delle merci da vendere dai Galavotti (dove lavorava mio padre) che, oltre alla vendita al dettaglio, riforniva diversi commercianti all’ingrosso.
Non sapevo del negozio di via Smerieri, sapevo però quanto avesse, senza successo, insistito con mio padre per convincerlo a mettersi in società con lui. Lo ricordo estroverso e caciarone, sempre sorridente e di parola pronta, quasi ai limiti dell’irriverenza. Un commerciante nato.
Il carattere di mio padre, pur estroverso e aperto all’incontro, era invece del tutto complementare al suo e questo spiega sia l’amicizia che le sue perplessità per una impresa in comune.
Luigi poi dimostrò coi fatti, con l’apertura del negozio in via Prampolini, di sapere il fatto suo come imprenditore.
Era la sua estrema disponibilità a spingerlo spesso ad offrirsi come chauffeur per condurre me e i miei in alcune gite fuori porta. Tutte gite, per un verso o per l’altro, memorabili.
Ma come poteva non essere quella di Venezia a rimanermi maggiormente viva nel ricordo.
Solo ora, alla luce dei commenti alla foto del negozio più su richiamata, capisco una battuta che fece allora Luigi riferendosi alla nostra giovane ospite francese:
– A ca’ mea anc’manda la Francia, a c’manda l’Olanda! –
Risi alla battuta pensando all’assonanza tra Jolanda e Olanda.
Ma era Olanda il nome della moglie, non Jolanda come pensavo.
Franco Gambuzzi