LE OPERE DI GIOVANNI PICO
Ricordiamo quelle più apprezzate dagli storici traducendone in italiano corrente il titolo latino:
■ NOVECENTO TESI RIGUARDANTI TUTTE LE SCIENZE.
Sono quelle su cui avrebbe voluto organizzare a Roma un grande dibattito se la Curia non gliel’avesse impedito. Tredici di queste Tesi furono ritenute eretiche o quasi.
APOLOGIA.
È la difesa di quelle Tesi che Giovanni voleva premettere alla introduzione del dibattito mancato.
DISCORSO SULLA DIGNITÀ DELL’UOMO.
(sinteticamente indicato come ORATIO). Questa sarebbe stata la sua introduzione. La scrisse che aveva appena ventitré anni. Pico approfondisce qui il concetto della “dignità” che presuppone quello della libertà, ma che non coincide con essa perché per il mirandolano la dignità è manifesta solo nelle buone scelte dell’uomo che, per il suo tempo, sono quelle che non contrastano con la fede.
DELL’ENTE E DELL’UNO.
Lo scrisse su sollecitazione di Angelo Poliziano per spiegare che sul problema del rapporto fra Dio e la realtà non vi era sostanziale contrasto fra Platone e Aristotele, come invece sosteneva il maestro del neoplatonismo, Marsilio Ficino.
HEPTALUS.
Pico ripercorre il racconto biblico della Creazione per chiarirne il recondito significato. È lo scritto ritenuto più completo e più organico, anche se è il più difficile.
ARGOMENTI CONTRO L’ASTROLOGIA PROFETICA
(detta “divinatrice”). Questo scritto rimase incompiuto, ma è già sufficiente ad illustrare la sua concezione antiastrologica.
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LA FAMA EUROPEA DI GIOVANNI PICO
La notorietà di un filosofo, con i mezzi di comunicazione di oggi – televisione, radio, stampa, editoria e anche trasporti – se non facile, è certamente molto facilitata. Cinquecento anni fa era invece affidata ad una specie di lento tam tam interminabile.
Ebbene, in quel tempo, pur essendo vissuto soltanto trentun anni, culturalmente più osteggiato che favorito, la notorietà del Mirandola si diffuse in Europa rapidamente. Ma fu una notorietà controversa che passava dall’esaltazione alla denigrazione: chi metteva in risalto il suo sforzo di modernizzare il pensiero religioso aprendolo alle varie culture; chi, invece, riteneva che il suo enciclopedismo mirasse a rafforzare la tradizione. Per alcuni era un innovatore; per altri, soltanto un restauratore. Per alcuni, un genio; per altri, un invasato.
A Parigi aveva molti amici dal tempo della Sorbona. Anzi, anche in omaggio al ricordo che aveva lasciato, il teologo Giovanni Cordier, che aveva fatto parte della Commissione d’inchiesta sulle novecento Tesi, ma che si era rifiutato – unico fra i sedici membri – di firmare il verbale della incriminazione, fu nominato Rettore della Sorbona.
In Inghilterra, il grande umanista Tommaso Moro, autore dell’“Utopia”, prima consigliere del Re Enrico Vili, poi, nel 1535, sua vittima per aver rivendicato l’autonomia della Chiesa, tradusse in inglese la biografia di Giovanni scritta da Gianfrancesco e anche la lettera che Pico aveva inviato ad Andrea Corneo sul valore della filosofia.
Un altro consigliere del Re, Eliot, tradusse invece le sue “Regole della vita cristiana”, un trattatello un po’ catechistico, ma ben argomentato, premettendo che Pico “sopravanza tutti gli uomini del suo tempo”.
John Donne, decano della cattedrale di San Paolo di Londra, che era anche un fine poeta, si dedicò allo studio del Nostro e ispirò la sua poesia al suo pensiero.
Il grande Erasmo da Rotterdam, scrivendo nel 1516 ad un umanista tedesco, suo amico, gli diceva: “Perché ti lamenti di essere infelice, tu che sei stato in Italia in quegli anni felici in cui si affermavano Angelo Poliziano, Ermolao Barbaro e Pico della Mirandola?”
In Germania, Pico fu letto soprattutto come precursore di Lutero nella sua opposizione a Roma. “La cosa” ha scritto un po’ polemicamente lo storico cattolico Giovanni Di Napoli ” potrebbe anche venir trascurata in base al fatto che per la storiografia germanica tutta la cultura non è stata che un precorrimento a quella tedesca”. Ma il grande Burckhardt, anche se tedesco, lo esaltò per l’affermazione della libertà dell’uomo in un tempo in cui di libertà ce n’erano poche ed era anche opportuno parlarne poco.
Lo stesso Di Napoli conclude il suo importante studio dedicato a Pico riconoscendo che “a cinque secoli di distanza riesce più agevole a noi che ai contemporanei misurare il valore storico ed ideale della Fenice degli ingegni (…). Oggi noi possiamo comprenderlo nell’atmosfera di dialogo e di ecumenicità che caratterizza la cristianità e la cultura, al di là della grettezza di spirito e della settarietà di atteggiamento. Si direbbe che Giovanni Pico sia nato per il nostro tempo, per i suoi problemi, per le sue ansie, per le sue speranze. È certo che egli guardava profetico ad orizzonti di consapevole ed operosa universalità, e vi guardava nella piena e feconda coscienza storica e dottrinale delle esigenze e delle componenti dell’universalità”
E il grande teologo francese De Lubac, comparando Pico ed Erasmo, osservava: “Tutti e due, in circostanze ed ambienti molto diversi, condussero una battaglia analoga. Ambedue seppero andare controcorrente rispetto all’umanesimo paganizzante che agli occhi di molti rappresentava la modernità dell’epoca: l’uno prendendo la difesa della serietà del pensiero umano e cristiano, trascurata e perfino respinta con il pretesto del bel linguaggio, e lottando contro una pseudoscienza astrologica sempre più invadente; l’altro rifiutando il falso brillìo del linguaggio detto ciceroniano che in molti tradiva la fede cristiana. Così entrambi diedero prova della stessa perspicacia intuendo che i problemi di linguaggio possono essere una maschera con cui si coprono delle omissioni”.
Tratto da : Quei due Pico della Mirandola – Giovanni e Gianfrancesco
Autore: Jader Jacobelli
Edizioni Laterza
Cassa di Risparmio di Mirandola
Anno 1993
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