Antichi Palazzi – Palazzo Borsari – Finale Emilia

Commenti (0) Racconti

1921 Via Frassoni p.zzo Borsari

Titolo

1903 Via Frassoni

Palazzo Borsari, ora Rossi

Sec. XVIII

Finale Emilia, via Frassoni

Il palazzo è certamente una delle costruzioni architettonicamente più interessanti della Bassa modenese, dove le principali residenze urbane e suburbane mostrano sovente un gu­sto piuttosto sobrio nell’uso delle partiture decorative sui prospetti, preferendo proiet­tare all’interno le aspirazioni ad una dimora di rappresentanza.

Piuttosto controversa è la datazione, che il Baldoni fa risalire al 1660, mentre il Frassoni, molto più verosimilmente, pur senza cita­re un ambito preciso, colloca «a dì nostri», vale a dire intorno alla metà del XVIII seco­lo, quando Giuseppe Borsari decise di co­struire la propria residenza nella Strada del­la Punta, accanto al maestoso palazzo Grillenzoni.

A limitare il campo delle ipotesi si segnala da un lato una mappa del 28 Giugno 1725 (Modena, Archivio di Stato, Acque e Strade, f. 58, fase. Mappe e Tipi diversi) sulla quale il lotto di terreno corrispondente appa­re libero da costruzioni, e dall’altro la prima menzione di un «Palazzo Borsari» in Strada della Punta negli «stati d’anime» del 1769, confermata successivamente da una denun­zia del 19 Agosto 1786, nella quale l’edificio risulta appartenere ad Angelo e Ferdinando Borsari (Modena, Archivio di Stato, Estimo e Catasto, Ufficio Centrale del Censo, Regi­stro n. 620, c. 355).

Il fronte, un tempo scenograficamente affacciato sul corso del vecchio Cavamento dal quale era possibile ammirare la lunga teorìa di residenze nobiliari che tra il XVIII e il XIX secolo qui vennero ad attestarsi, è ripartito da una grìglia di paraste e cornici marcapiano su cui si innesta, alleggerendola, la duplice sequenza delle aperture finestrate al piano terreno e piano nobile, enfatizzate da eleganti coronamenti in cotto a timpano e a lunetta, poggianti su peducci finemente lavorati a rìccio e foglia d’acanto. Un reper­torio decorativo molto vicino ai temi svilup­pati nel bolognese.

Al plastico movimento della facciata, irrobu­stito da un bugnato poco rilevato nell’ordine inferiore ed accentuato dal lieve aggetto del corpo centrale, si contrappone il severo e scarno prospetto verso i giardini: un ampio spazio con serre ed edifici rustici chiuso tra due muri paralleli con accessi pilastrati. L’attuale aspetto, curato ma privo di una si­stematica organizzazione, sembra sia il risul­tato di una trasformazione — dovuta proba­bilmente ad una perdita di interesse o ad un periodo di abbandono — di quello che nel rac­conto di chi ne ha vaga memoria doveva es­sere un sontuoso giardino, ormai perduto.

Curiosamente nell’Archivio Borsari, in parte trasferito dopo la vendita della proprietà da Finale nel castello di Montegibbio, è presen­te lo schizzo prospettico di un giardino all’in­glese, movimentato da piccole esedre e padi­glioni all’aperto e delimitato da muri, che po­trebbe essere lo schema di impianto dell’ori­ginario giardino finalese.

All’interno del palazzo l’organizzazione de­gli spazi, oggi solo parzialmente alterata da necessità d’uso, si articolava in ampie sale di rappresentanza, affacciate sul fronte, dove trovava posto anche una ricca e preziosa rac­colta di volumi. Altre sale di ricevimento si trovano al piano nobile cui s’accede da uno scalone a tre rampe originariamente scandi­to da un incedere di statue, sistemate nelle nicchie e sui pilastri della balaustra, ora incongruamente sostituite da volatili impa­gliati e da fiorì in cemento.

Alessandra Ontani

borsari_0001

Palazzo Borsari, ora Rossi. Decorazione sec. XVIII

Finale Emilia, via Frassoni.

La decorazione, estesa oltre che agli ambien­ti al piano nobile a quelli del piano terreno è soprattutto affidata agli stucchi di gusto rocaille, verosimilmente eseguiti da maestran­ze locali ancora entro la prima metà del seco­lo, che in forma di volute ricci e ramages si assestano sulle superfici delle pareti marmorizzate e dei soffitti dipinti a tempera in bi­cromie azzurro-rosa, sottolineandone scan­sioni e partizioni, facendosi mostre e fastigio nei sopraporta, pennacchi agli angoli, spec­chiature e cornici lungo le pareti.

Nel racchiudere tele di diverso formato, di­mensione e soggetto – episodi mitologici, mezze figure femminili allegoriche… (dipinti che, per la fattura corsiva e le pesanti ridipin­ture, non si discostano da un generico riferimento a formulari a lungo esperiti nella tra­dizione modenese a cavallo tra Sei e Sette­cento) svolgono rispetto ad esse funzione di preminenza più che di coronamento.

Così nei pennacchi con tele raffiguranti Le quattro Arti agli angoli della volta a padi­glione dell’atrio al piano terreno, o nel sinuo­so sopracamino con specchiera ornata da tralci di fiori e foglie in una saletta attigua. E più ancora nel salone d’onore: vaste corni­ci rettangolari con soggetti mitologici alle pareti, due sovraporta con le immagini di Diana (con freccia e con levriero), quattro pennacchi con Le Stagioni, e al sommo della volta a padiglione un rosone con due cerchi intersecantisi.

Maria Pace Marzocchi

borsari

Tratto da: Architetture a Mirandola e nella Bassa Modenese

Cassa di Risparmio di Mirandola

Anno: 1989

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *