Eusebio Meschieri – Vocabolario Mirandolese-Italiano

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Questo articolo non è altro che un breve riassunto della bella, dotta e documentata  introduzione del prof. Fabio Marri. 

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Fino alla metà dell’Ottocento, sembra che nessuno avesse scritto qualcosa intenzional­mente nel dialetto mirandolese, tanto meno lo avesse studiato. Il primo ad occuparse­ne fu il filologo veronese Bernardino Biondelli (1804-1886, residente a Milano dal ’39), che nel suo voluminoso Saggio sui dialetti gallo-italici del 1853 si valse dell’opera di un dottore in legge, Carlo Ciardi (1795-1860), già podestà di Mirandola per breve tempo.

Furono di Ciardi le sole cose relative a Mirandola nell’opera di Biondelli: la versione della parabola del fìgliuol prodigo secondo il vangelo di Luca (XV, 11-32, che costituì il testo base per l’analisi comparativa di tutti i dialetti censiti nel Saggio), e il “capìtul” La zittà dla Miràndula, 106 endecasillabi dialettali in terzine. I due testi erano stati preparati già nel 1845-46, insieme con alcune pagine di Osservazioni (a carattere perlopiù grammaticale) sul dialetto mirandolese: il tutto, donato a suo tempo in versione autografa da Ciardi all’amico Giacinto Paltrinieri (1779-1857), oltre che, in altra copia, al grande filologo pavullese Marco Antonio Parenti, venne stampato, per cura di don Felice Ceretti, nella strenna mirandolese “La Fenice” per l’anno 1884.

Nel frattempo era uscita la prima edizione (1876) del Vocabolario mirandolese-italiano di Eusebio Meschieri, alla cui nuova stesura l’autore stava già pensando.

Ma Meschieri non era stato il primo nemmeno a compilare un vocabolario del suo dialetto, in ciò preceduto da un altro personaggio della Mirandola risorgimentale Fla­minio Lolli (1797-1862), amico di Ciardi e Ceretti, patriota al fianco di don Giuseppe Andreoli prima, di Menotti poi Montanelli e Mazzoni nella Toscana del 1848-49, piu volte incarcerato, esule in Grecia, infine tornato a San Giacomo Roncole e poi a Mirandola.

Tra le sue opere a stampa si annovera infatti la Serie di mille vocaboli vernacoli mirandolesi fatti toscani da Flaminio Lotti (Mirandola, Moneti e Marmi 1862, anno di morte dell’autore), 27 pagine di piccolo formato, oggi rarissime che do­vevano costituire solo il “precursore” di un progettato dizionario in due tomi,’ricco di quasi ventimila parole. Questo glossario nasceva con lo scopo (comune ai dizionari ottocenteschi di tutta Italia e, poi, allo stesso Meschieri) di insegnare ai locali la corretta lingua italiana, perché non cadessero “in braccio al ridicolo” disonorando “il decoro del natio loco.

Stavano ìnsomma maturando i tempi per la realizzazione di ciò che la morte impedì al valoroso Lolli di completare: un vocabolario a stampa che non sfigurasse di fronte a quelli disponibili per i dialetti vicini. Il merito ne va, come si vuol dimostrare, a Eusebio Meschieri (Cividale 1850 – Modena 1924), anch’egli in diretto rapporto con don Ceretti sia personalmente sia attraverso la Commissione Municipale di Storia Patria che pubblicò la seconda edizione, postuma, del Vocabolario oggi presentato.

“Maestro elementare di grado superiore” (come dicono gli scarni cenni biografici di Lino Sighinolfi premessi all’edizione 1932), Meschieri, a soli 26 anni, partendo dalla sua esperienza di insegnante impegnato a trovare gli equivalenti italiani per “i giova­netti delle nostre scuole” (come scrisse egli stesso in apertura alla prima edizione del Vocabolario mirandolese-italiano del 1876), si accinse all’impresa quando molti altri dialetti di città importanti (come Modena e Ferrara) non erano ancora stati convenien­temente illustrati.

Per stabilire l’equivalente italiano dei dialettismi, a repertorio di base fu scelto il recen­tissimo Vocabolario italiano della lingua parlata (Firenze 1875) di Pietro Fanfani (con cui Meschieri era in contatto epistolare) e Giuseppe Rigutini…….

Il lemmario del Meschieri 1876 si estende in tutto per 286 pagine in ottavo (la stampa occupa due colonne a pagina, di cm 14×5 circa): non è poco, rispetto a ciò che il mer­cato offriva allora e alla giovane età dell’autore, il quale però fin da allora lamentava di non aver voluto né potuto “accrescere maggiormente la mole del libro”, ammettendo che spesso gli “esempi italiani” sovrabbondavano di fronte ai dialettali. E concludeva la prefazione invitando i lettori a “considerare il libro unicamente come una misera guida, che altri di me più valente potrà seguire per dare alla Mirandola un Vocabolario meno di questo imperfetto”.

