Gianfranco Marchesi – Ricordo di don Francesco Gavioli

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Attraverso l’amico collezionista Roberto Neri ho avuto l’opportunità ed il piacere di conoscere e stimare Gianfranco Marchesi con il quale sta sorgendo una collaborazione per la traduzione, stesura e pubblicazione nell’archivio del Barnardon  di alcuni testi settecenteschi provenienti dall’Ufficio Criminale di Mirandola nell’anno 1789, in possesso di Roberto, che pubblicamente ringrazio per la sua solita disponibilità.

Il ricordo di Don Francesco Gavioli non è altro che la presentazione di un rapporto di amicizia, protratto nel tempo, tra Gianfranco Marchesi ed il famoso parroco, storico, collezionista e tanto altro ancora.

Don Francesco Gavioli

Don Francesco Gavioli

Ricordo di don Francesco Gavioli (1909 – 1997)

Ci sapeva fare “anche” con ago, filo e forbicine. Cultore di memorie locali, bibliofilo e collezionista don Francesco lo fu certamente e, di norma, è ricordato per queste sue indiscusse qualità. Forse non tutti sanno che era anche un valente restauratore di paramenti e apparati liturgici, nonché di vessilli e altri accessori tessili, decorati a ricamo o intessuti con fili dorati e argentati. Possedeva a tal fine una scatola di cartone colma di spagnolette colorate e di matassine varie che avrebbe suscitato l’invidia di mia nonna Rosa, anch’ella dedita a suo tempo, per passione e per bisogno, a lavori di cucito forse meno appariscenti ma non meno nobili.

Conobbi don Francesco nell’estate 1978 (o 1979?), complice l’intermediazione di mia moglie, impiegata postale, allora distaccata presso il microscopico ufficio postale di Villafranca di Medolla, che aveva sede in una stanzuola, dotata di un unico sbocco verso l’esterno, che era parte integrante della canonica annessa alla chiesa parrocchiale di quel luogo, retta da don Francesco da almeno un ventennio.

In un tardo pomeriggio di quella estate, al rientro dal lavoro – ero allora impiegato con funzioni tecniche nel  mirandolese – entrai per la prima volta nel lungo ingresso della casa canonica di Villafranca che, da allora in poi e fino al trasferimento di don Francesco a Nonantola, divenne per me quasi una seconda casa. Finita la giornata lavorativa mi fermavo là fino ad ora di cena, per tornarvi sovente anche la sera, con buona pace di mia moglie che, ben presto, ebbe a pentirsi della sua intercessione.

Quell’ingresso aveva ormai perso la sua funzione originaria, essendo arredato per tutta la lunghezza con tre massicci e scuri tavoloni, posti l’uno di seguito all’altro, eternamente colmi di libri e carte, ai lati dei quali incombevano alte ed altrettanto scure scaffalature che si elevavano tutt’attorno, dal pavimento al soffitto: là vidi per la prima volta don Francesco, seduto al tavolo di centro, intento appunto a trafficare con ago e filo.

E’ quasi superfluo che io vi dica il motivo che mi spinse a ricercare l’aiuto e – ora posso dirlo – anche l’amicizia di don Francesco: cioè la comune passione per la storia che lo divorava e che lui chiamava “la tabe”, prendendo a prestito il termine dalla medicina, alludendo alla progressione e alla contagiosità tipica delle malattie infettive.

In quel luogo, col passar del tempo, entrai a far parte di un ristretto gruppo di amici: Veber Gulinelli, i fratelli Umberto e Guido Molinari, Mauro Calzolari, Carluccio Frison e Guido Ragazzi, alcuni dei quali purtroppo ci hanno già lasciato. Assieme a loro ebbi l’onore di partecipare, in una fredda serata invernale, seduti davanti al caminetto della adiacente cucina, ai preliminari per la fondazione del “Centro Studi Bassa Modenese” che, con soldi anticipati da don Francesco, nel successivo maggio 1982, diede alle stampe il n. 1 dalla rivista “La Bassa Modenese”, poi rinominata “Quaderni della Bassa Modenese”.

Che dire ancora: frequentandolo così assiduamente, anche dopo il suo trasferimento a Nonantola, dove nel 1983 fu chiamato a curare l’Archivio Abbaziale, fui testimone del lento progredire della malattia, innescata molti anni prima da una banale infezione, causata dalla puntura di un chiodo malauguratamente dimenticato dal calzolaio in una scarpa fatta risuolare.  Col tempo, complici il diabete e problemi circolatori, l’infezione peggiorò al punto che si rese necessaria l’amputazione dell’arto inferiore interessato: cosa che lui visse ed affrontò con rassegnazione cristiana e tanto impegno profuso nell’impratichirsi nell’uso della protesi. Paradossalmente lo vidi più in crisi quando il progredire della cataratta, di cui soffriva da tempo –  in seguito curata chirurgicamente – gli impedì di svolgere correttamente il suo lavoro: cominciò allora ad usare quei grossi pennarelli a inchiostro nero, che affollavano la sua postazione di lavoro in Sala Verde, e che lui mi chiedeva di comprargli in quantità “industriale” presso la cartoleria di sua fiducia.

Ancora oggi quando entro in archivio, transitando per una delle sale di accoglienza che allora era parte della sua camera, non posso fare a meno di ricordare con commozione l’ultimo colloquio-saluto che ebbi con lui pochi giorni prima della sua dipartita, avvenuta il 28 agosto 1997.

Gianfranco Marchesi

Gianfranco Marchesi (San Felice sul Panaro, 1948).

Appassionato di storia locale, socio fondatore del Gruppo Studi Bassa Modenese (1982), cresciuto archivisticamente alla “scuola” di don Francesco Gavioli (Mirandola 1909 – Nonantola 1997). Dagli anni ’90 del secolo scorso collabora con l’Archivio Abbaziale di Nonantola in qualità di volontario addetto alla sala di consultazione e di aiuto nelle attività di catalogazione.

Ha al suo attivo un volume sulla storia della chiesa parrocchiale di Camposanto (Mo), paese nel quale abita dall’infanzia, nonché alcuni lavori su diversi aspetti della storia nonantolana. Con Riccardo Fangarezzi, attuale direttore dell’archivio abbaziale, ha pubblicato, nella rivista “Benedictina”, un contributo relativo a Nuovi documenti per la storia dell’Archivio Abbaziale di Nonantola tra XII e XV secolo.

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