Un matrimonio da favola

Commenti (0) Mirandola raccontata da Vanni Chierici

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Come abbiamo già visto in precedenti articoli, il destino dei figli dei principi nel tardo medioevo e nel rinascimento era già segnato all’atto della nascita. Con rare eccezioni, tre erano le possibilità dei figli maschi assegnate in ordine di arrivo; il primogenito ereditava dal padre titolo e beni, il secondogenito era avviato alla carriera militare ed il terzo a quella ecclesiastica.

-Tommaso d'Aquino principe di Feroleto e sposo della principessa Fulvia Pico

-Tommaso d’Aquino principe di Feroleto e sposo della principessa Fulvia Pico

Anche per le femmine esistevano tre opportunità che però dipendevano unicamente dalla volontà del padre; il matrimonio d’interesse, una vita monastica o una vita a corte con compiti di rappresentanza … diremmo noi oggi.

La sorte della principessa Fulvia Pico, quartogenita del Duca Alessandro II Pico e di Anna Beatrice d’Este, nata nel 1663, fu il matrimonio … e che matrimonio!

Il fatto d’essere nata nel periodo aureo del Ducato della Mirandola e d’essere imparentata con le più importanti dinastie d’Europa, furono la premessa per un vero matrimonio da favola che i principi reali d’Inghilterra di oggi non si sognano neppure. A vario titolo poteva annoverare parentela coi duchi di Modena, di Mantova, di Parma, di Savoia e di Massa, col Signore di Castiglione in Lombardia, con la regina d’Inghilterra, coi Signori di Baviera e d’Oranges e con le case reali di Danimarca.

Per completare l’insieme, si aggiunga la descrizione che di lei ne fanno i cronisti dell’epoca: “… avvenente nella persona, saggia, virtuosa, piena di grazia, formava la delizia dei genitori e dei parenti che ne ammiravano le egregie doti della mente e del cuore.” Ciapa su e porta a cà.

Il gossip a quell’epoca viaggiava più spedito della posta (non che oggi le cose siano molto diverse) e, con un curriculum del genere, non stupisce che il principe Don Tommaso d’Aquino, appartenente ad una delle più importanti famiglie del Regno di Napoli, se ne sia invaghito ed abbia mandato il generale don Antonio Caraffa a chiederne la mano. Non stupisce nemmeno che abbia trovato un accordo in brevissimo tempo col Duca Alessandro visto le credenziali del principe; Principe del Sacro Romano Impero, principe di Castiglione e di Feroleto, conte di Martorano, principe di Santo Mango, Signore di Nicastro, grande di Spagna, Capitano generale di tutta la cavalleria del Regno di Napoli e del suo esercito e Gentiluomo della Camera Reale. Con una sfilza di titoli del genere sfido chiunque a porgli un rifiuto.

Il matrimonio viene celebrato il mattino di sabato 29 novembre 1687 nella cappella ducale del castello con il principe Francesco, fratello maggiore di Fulvia, che rappresenta l’assente Tommaso. La cerimonia, pur con la presenza di vari ospiti illustri, la si può definire “intima”, ma ciò che segue dopo … Celebrato il rito, la comitiva attraversa il cortile del castello e, salendo lo scalone che porta agli appartamenti privati della duchessa, arriva nella camera adibita a sala mensa.

La sola vista della lunga tavolata addobbata con preziose tovaglie ricamate e tappeti di broccato lascia gli ospiti senza parole. La famosa argenteria dei Pico poi toglie il fiato, sia per la ricchezza in sé che per la magnifica disposizione, realizzata dal credenziere di corte, che comprende tovaglioli di tessuto finissimo disposti con forme di vari frutti e uccelli dalle forme perfette.

La coppia di sposi, vale a dire la principessa Fulvia ed il facente funzione principe Francesco, si siede a capotavola e via via, da una parte e dall’altra, i vari ospiti in ordine decrescente d’importanza. Unica nota stonata l’assenza del duca che, indisposto, è andato nel proprio appartamento dove si contenterà di un brodino di pollo; altra faccenda è il pranzo di nozze. Sono state preparate cinque portate che si susseguono secondo un ordine ed una cadenza ben precisa.

La prima è costituita da piatti freddi abbelliti da figure di pregiata fattura fatte con marzapane e burro colorati con colori naturali.

Un primo piatto rappresenta un cupido con l’arco in mano in piedi su di un piedistallo sostenuto da varie figure nude.

Un altro raffigura Giove con corona e scettro a cavallo di un’aquila.

Un altro ancora presenta lo stemma dei Pico sostenuto da giganti e contornato da figure umane con trombe e violini.

Segue il cibo vero e proprio costituito da minestre varie e piatti di pesce di varie specie cucinati in tutti i modi possibili, dalla marinatura, al cartoccio, alla brace e via dicendo; trote, carpe, trinche, lucci, rombi, merluzzi e orate accompagnate da salse ed intingoli.

Non mancano contorni preziosi come tartufo ed enormi olive e verdure varie seguite da formaggi e frutta fresca e dolci. Il tutto annaffiato da pregiati vini delle ducali cantine.

Le tre ore e mezzo passate a tavola vengono allietate da musici che suonano senza un attimo di pausa per tutto il tempo. Al termine del pranzo, o per meglio dire dell’abbuffata, i paggi portano bacili di acqua profumata e salviette per permettere ai commensali di lavarsi le mani, quindi ci si trasferisce nella sala detta Ceresa dove ha luogo una fastosa festa da ballo durante la quale i gentiluomini di corte si premurano di offrire a dame e cavalieri confettura bianca, canditi, sorbetti, cioccolatini e bevande fresche.

Per tre giorni la Mirandola tutta è in festa, poi tutto si calma, si riprende la vita normale e devono pensarci quelli delle pulizie a ripulire strade e castello. Ma non è che si sta con le mani in mano, c’è da predisporre la comitiva che seguirà la principessa Fulvia all’incontro col consorte previsto per il 26 dicembre a Loreto. Il corteo principesco viene così organizzato; le otto carrozze di testa ospitano Fulvia e la sua corte che è così composta: il fratello Galeotto, il marchese Giuseppe Tassoni che accompagna la moglie Anna destinata ad essere la prima dama di compagnia della principessa, tre contesse anch’esse dame di compagnia affidate alla direzione della matrona Lavinia Papazzoni, otto cavalieri mirandolesi e quattro conti come paggi. Le prime due sono adorne all’interno di ricchi drappi e frange d’oro e all’esterno completamente dorate, le altre sei hanno gl’interni drappeggiati di raso color porpora ed all’esterno sono dipinte con motivi floreali e pregiati disegni di frutti vari.

Temendo eventuali incidenti lungo il percorso viene aggregata una lettiga sfarzosamente arredata. Cavalcano sui due fianchi paggi, staffieri di corte e sei giovani nobili. Seguono quattro carrozze che trasportano le cameriere personali, affiancate dagli stallieri a cavallo. Venti superbi muli, abbigliati con belle gualdrappe sulle quali è dipinto lo stemma dei Pico, trasportano i bagagli ed il corredo di Fulvia. A chiudere il lungo convoglio i carri che trasportano cuochi e personale della cucina e altri dieci muli carichi dell’argenteria e di tutto il necessario per imbandire la mensa e dispensare i pasti lungo il cammino.

Alla guida di tutto questo ambaradan è il capitano Manilio Chiavena, primo scalco di corte (scalco: addetto ad ordinare ed imbandire i banchetti), coadiuvato dal conte Giulio Masetti, scudiere maggiore.

Poco prima di mezzogiorno del 16 dicembre, dopo aver versato lacrime di dolore per quello che sapeva essere un distacco definitivo, la principessa Fulvia lascia l’amata famiglia e l’adorata Mirandola per congiungersi col consorte. A sera pernotta a Persiceto e l’indomani, nel tardo pomeriggio, arriva all’ombra della torre degli Asinelli a Bologna accolta da una folla di gente accorsa a festeggiare gli illustri ospiti.

La principessa e la sua corte vengono ospitati nel palazzo Angelelli dove la nobiltà cittadina, capeggiata dal cardinal Negroni, viene ad ossequiarla. In serata vengono offerti agli ospiti rinfreschi preparati da un cuoco francese espressamente richiesto alla corte imperiale.

Il giorno dopo la comitiva mirandolese riprende il cammino, ma non prima di aver assistito alla santa messa nella chiesa di s. Caterina. Durante il viaggio si sosta a Imola in casa del conte Sassatelli, a Rimini presso il conte Gambalunga, a Forlì dalla famiglia Abicini, a Pesaro dai nobili Ardizio, a Cesena dal conte Fanteguzzi e a Sinigaglia dal marchese Riviera. Ovunque nelle città il corteo viene accolto da festose folle e in campagna i villani sospendono il lavoro per porgere gli omaggi. Il 25 dicembre giungono ad Ancona ospiti in casa Cadolini. Qui Fulvia viene accolta con ogni magnificenza e il Cavalier Ferretti, comandate del porto, ordina una giostra navale in onore degli illustri ospiti.

Il giorno dopo a Loreto la principessa Fulvia incontra finalmente il consorte Tommaso d’Aquino principe di Feroleto. Il principe, impaziente, le va incontro con la propria carrozza e dopo aver espletato la cerimonia della consegna gli sposi si scambiano il primo bacio seguito dal dono di lui di una collana di perle e diamanti, quindi salgono sulla carrozza e si avviano verso la casa colonica ove è stata imbandita la cena.

Il giorno dopo si riparte e, per espresso desiderio di Fulvia, ci si dirige a Roma per una visita che durerà fino all’undici di gennaio; il principe ha già capito che ora in casa non sarà più il padrone assoluto. Il viaggio verso Capua, ove si trova il palazzo del principe consorte, si conclude il 17 gennaio in modo grandioso; nell’ultima parte del tragitto, allo sfarzoso corteo, già allungato dalle carrozze di Tommaso, si aggiungono una sessantina di carrozze di parenti e principi e cavalieri che vengono ad ossequiare gli sposi e accompagnarli nell’ultimo tratto, tra due ali esultanti di folla.

I festeggiamenti durano per quindici giorni con balli, pranzi e cene e rinfreschi, musiche a tutte le ore e commedie e persino una parata delle galere della squadra navale della Corona di Napoli.

Tale magnificenza non fu vana, Tommaso e Fulvia, raccontano i cronisti, si amarono veramente, ma per breve tempo. Dopo quattro anni in cui il marito la descriveva come “la mia gioia”, il terzo parto le fu fatale. E che il loro amore fu veritiero lo dimostra il fatto che il principe Tommaso d’Aquino non si risposò.

Fonte: Memorie storiche della città e dell’antico ducato della Mirandola – vol. XVII

Vanni Chierici

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