Concordia sulla Secchia – Novantanove colonne incolonnate

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Concordia – Novantanove colonne incolonnate

Concordia sulla secchia è tutt’uno con il suo fiume.

La semplicità spoglia e sinuosa della Secchia è accompagnata dal cerimoniale delle case, dei mattoni e degli intonaci che la accompagnano co­me un secondo argine a ridosso del quale converge a ventaglio tutto il paese.

L’aggregato urbano è compatto eppure suddiviso in cortiletti e risalite verso la sponda che lo confina. Quell’abbraccio meandrico rivela, nella naturale con­figurazione geografica, lo scambio ripetuto tra paese e fiume. Il lavoro di trasformazione di prodotti pri­mari (da cui i mulini) e ragioni commerciali (da cui il porto ancorato proprio di fronte alla chiesa di S. Giovanni), hanno progressivamente costruito il bor­go che nel 1360 è ancora villa.

Il toponimo, la cui espressività interiore mantie­ne un calore perenne nell’infuriare di tante tempe­ste, è intrecciato alle pietre, alle speranze e alle ama­rezze del paese, in una parola alla sua storia. Tiraboschi lo fa muovere da un concordato tra i diversi ra­mi della famiglia Pico steso prima del XIII sec. Il Lombardini fa riferimento alla deviazione della Secchia nell’attuale alveo, realizzata tra il 1288 e il 1360 per effetto di un altro concordato del 1336.

Il secolo XIV vede quindi la formazione del bor­go sulla riva destra del fiume e il suo successivo con­solidamento con l’edificazione della rocca a difesa dei mulini e con la costruzione della chiesa appoggiata all’argine Molinella (ove resisterà fino al 1599).

Nel sec. XV si forma l’impianto urbanistico di Con­cordia che trova, accanto a uno sviluppo legato a me­stieri tra loro complementari e di servizio all’agricol­tura e all’attività fluviale, la costruzione di un convento di frati Agostiniani nel 1420 e dell’Ospedale e dell’Oratorio di S. Leonardo nel 1425.

Nel 1432 Concordia è eletta Contea dall’imperatore Sigismon­do di Lussemburgo, incorpora S. Possidonio ed è con­cessa in feudo a Giovanni e Francesco Pico della Mi­randola che provvedono nel 1450 alla trasformazione della rocca in castello.

Segue un periodo di lotte fratricide e nel 1488, Galeotto, in lotta con il fratello Antonio Maria, assalta Concordia. Le scale vengono appoggiate alle mura, ma i difensori, che li aspetta­no con picche e travi li fecero a lor malgrado diroccare.

Alla fine del XVI sec. l’importanza commerciale di Concordia trova riscontro in una fitta rete viaria rivolta alle ville di Fossa e Vallalta, a Mirandola e al confine Mantovano.

Il XVI sec. è caratterizzato nei decenni da una serie di guerre. La protezione dei Gonzaga non salva Concordia da varie occupazioni, (nel 1511 è conquistata dal bellicoso pontefice Giulio II), che portano alla distruzione dei principali edifici. L’atmosfera greve e le scene drammatiche che la città offre sono il documento sofferto e aperto sul quale leggere i laceri brandelli di una verità che vede tutti sconfitti.

Nel 1534, infatti, Galeotto II sman­tella definitivamente le percosse mura del castello e, nel 1536, tutti gli edifici attorno al paese, compresi i conventi dei domenicani e degli eremitani. Nel 1595 un’inondazione della Secchia distrugge la parrocchiale che viene ricostruita nel 1599 al centro del paese. As­sai significativo quello che scrive mons. Antonio Bellini: ‘ ‘ Tutto qui si vive in piccolo, ciò che il secolo opera in grande…”.

Il XVII sec. è un periodo prezioso che vede l’ere­zione del convento dei Cappuccini (1617), lo scavo del canale (detto Naviglio o Cavana) che unisce Concordia a Mirandola (1630), la costruzione del palaz­zo ducale, sede della villeggiatura estiva (1652) in cui nascerà l’ultimo Duca Francesco Maria Pico (1688).

Il XVIII sec. segna la decadenza dei Pico che sba­gliano ogni alleanza.

Nel 1704 i Francesi distruggo­no la chiesa parrocchiale e il Palazzo Pico.

Nel 1711 l’intero Ducato è venduto agli Estensi. L’ultimo dei Pico si rifugia in Spagna. Ordini e istituzioni religio­se vengono soppressi. Il feudo è acquistato dal duca Rinaldo d’Este da Modena.

Nel 1821 Concordia è smembrata dalla diocesi di Reggio e incorporata a quella di Carpi, eletta a sede vescovile nel 1779.

La città si affaccia quindi al Risorgimento Italia­no e la cronaca si farebbe ricchissima, con tempi e intonazioni legate alla storia nazionale.

Dell’Ottocento, che siamo abituati a guardare con nostalgia ed affezione, vogliamo ricordare la storia del concordiese Edgardo Muratori, che si meritò gli venisse intitolata una via cittadina, lasciando il suo patrimonio al Comune perché costruisse un ospeda­le. A lavori ultimati risultò edificato un’ospizio, il che avviò una vertenza tra gli altri eredi e il Comune che si concluse quando le sorelle del benefattore si deci­sero a ricomprarsi la casa in cui abitavano. Un’altra beneficiaria del testamento fu una servente, morta ultranovantenne a S. Possidonio, che gli era affezio­natissima e che gli aveva tra l’altro cucito anche il berretto da garibaldino. Tra i tanti beni più o meno preziosi era entrata in possesso anche di un ritratto del gentiluomo, opera di Adeodato Malatesta.

Quando gliene venne chiesta la restituzione, con furbizia contadina, tentò di sostituirlo con una copia dalla vernice ancora fresca, dalle tonalità verdastre e con tutta una serie di particolari sgraziati a comin­ciare dalle mani. La conclusione che si racconta vuo­le che il quadro falso sia finito esposto in Comune e quello vero sia appeso nella vecchia casa tra solidi mobili di noce.

Lo stesso Muratori commissiona al Malatesta nel 1861 la Madonna del Carmine (o della Cintura?), qua­dro che, ritirato dalla proprietà e restituito all’arci­prete nel 1915, oggi fa mostra di sè in canonica. Di quest’opera esistono diverse copie che, se pur belle, disattendono la grande personalità vitale e delicata dell’autore, compiendosi così uno dei soliti tradimenti.

È quel che succede alla Secchia: nelle decorazioni della casa natale del nostro concordiese si dilata sino ad acquisire sembianze veneziane.

La realtà e così anche la verità spesso si celano sotto un tono decadente e sotto posticci contenuti poetici. Capita allora che uomini che sono stati solo dei so­gnatori, vengano presi per folli un po’ malinconici. Non resta che la tenerezza un po’ crepuscolare della rievocazione per dare loro quel tanto che gli è dovuto. In questo compito ci aiuta il portico che corre lungo la strada principale con le sue “novantanove colonne incolonnate”. È l’argine consunto che attraversa il pae­se, legandolo e seguendolo con delicata e pensosa te­nerezza. Partecipe protagonista, accoglie gli appunti e i frammenti della vita paesana, alternando ombre e luci, come hanno fatto i secoli che hanno costruito e distrutto al punto che Concordia non presenta edi­fici anteriori si XVIII sec. Il portico con il bel proce­dere delle sue colonne e con la processionale cadenza degli spazi bui si fa contrappunto alla memoria. Per­correndolo si avverte la possibilità di rievocare l’atmosfera che avvolge il paese come se si fosse sempre vissuto palmo a palmo ogni età della contigua Sec­chia. Ma questa realtà d’assieme solo i Concordiesi possono raccontarla…

Tratto da: La Secchia – Un fiume, la sua terra, la sua gente.

Autore – Dante Colli

Artioli Editore

Cassa di Risparmio di Carpi

Anno: 1988

 

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