Mirandola – L’assedio del 1551-1552

Commenti (0) Mirandola raccontata da Vanni Chierici

ARRIVANO, ARRIVANO … urlava il cavaliere lanciando il cavallo ad un galoppo sfrenato.

Attraversò il ponte precario che univa le sponde del fossato quasi volando. Sempre urlando a squarciagola valicò il portone che immetteva nella città sfiorando una guardia appoggiata al muro che si fumava tranquillamente una sigaretta e che gli urlò dietro: qualcuno prenda la targa di quel tir! Dirigendosi verso l’entrata del castello sfiorò un giovane passante che non si avvide del cavaliere perchè intento ad ascoltare un madrigale con l’auricolare inserito nell’ipod.

ARRIVANO, ARRIVANO … urlò ancora nel cortile del castello. Ludovico II Pico si affacciò allarmato al balcone e chiese preoccupato: cus ela tutta sta cagnara? Chi è dree rivar?

  • Papalini – tentò di urlare il cavaliere con voce ormai roca – l’esercito papalino ha attraversato il Panaro e si dirige qua!

Era il luglio del 1551 ed iniziava il più lungo assedio subito dalla Mirandola!

  • “Casus belli” della guerra è la città di Parma, in mani francesi, di cui il Papa Giulio III si ritiene derubato. Si allea con l’imperatore Carlo V e mentre questi attacca la città contesa, le truppe papaline si dirigono verso la Mirandola, alleata con la Francia.

Le truppe pontificie ammontavano a 10.000 fanti e 600 cavalieri comandati dai colonnelli Camillo Orsino e Alessandro Vitelli; le truppe mirandolesi, dopo che una loro consistente parte era stata spedita a rinforzo di Parma, consistevano in 1.000 fanti e 200 cavalieri. Appena arrivati gli assedianti costruiscono tre forti, divenuti cinque in agosto, per cercare d’impedire l’arrivo di aiuti esterni e sortite dalla città, ma invano.

Nell’arco dei quasi undici mesi di assedio i soldati di papa Giulio III non riusciranno mai ad impedire le sortite dei cavalieri e dei fanti di Ludovico II. Anzi, spesso saranno le forze della città che metteranno in pericolo le retrovie papaline, anche quando verrà costruita una trincea che collega tutti i forti degli assedianti, che alla fine delle ostilità saranno diventati nove. Dopo i primi assalti inconcludenti, neanche tanto convinti ( i ghivan na pavura ch’agh tarmava infin i dent), papa Giulio richiama Orsino e dà il comando al nipote Giovan Battista del Monte promettendogli, in caso di successo, di regalargli la Signoria della Mirandola. Gli assalti continuano quasi giornalmente, ma spesso vengono respinti dalle sortite dei cavalieri e dei fanti di Ludovico prima ancora che giungano sotto le mura.

Papa Giulio II

Papa Giulio III

Mirandola al tempo dell'assedio - Disegno di Lorenzo Confortini

Mirandola al tempo dell’assedio – Disegno di Lorenzo Confortini

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Silografia che mostra l’assedio della Mirandola del1551-1552

 Uno dei forti degli assedianti

Uno dei forti degli assedianti

In ottobre Giovan Battista, dopo aver ricevuto rinforzi, si avvicina alle mura e tenta d’intimidire Ludovico, che ha solo 23 anni, minacciando un terribile assalto in massa con conseguente bagno di sangue. Il giovane Pico se ne fa beffe gridandogli che se ci riesce gli regalerà 3.000 scudi d’oro; naturalmente la fanfaronata del papalino rimane tale. Visto che i risultati latitano, il 10 dicembre il Papa decide d’inviare una lettera a Ludovico promettendogli, in cambio dell’abbandono dell’alleanza con la Francia, il perdono sia pontificio che imperiale; naturalmente il Signore della Mirandola rifiuta sdegnato un simile tradimento. Nonostante gli assedianti non riescano ad impedire le sortite dalla fortezza, durante l’inverno la fame ed il freddo, per la mancanza di legna da ardere, si fanno sentire ed i prezzi del cibo, spesso portato di notte o col favore dei nebbioni della bassa da contadini dei dintorni, arrivano alle stelle; si dice che un uovo di gallina arrivi a costare fino ad uno scudo d’oro (e po’ i disan dl’inflazion).

Il 14 aprile una ventina di gentiluomini romani vengono in visita, la classica gita fuori porta, ed il Giovan Battista li invita ad una battuta di caccia coi cani. Sicuro che i propri soldati facciano buona guardia, si fa accompagnare da una piccola scorta. Vengono sorpresi da cavalieri mirandolesi che erano usciti eludendo i controlli del nemico e attaccati con decisione soccombono. Il comandante delle truppe pontificie viene dapprima passato da fianco a fianco con una lancia e poi finito con una alabarda.

Abbattuto dalla notizia della morte del nipote Papa Giulio III, in accordo con l’imperatore, inizia le trattative di pace e nel maggio del 1552 terminano le ostilità col ritiro delle truppe pontificie sia dalla Mirandola che da Parma (tanta cagnara par gninta).

In quasi 11 mesi di guerra le truppe assedianti avevano subito 3.000 morti, quelle mirandolesi 75.

Con questa brillante vittoria la Mirandola come fortezza ed i Pico come suoi Signori acquistano prestigio sia militare che politico divenendo un tassello importante del puzzle che è l’Italia in quel periodo. L’imperatore Carlo V quando sul letto di morte passò le consegne al figlio, lo chiamò vicino a sé e con l’ultimo alito di vita gli sussurrò: Ricordati sempre che se ti viene in mente di fare una guerra in Italia, come prima cosa distruggi la Mirandola, oppure lascia perdere. Va mo là.

Vanni Chierici

Fonti:

Cartografia storica ragionata della Mirandola del secolo XVI. Vilmo Cappi

Mirandola, 30 secoli di cronaca. Giuseppe Morselli

Memorie storiche della città e dell’antico Ducato della Mirandola. Tomo II.

Anonimo.

Notizie biografiche in continuazione della biblioteca Modonese. Tomo III. Girolamo Tiraboschi.

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