Ma si mise all’opera personalmente, se è vero che dopo meno di tre anni aveva già preparato, e fatto avere a Molinari, una “circolare-programma di associazione all’Ap­pendice, che io intenderei di far seguire fra non molto al Vocabolario Mirandolese”:

apprendiamo dalla più antica delle lettere di Meschieri a Ceretti, datata Bologna, dove il mittente risiedeva all’epoca, 20-3-1879. Il progetto di un’appendice cedette però il passo a quello di un rifacimento ex novo, soprattutto grazie a un concorso indetto nel 1890 dal ministro della Pubblica Istruzione Paolo Boselli, col quale si garantivano premi in denaro a nuovi dizionari dialettali che accoppiassero un’accurata raccolta dei lemmi a una rigorosa italianità fiorentina nelle glosse. Fu grazie a questo concorso che si stamparono ottimi repertori, tuttora basilari, come ad esempio il Finamore per l’abruzzese, il Traina per il siciliano, il Nuovo Pirona per il friulano, e che Ernesto Maranesi mise in cantiere l’edizione definitiva del suo vocabolario, uscita a Modena nel 1893 e premiata dalla commissione giudicante, nel 1895, con 500 lire.

Meschieri, nel frattempo passato dalla scuola alle Poste, e da Bologna a Firenze indi, dal 1904, a Roma presso la Direzione superiore delle Poste e dei Telegrafi, non riu­scì a terminare il rifacimento in tempo utile per la scadenza concorsuale (30-6-1893), ma tenne conto delle prescrizioni ministeriali fin dal titolo, che nella nuova edizione preciserà “giusta le norme tracciate dal Ministero della Pubblica Istruzione per la pub­blicazione di vocabolari dialettali”. Si intona perfettamente allo spirito manzoniano l’avvertimento che figurerà nella nuova prefazione: “A fronte delle voci, frasi e modi di dire del dialetto posi quelli dell’uso vivo di Firenze, solo ricorrendo agli altri idiomi toscani quando non mi fu dato di trovarli nella parlata fiorentina”; allo stesso modo che la constatazione seguente, della corrispondenza di “moltissime voci e frasi” mirandolesi col toscano, sul cui fondamento vennero inseriti nel nuovo vocabolario anche “voci e modi dialettali affatto identici o molto affini ai toscani” (mentre l’ed. 1876 si era limitata a registrarli solo “qualora, ben inteso, la loro discordanza dalla lingua italiana il richiedesse”), dandosi ora via libera a termini come idea, livrea, lega ecc.

Che i lavori andassero molto più per le lunghe dello sperato lo prova l’autografo ri­masto tra le carte d’archivio: alcuni fogli della lettera C riutilizzano carte dell’amministrazione postale con timbri del 1906 e 1907; sul frontespizio della lettera P è vergata a matita la data 29/XII/913. Terminata la stesura manoscritta, sopraggiunsero difficoltà economiche: il comune di Mirandola non riusciva ad accollarsi “l’ingente spesa” tipo­grafica, poi la morte di don Ceretti e la guerra sospesero fino al 1922 l’attività della Commissione. Quell’anno, l’“egregio e benemerito concittadino” Luigi Merighi (come scrive ancora Sighinolfi) promosse una pubblica sottoscrizione per aiutare la stampa, che in effetti cominciò, anche col sostegno del Comune (allora presieduto da Dario Ferraresi). Si era alla correzione delle bozze (condotta da Riccardo Calanchi, vice­presidente della Commissione, e Benvenuto Tabacchi), quando Meschieri morì (21-1­1-924). Cinque anni dopo, nel gelido gennaio ’29, “appena terminata la revisione delle bozze”, morì anche Calanchi. Seguì una crisi dell’amministrazione comunale, che portò con sé un’altra sospensione dei lavori della Commissione, finché il nuovo podestà Enri­co Tabacchi, egli pure desideroso di “giungere finalmente a capo della pubblicazione”, convocò un’adunanza a Bologna nel novembre 1931 (presenti, fra gli altri, Ferraresi e Benvenuto Tabacchi), dove fu deciso di inserire il Nuovo vocabolario mirandolese- italiano nella serie delle “Memorie Storiche”, come volume XXIII-XXIV; e l’opera uscì verso la fine del 1932 per i tipi della Cooperativa Galeati di Imola.

Mirandola e la Commissione saldavano così un antico debito con Meschieri e tutto l’ambiente culturale che aveva fatto capo a don Ceretti, e dotavano la propria città di uno strumento non più superato, con le sue 891 pagine di lemmario (due colonne di cm 20×6 circa ogni pagina), più una settantina per l’introduzione prevalentemente a ca­rattere grammaticale (Studio grammaticale sul dialetto della Mirandola comparato colla lingua italiana, pp. XIII-LXIX).

“Il dialetto mirandolese viene da alcuni considerato come un sottodialetto di quello di Mode­na; ma [… ] mentre esso riesce molto difficile per le mistioni di suono, ora largo, ora chiuso, e per i molti dittonghi che vi si riscontrano, il nostro invece presenta ben poche difficoltà di pronuncia, la quale è piuttosto aperta e ad un tempo accentata, spedita e scorrevole […].

Il dialetto mirandolese insomma, pur avendo parole e frasi e modi tutti suoi propri, può considerarsi, direi quasi, l’anello di congiunzione fra i dialetti dei paesi circostanti.”

Fabio Marri – Docente di Linguistica Italiana all’Università di Bologna

Liberamente tratto dall’introduzione de: Il Nuovo Vocabolario Mirandolese-Italiano di Eusebio Meschiari.

Ristampa anastatica a cura della Associazione “La Nostra Mirandola”

O.N.L.U.S. Solidarietà e Cultura

Poligrafico Mucchi – Modena

Anno 2007

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