Un pilota ricorda – Volo turistico – VIII e ultimo capitolo

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9 - Mirandola vista da ovest

  Volo turistico.
In quest’ultimo capitolo proverò a portarvi in volo con me. Vi porterò sopra i cieli di Mirandola.

Chiudete gli occhi ed immaginatevi … bè forse è meglio che li teniate aperti per poter leggere.

Allora, mentre leggete queste poche righe, sforzatevi di immaginarvi la scena come farò io mentre cercherò di descrivervi il volo.

In un altro capitolo ho già descritto la trafila dei controlli prevolo, quindi saltiamo a piè pari questo paragrafo.

Sono le ore 18.00 di un giorno di settembre, il cielo è sereno, non una nuvola. La manica a vento ciondola indolente in perfetta verticale, gli alberi hanno le foglie immobili e la temperatura dell’aria è di 23 gradi; la giornata è ideale, siete stati molto fortunati a scegliere oggi per il vostro primo volo. Indossate il casco ed allacciate strettamente il sottogola mentre vi do le ultime raccomandazioni. “Non allungare le braccia indietro, potresti ritrovarti senza dita. Non slacciarti mai le cinture, cerca di stringerle comode prima della partenza. Non afferrarti mai ai tiranti dell’ala. Se ti senti male, battimi una mano sul casco ed io atterrerò nel più breve tempo possibile. Non succederà niente, ma nel caso cerca di non farti prendere dal panico e soprattutto non avvinghiarti a me. Ora sali.” Vi avvicinate al delta, alzate la gamba sinistra e vi sedete sul seggioino posteriore. Mentre vi sistemate comodi posizionando i piedi sugli appositi predellini, io afferro le cinture e dopo averle regolate secondo la vostra corporatura ve le allaccio controllandone poi la perfetta chiusura. “Accendo il motore. – ti avviso – Via dall’elica!” urlo per avvertire eventuali persone presenti nelle vicinanze del pericolo. Afferro la maniglia dell’avviamento a strappo e do un deciso strattone. Il motore, scaldato precedentemente, parte al primo colpo. L’elica si mette in movimento e manda un forte getto d’aria rotolante all’indietro. Il motore con l’acceleratore al minimo vibra scuotendo la leggera struttura del velivolo e trasmettendovi le vibrazioni al fondoschiena, tipo massaggio. Queste diminuiranno notevolmente non appena aumenteranno i girimotore. Ora anch’io mi siedo sul sedile, quello anteriore naturalmente, raccolgo il casco da terra e me lo sistemo per bene, poi mi allaccio le cinture. Siamo pronti. Afferro il trapezio (nome corretto dei comandi dell’ala che per comodità d’ora in avanti chiamerò barra), l’attiro verso di me e spingo dolcemente col piede destro l’acceleratore. Le vibrazioni calano fin quasi a scomparire ed il delta si mette lentamente in movimento. Ruotando con i piedi il ruotino anteriore esco dal parcheggio e mi dirigo verso la testata pista. Mi allineo perfettamente alla linea di volo e mi fermo. Tenendo frenato il delta, do un’ultima sgasata per assicurarmi che il motore giri bene, muovo avanti e indietro e lateralmente l’ala per controllare che i suoi movimenti siano liberi, poi un’occhiata al cielo, tutt’intorno, per assicurarmi che non vi sia traffico aereo in avvicinamento. Tutto è a posto, possiamo decollare. Accelero dapprima dolcemente poi più deciso. Il delta inizia la corsa di decollo, la velocità aumenta in fretta ed il terreno dal fondo diseguale trasmette piccoli e frequenti sobbalzi che gli ammortizzatori delle ruote non riescono ad eliminare completamente. Comunque la direzionabilità del velivolo non ne è compromessa e riesco a tenerlo sotto controllo facilmente. Raggiunta la velocità di stacco, spingo la barra in avanti aumentando l’angolo di attacco dell’ala. Il ruotino anteriore si stacca da terra seguito immediatamente dalle due ruote posteriori; siamo in volo. A tutto gas prendo quota e raggiunti i cento metri diminuisco la pressione del piede sull’acceleratore e tiro indietro la barra fino ad una posizione neutra. Il delta livella il proprio volo, spingo la barra leggermente a destra ed inizio una dolce virata a sinistra per togliermi dalla linea di volo della pista e me ne allontano. Compio una nuova virata a sinistra di novanta gradi e mi dirigo verso lo spazio vuoto che si trova tra il polo industriale e l’abitato di S. Felice. Sorvolo la statale senza dovermi preoccupare di dare precedenze e ci ritroviamo in aperta campagna. A questo punto decido di prendere la via più breve, perchè va bene che vi sto facendo un favore ma la miscela costa, e faccio rotta verso S. Biagio. Nonostante il cielo sereno l’onnipresente umidità della bassa, coadiuvata dal sempre peggiore inquinamento atmosferico, crea una foschia giallastra che limita fortemente la visibilità. Di norma questo strato s’innalza fino a 250/300 metri. Visto che questo è un volo turistico, dimentico per qualche istante la legge 106 e do gas al motore per salire di quota. Gradualmente la limpidezza dell’aria migliora e a 320 metri siamo sopra lo strato che sotto di noi sembra anche più fitto, quasi nebbia. Lontano