Burana – Il governo delle acque

Commenti (0) Racconti

“Burana è un toponimo di origine bizantina che significa “fossa senza fondo o burrone’” e che identifica una piccola frazione rurale del comune di Bondeno, situata nel territorio ferrarese in destra Po, in un lembo di terra attraversato da un antico canale collettore che, muovendosi lungo un paleoalveo del grande fiume, si univa alle acque di Secchia e Panaro per confluire nel ramo del Po di Ferrara a Bondeno. Storicamente, si trattava di un’area nella quale le acque avevano il predominio sulle terre e il paesaggio era connotato dalla presenza di estese aree paludose, stagni, fiumi non arginati e liberi nel loro corso, folti boschi che circondavano radi insediamenti umani posti sui dossi più elevati.”

Tratto da: La nostra storia – Consorzio della Bonifica di Burana

L’opera sistematica per irreggimentare le acque, conquistare nuovi ettari da destinare all’arativo e ridurre i rischi di esondazione di fiumi e canali, iniziata nell’ultimo scorcio dell’Ottocento, fu uno dei principali fattori di modernizzazione e sviluppo delle campagne a nord di Modena.

Alla vigilia della Grande Guerra gli interventi non erano ancora completati, ma erano già chiari i vantaggi di questi lavori per l’agricoltura.

Le argille che caratterizzavano la natura del terreno della Bassa modenese trattenevano infatti notevoli quantità d’acqua, rendendosi gonfie ed impermeabili. Ad ogni abbondante pioggia nei campi si creavano ristagni, che con poche giornate di sole spaccavano la terra insieme alle radici.

A partire dagli anni Ottanta del diciannovesimo secolo, un duro lavoro di vanga e carriola permise di scavare scoli ai lati di campi e canali e di conferire agli appezzamenti una caratteristica “baulatura”, che era necessaria a far defluire le acque. A questa lotta per rendere i terreni coltivabili, si aggiunse quella contro le periodiche esondazioni del Po e dei suoi affluenti. Secchia e Panaro rappresentavano infatti da sempre una preziosa risorsa per l’irrigazione ma anche una minaccia, in una zona caratterizzata da un clima molto umido e piovigginoso agli estremi dell’anno ma asciutto e scarso di piogge nei mesi centrali.

Le acque dei due fiumi e degli altri corsi d’acqua erano dunque indispensabili per l’impianto e l’ampliamento delle opere di irrigazione, ma il loro naturale deflusso era rallentato dal basso livello sul mare della zona. Furono soprattutto le alluvioni degli anni Settanta a richiamare le attenzioni degli organi dello Stato su questo territorio. In particolare la rotta del Po a Borgofranco del 1879 aveva portato all’allagamento di circa 40 mila ettari di terreno, ottomila dei quali nel territorio di Mirandola, da dove furono costrette ad emigrare ben 4.500 persone insieme a 4.000 capi di bestiame. L’alluvione «fece emergere ulteriori gravi preoccupazioni, tali da sollecitare con insistenza il deciso intervento del governo».

Sulla base della “legge Baccarini”, emanata proprio a seguito della disastrosa esondazione del Po del 1879, l’attenzione delle autorità nazionali cominciò a concentrarsi sulle terre basse emiliane. La normativa, che riconosceva un contributo dello Stato per la «costruzione di nuove opere straordinarie stradali ed idrauliche», inserì nel programma di finanziamento dei lavori la cosiddetta Bonifica di Burana, una vasta regione tra Ferrara, Modena e Bologna, caratterizzata da un’estesa rete di canali di scolo.

Il duplice obiettivo era da un lato di evitare piene improvvise e dall’altro di estendere la rete di irrigazione per fronteggiare i frequenti periodi di siccità, particolarmente temuti per le colture foraggere, bisognose di buoni, abbondanti e regolari annaffiamenti. L’opera venne portata a compimento dopo la nascita del Consorzio interprovinciale di Burana, istituito il 29 dicembre 1892.

Il bacino della bonifica venne così suddiviso in tre zone: la parte alta modenese, le cui acque furono portate a defluire nel fiume Panaro, a Santa Bianca, attraverso il canale Diversivo modenese ed una chiavica emissaria; la parte alta mantovana, le cui acque furono convogliate nel fiume Po alle chiaviche Pilastresi e, nei periodi più critici di deflusso, alla botte sotto Panaro; la parte più depressa dei terreni buranesi, che venne servita da un colatore principale (dalle chiaviche mantovane alla Botte napoleonica, inaugurata il 25 febbraio 1899, quasi 90 anni dopo l’avvio dei lavori) e da una rete di canali maestri deputati a raccogliere le acque nello stesso colatore.

Scavo di fossi - Foto di Vasco Pedrazzi

Scavo di fossi – Foto di Vasco Pedrazzi

Irrigazione di un campo. Foto di Vasco Pedrazzi

Irrigazione di un campo.
Foto di Vasco Pedrazzi

Foto di Vasco Pedrazzi

Foto di Vasco Pedrazzi

Foto di Vasco Pedrazzi

Foto di Vasco Pedrazzi

La raccolta del tabacco nei fondi Wegmann-Escher (collezione Alessandro Escher)

La raccolta del tabacco nei fondi Wegmann-Escher
(collezione Alessandro Escher)

Finale Emilia - Il sostegno del canale Foscaglia

Finale Emilia – Il sostegno del canale Foscaglia

Finale Emilia - Il ponte sull'alveo del Cavamento Foto di Vasco Pedrazzi.

Finale Emilia – Il ponte sull’alveo del Cavamento
Foto di Vasco Pedrazzi.

I lavori procedettero non troppo speditamente. Alla fine del secolo, come emerge da un questionario compilato dal Comune di Concordia, le opere del Consorzio non avevano ancora fornito «il promesso vantaggio», a causa della «mancata escavazione di canali maestri» che avrebbero dovuto strappare alle alluvioni fluviali queste «plaghe vallive», rendendole coltivabili grazie ad un «rilevante aumento di produzione agricola».

La “redenzione” dei territori cominciò a produrre effetti soltanto a partire dai primi anni del Novecento, innalzando progressivamente la redditività della produzione agricola e incentivando la nascita di nuove e più moderne industrie di trasformazione. Alla vigilia della Grande Guerra, tuttavia, gli interventi previsti dalla “Legge Baccarini” per il Consorzio di Burana attendevano ancora il loro completamento e nuove inondazioni nei territori della Bassa si verificarono anche nel 1911, 1918 e 19196.

Tratto da ” Bassa pianura, Grande Guerra” di Fabio Montella-Anno 2016

profughi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *