Camposanto – Cenni storici – Impariamo a conoscerci

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Lo stemma del Comune di Camposanto è contornato da due corone, una di alloro, simbolo di gloria e una di foglie di quercia, simbolo di forza. È pure sormontato da una corona gentilizia turrita. Lo scudo è ripartito in due quadri: quello superiore, contiene due spade incrociate d'argento in campo rosso, a ricordo della celebre battaglia del 1743. La parte inferiore ospita una croce greca rossa in campo argentato.

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CAMPOSANTO

Camposanto è un attivo comune della Bassa modenese, importante centro agricolo e artigiano. La popolazione al 31/12/81 era di 2.995 abi­tanti. Altitudine: metri 21 sul livello del mare. Frazione: Cadecoppi.

CENNI STORICI

Assai incerta è l’origine del nome di Camposanto. Si parla di un “Cam­pus Sancti”, cioè di un Campo di Sante, ma il Tiraboschi ha trovato an­che un “Camposanato”, che potrebbe significare un campo risanato dalla palude o dalla malaria. È invece da escludere, come è stato detto, che il nome derivi dall’esito della sanguinosa battaglia che si tenne in questa zona nel 1 743, e che determinò un impressionante numero di morti.

Incerta è anche la nascita del paese. Stranamente, la prima citazione che il Tiraboschi trova di “Campus Sanctus” risale al 1445. Probabil­mente, come si è detto, la comunità aveva la propria sede nel vicino nu­cleo abitato di Gorzano. Poi per cause non precisate, Gorzano venne ab­bandonato e il centro prevalente divenne Camposanto, anche in virtù di una migliore posizione strategica sul Panaro. Il documento del 9 aprile 1445 invita il marchese Leonello d’Este a ridurre all’ubbidienza il popolo di Camposanto che – afferma sempre il Tiraboschi – “pretendeva di esse­re indipendente”. Allo stesso secolo XV risale la prima chiesa di Campo­santo dedicata a San Nicolò.

Per la vicinanza con i confini bolognesi, Camposanto nel corso dei se­coli è stata spesso oggetto di scorrerie da parte degli Estensi, dei Pepoli e dei Bentivoglio.

Celebre nella storia è la battaglia di Camposanto, che avvenne I’8 feb­braio 1 743 fra le truppe francesi e spagnole da un lato e quelle austria­che e piemontesi dall’altro. Fu una battaglia che si svolse nel vasto qua­dro delle operazioni belliche della guerra di successione austriaca, dopo la morte di Carlo VI (1741) e l’avvento di Maria Teresa con la pace di Aquisgrana (1748).

Lo scontro avvenne in una fredda ma serena giornata: si fronteggiaro­no i francesi e gli spagnoli, comandati dal generale Gages, e gli austro-piemontesi al comando del maresciallo di Traun e di Carlo Emanuele III di Savoia. La battaglia fu cruenta e si svolse nella zona che sta tra il ponte attuale sul Panaro e la zona del Bottegone, con particolare crudezza nei pressi della chiesa, che allora era circondata soltanto da un modesto gruppo di casupole.

Il maresciallo di Traun giunse a Camposanto da sud, precisamente da Bomporto, e il suo esercito era predisposto su due colonne. La prima era composta da 14 battaglioni, con schiavoni, ussari, dragoni e cavalleria leggera, al comando dei generali Pallavicini e Novati, la seconda colonna era composta da 11 battaglioni, fiancheggiata da dragoni ungheresi, e dalla cavalleria di Berlinghem e di Savoia. Inoltre vi erano reggimenti di fanteria piemontese comandati dal marchese d’Agremont e dal conte di Lantrau. La cavalleria era agli ordini dei generali Peisberg e Pertisati, e dei generali Ciceri e San Pietro.

Su due linee erano schierati anche gli spagnoli: c’era una forte batteria di bocche da fuoco, varie brigate di carabinieri al comando del Duca di Atrisso e del marchese Della Croce, i dragoni del marchese di Crevalcore, i dragoni di Sagunto al comando del generale Don Fernando De la Torre. In seconda linea le truppe leggere al comando del conte di Sagne e del Marchese di Gravina. In totale, sui due fronti, circa 22mila uomini.