sull’orizzonte la linea di demarcazione appare netta, giallo sporco sotto di noi ed aria trasparente e fresca tutt’intorno. A nord si staglia perfettamente la Marmolada col suo ghiacciaio biancazzurro. Alcuni candidi piccoli cumuli le fanno corona; è una vista bellissima, da cartolina e solo questo basterebbe a giustificare il volo. Un paio di minuti per assaporare con calma questo quadro, poi tolgo un po’ di acceleratore e tiro a me la barra; scendiamo ad una quota più regolamentare. Arriviamo a cento metri e livello di nuovo il volo. Siamo ormai a S. Biagio che ci viene pigramente incontro. La chiesa ci sfila lentamente sulla sinistra, più avanti all’angolo del crocicchio la vecchia ex scuola circondata dagli alti alberi ed il bar con le sedie ed i tavolini sul piccolo spiazzo antistante si riconoscono perfettamente. Un fugace sguardo e stiamo di nuovo sorvolando la campagna. Il nastro grigio della strada si insinua serpeggiando tra i campi, alcuni grigio scuro già arati, altri ricoperti di frutteti o vigne o di verdi coltivazioni di fine estate. Pochissimi gli alberi, perlopiù solitari testimoni superstiti degli antichi boschi padani. Sorvoliamo via Imperiale con i suoi ciliegi ed un attimo dopo oltrepassiamo il Mazzone, siamo arrivati a Mirandola. Una leggera virata a sinistra seguendo la strada sottostante poi un’altra più decisa verso destra e ci posizioniamo di fianco all’estrema periferia est. A destra, quasi al limite della visibilità, Cividale con la sua stazione, a sinistra sfilano la piscina scoperta con gli ultimi bagnanti di stagione, il vecchio stadio e la stazione delle corriere. Sorvoliamo le fabbriche del polo industriale, poi una nuova virata a sinistra salendo a 150 metri. Mentre ci avviciniamo alla statale 12, possiamo intravvedere la splendida piazza, i resti del castello ed il Teatro Nuovo. Alla nostra destra, una fitta macchia di alti cipressi ci indica la posizione del cimitero cittadino. Superata la statale nuova virata a sinistra. Qui ad ovest della città la periferia molto sviluppata ci tiene lontani dal centro e non ci permette di osservarne i particolari, ma la veduta d’insieme è di per sé uno spettacolo e su tutto svetta il campanile del Duomo. Se salissi ad almeno 500 metri si potrebbe vedere benissimo la quasi perfetta pianta ottagonale del centro circondato dai suoi bellissimi viali. E’ ora di tornare al campo. Siamo in volo da quasi un’ora, il sole si sta abbassando e l’aria rinfrescando. Mantengo rotta sud sorvolando il Diversivo e la zona industriale sud, poi passato S. Giacomo Roncole, con quel pericoloso curvone di fronte alla chiesa, viro di 45 gradi a sinistra e mi dirigo verso Medolla che già si vede ora che la foschia, per effetto della sera incombente e del sole alle spalle, si è un po’ diradata. In lontananza il Cimone svetta sugli appennini. Il paese sfila lentamente alla nostra destra e ce lo lasciamo alle spalle seguendo la strada diritta che ci indica come un lungo dito puntato la direzione per il polo industriale di S. Felice. Ben presto appaiono i grigi hangars del campo. Scendo lentamente ad una quota di cinquanta metri e con una virata di 90 gradi risalgo la pista d’atterraggio che lascio una cinquantina di metri alla mia sinistra. Oltrepassatala di un centinaio di metri nuova virata a sinistra e poi un’altra ancora. Ora mi trovo a 50 metri di quota, cento metri prima dell’inizio della pista ed in perfetta linea con essa. Riduco lentamente i giri del motore e tiro lievemente a me la barra dei comandi. Il delta perde gradatamente velocità e quota. A cinque metri da terra, ad una velocità che si aggira ormai sui 30/35 km/h, tolgo completamente l’acceleratore lasciando il motore al minimo e spingo in avanti con delicatezza ma decisione la barra. Le ruote posteriori toccano terra e per qualche metro l’ala sostiene ancora in aria quella anteriore, poi anch’essa tocca e riprendono i sobbalzi che avevamo lasciato con il decollo. Lascio rullare il delta fino all’area di parcheggio frenando lievemete per rallentare gradualmente e poi più decisamente per fermarmi. Mi sporgo in avanti e col dito indice della mano destra abbasso la levetta che toglie i contatti del motore. Silenzio assordante per un paio di secondi, poi i rumori dell’attività del campo prendono il sopravvento; siamo atterrati, volo finito. Slaccio le cinture, scendo, vi aiuto a districarvi tra cinture e tiranti e mi tolgo il casco.
Allora, com’è andata? Vi siete divertiti? Forse, anzi sicuramente, non sono riuscito a farvi vivere le emozioni e le sensazioni che dà il volo in deltaplano, ma spero di avervi incuriositi. Se quelle sensazioni le volete provare realmente, senza surrogati inefficienti, vi consiglio di andare, una domenica con bel tempo, in quel di S. Felice dove l’ottimo istruttore della locale scuola di volo sarà ben felice di accontentarvi … dietro una piccola, insignificante elargizione economica. Ciao.

Vanni Chierici

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