“La vita è gettare ponti” – Don Giuseppe Tassi

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LA VITA È GETTARE PONTI

Don Giuseppe Tassi

Con amichevole insistenza, alcuni amici mi hanno sollecitato a intrufolarmi dentro la carrellata di mirandolesi illustri in mezzo ai quali mi sento ultimo e improprio.

La bocca custodisce il silenzio per ascoltare il cuore che parla: il silenzio non è assenza di suono ma intimità, riflessione e quiete: è la sola ragione per la quale usurpo questa pagina.

La vita è un gettare ponti sopra fiumi che spariscono via. Non so quanti ponti ho gettato, non spetta a me dirlo; ho cercato di gettarne nelle due fasi della mia presenza a Mirandola: dal 1982 al 1984 che fu tempo di apprendistato e dal 1989 al ’98, nel quale la conoscenza si è consolidata, l’amicizia si è estesa, lo spirito familiare ha preso corpo, favorendo uno stile più immediato all’annuncio del Vangelo che era mio specifico compito. Mi sono stati a cuore i poveri, i pro­vati dalla malattia, dalla solitudine, dai lutti: soffrendo non per loro ma con loro.

Ho voluto bene ai giovani amandoli nelle loro ricche potenzialità e pur nei loro smarrimenti e sbandamenti. Avrei solo voluto avere la capacità – e quindi mi è mancata – di innamorarli alle pure bellezze della VITA, a IDEALI ALTI, a giocare la propria esistenza sulla gra­tuità del dono che è la cosa che dà senso al vivere.

Contro le possibili evasioni per stanchezza o sfiducia, ho spinto i laici a buttarsi dentro la realtà civile, sociale e politica come nuovo servizio di carità.

Ho amato la città e la sognavo sempre più unita aldilà delle differen­ze sociali, politiche e religiose: la concordia, la solidarietà, il conve­nire insieme sono le basi di un progresso umano e civile e sono la passione della Chiesa perché possibili vie all’incontro con Dio. La casa parrocchiale non è mai stata chiusa per nessuno.

Non bisogna colmare l’anima di rimpianti ma conservarla giovane, sempre fresca e presente di fronte alla vita e all’avvenire. Il nostro grande privilegio è che noi stessi possiamo decidere di non invec­chiare. Per quanto dipende da me non lo voglio soprattutto nel ricor­do di tutti gli amici, quali tutti i mirandolesi considero.

Perché abbiamo trascorso insieme anni che mi hanno maturato come uomo, come cristiano e come prete. Non ho fatto “opere” da lasciare il segno; ho lasciato il cuore, conservo la memoria e costante la quo­tidiana preghiera.

sac. Giuseppe Tassi

Tratto da: Fatti e Figure della Mirandola – Storia, arte, società dal calare dell’Ottocento al terzo Millennio

Casa Editrice “Al Barnardon”

Anno 2000

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