Lo scontro, come fu detto, fu terribile, si combattè tutta la giornata ma l’esito fu incerto. Di preciso si sa che gli austro-sardi restarono pa­droni del campo, mentre i franco-spagnoli poterono affermare di avere messo in fuga la cavalleria nemica.

L’unica cosa certa furono i morti: seimila uomini, fra morti e feriti, rimasero sul campo. E anche qui ci fu una sorta di incertezza, fomentata da una specie di guerra dei comunicati. Gli austriaci dissero di avere per­duto mille uomini e 700 i piemontesi, gli altri dispersi erano tutti spagno­li. Il conte di Gages affermò che aveva perduto 1500 uomini. E gli altri? Un mistero. Come rimase un mistero l’esito della battaglia.

Il maresciallo di Traun fu accolto come un trionfatore, a Vienna cantarono vittoria e la stessa Corte spagnola se ne mostrò convinta. Quando però il Conte di Gages tornò in patria carico di trofei di guerra strappati ai nemici nella battaglia, la corte spagnola inneggiò al successo e il Conte di Gages fu proclamato anche conte di Camposanto con i suoi discen­denti in perpetuo.

Per il resto, Camposanto seguì sempre, nel corso dei secoli, le vicende di San Felice, in pratica sempre sotto il dominio degli Estensi. Ai tempi di Napoleone perse il titolo di comune che poi recuperò nel 1 860. Drammatiche le vicende del paese nel corso dell’ultima guerra mondiale. Il fatto che il paese fosse assai vicino al ponte stradale e a quello ferroviario sul Panaro fu causa di ripetuti bombardamenti aerei.

Non solo, ma all’arrivo dell’esercito alleato, il centro di Camposanto venne sottoposto ad un intenso bombardamento. Il suo campanile fu semidistrutto a causa di una mitragliatrice lassù appostata che teneva sot­to controllo tutto l’argine del Panaro.

Alla fine della guerra si contarono oltre 120 bombardamenti che distrussero circa il 40 per cento delle abitazioni, mentre un altro 30 per cento fu seriamente danneggiato. I morti furono una cinquantina, cento i feriti.

Come si è detto, il comune di Camposanto fu certamente il più prova­to dalla guerra fra tutti i centri del comprensorio.

Ecco perchè oggi Camposanto, ricostruita dopo il conflitto, si presen­ta come il centro più moderno della zona.

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Di rilievo la chiesa parrocchiale dalla bella facciata neoclassica la cui attuale configurazione risale alla metà del ‘700. Vi si conserva un bellissimo organo, datato 1760, della scuola dei Traeri, analogo a quello di Camurana. Caratteristico il campanile, ricostruito dopo la guerra, dall’insolita cuspide “a cipolla”. Una leggenda racconta che tale cuspi­de fu voluta da un comandante di truppe spagnole, che volle ricordare nella punta del campanile, il caratteristico fiasco di vino delle nostre ter­re.

Chiesa Parrocchiale di Camposanto

Chiesa Parrocchiale di Camposanto

Non va dimenticato che il territorio di Camposanto fu eretto in Mar­chesato nella prima metà del Settecento e infeudato alla famiglia dei marchesi Ponticelli della Garfagnana.

Proseguendo verso Finale Emilia, sulla moderna strada Panaria Bassa, si arriva alla frazione Ca’ de Coppi. Anche questo luogo non manca di una sua storia.

Il Tiraboschi ricorda che questa villa del Marchesato di Camposanto aveva una chiesa dedicata a San Gerolamo fin dal 1485. Fu costruita per iniziativa della contessa Violante Martinengo, moglie del conte Ugo Rangone, su permesso del vescovo Gianandrea Boccaccio, che concesse il diritto di Giuspatronato in perpetuo alla stessa nobile famiglia modenese dei Rangoni. Nella chiesa, una bella tela di Adeodato Malatesta, pittore modenese dell’800.

Superata la località di Cabianca, si giunge a Finale Emilia.

Giuseppe Morselli

Tratto da: Guida storica e turistica della BassaModenese

A cura di Giuseppe Morselli

Anno 1982

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