Ancona – Un’arte perduta

Commenti (0) Mirandola raccontata da Vanni Chierici

“Impara l’arte e mettila da parte.” Avevo 8/9 anni quando mio zio Ulterno, grande lavoratore del legno, mi spiegò il significato del vecchio detto convincendomi così a sacrificare un paio d’ore di giochi al giorno per aiutarlo nel lavoro e ricambiare vitto e alloggio che mi offriva ogni estate; naturalmente ci cascai come un pollo. “Impara l’arte e mettila da parte”; grazie a zio Ulterno, se ne avessi bisogno, oggi sarei in grado di piantare un chiodo in un asse di legno. Nella bassa modenese non c’erano pietre o marmi da utilizzare per sviluppare l’arte scultorea, fu giocoforza utilizzare un materiale presente in abbondanza: il legno. Nel 1600 imparammo ad intagliarlo ed in breve tempo, per oltre cent’anni, diventammo l’eccellenza.

La prima bottega artigianale di una certa importanza venne aperta da Pietro Giacomo Guagnelini nella prima metà del 1.600. Il suo lavoro più importante fu una grande ancona che gli venne commissionata nel 1657 dalla Confraternita del Ss. Sacramento per la cappella della B.V. del Carmine. Al termine dei lavori, nel 1670, l’ancona con le sue colonne corinzie copriva tutta la volta, la facciata ed il contorno della cappella. Purtroppo un  centinaio d’anni dopo l’altare venne spostato e l’ancona lignea venne sostituita da una in stucco ed andò perduta. Possiamo però oggi renderci conto dell’abilità scultorea del Guagnelini ammirando l’ancona fatta eseguire nel 1667 dalla principessa Maria Pico per custodire l’immagine della Madonna delle Benedizioni nell’oratorio di s. Rocco, che ora si trova in una cappella laterale del Duomo, e, nella chiesa parrocchiale di s. Possidonio, si possono ammirare l’ancona dell’altare della Madonna del SS. Rosario e l’anconetta della sacrestia.

Nel 1651 nacque Paolo Bonelli che dopo essersi formato a Verona tornò alla Mirandola diventando in breve il miglior artista del legno del ducato, e non solo. Fu artista prolifico e forse è per questo che molte sue opere sono giunte fino a noi. Nel Museo Civico di Carpi sono conservate due sue ancone: quella di s. Vittoria, proveniente dal Duomo di Mirandola, e quella del SS. Rosario proveniente dalla pieve di Quarantoli. Ma le sue opere maggiori andarono ad adornare la chiesa del Gesù. Intorno al 1692 intagliò le due meravigliose ed immense ancone che ancora oggi fanno bella mostra di sé sugli altari del SS. Crocifisso e della Madonna della Rosa e quattro anni dopo quelle dell’altare di s. Francesco Borgia e di s. Giuseppe; quest’ultima venne però distrutta nel 1783 quando l’altare venne sostituito da uno marmoreo dedicato alla Madonna del Rosario. Un’altra ancona del Bonelli si trovava in s. Francesco sull’altare dell’Immacolata, ma venne tolta durante i restauri del 1838 e venduta all’arciprete Papotti che la distrusse dopo averne raschiato via l’oro della vernice dorata, fine che fecero anche molte altre opere del genere.

Oltre a dedicarsi alla propria arte, Paolo Bonelli fondò una scuola da dove uscirono i migliori intagliatori del ducato e dintorni; tra questi spiccarono Giacomo Gibertoni, Giovan Battista Salani e Felice Brancolini, tre allievi che, a detta degli storici, seppero anche superare il maestro in maestria e fama, ma le cui opere andarono quasi completamente distrutte o se ne persero le tracce. Del Brancolini ci è arrivata solo la splendida cornice per l’altare di s. Luigi Gonzaga nella chiesa del Gesù, intagliata in collaborazione con il Salani, mentre di quest’ultimo sappiamo che intagliò anche i sei candelabri del primo ordine per l’altar maggiore del Duomo. Delle opere del Gibertoni si sono salvati il pulpito con baldacchino e la bella cornice per la cappella di s. Liborio nel Gesù. Altre sue opere conosciute, ma irrimediabilmente perdute, furono l’ornamento per l’organo del Duomo e due ancone nella chiesa di s. Lodovico: quella per l’altare di s. Antonio da Padova e quella grandiosa per l’altar maggiore. Il Salani inoltre riuscì a trasmettere la passione per l’intaglio al figlio Giovan Francesco che seppe fare onore al padre; a lui dobbiamo la cornice dell’altare maggiore della chiesa di Vallalta, il suo primo lavoro. Nel 1745 poi intagliò l’altare maggiore della chiesa di s. Francesco che però venne sostituito da uno in pietra nel 1833 e andò distrutto. Anche i sei candelabri del secondo ordine dell’altare maggiore in Duomo sono di Giovan Francesco.

Altare in Gesù del SS. Crocifisso adornato con l'ancona di P.Bonelli ed il pulpito di G.Gibertoni.

Altare in Gesù del SS. Crocifisso adornato con l’ancona di P.Bonelli ed il pulpito di G.Gibertoni.

Ancona del dipinto di s.Luigi Gonzaga intagliata da F.Brancolini e G.B.Salani.

Ancona del dipinto di s.Luigi Gonzaga intagliata da F.Brancolini e G.B.Salani.

Ancona opera di G.Gibertoni

Ancona opera di G.Gibertoni

Tabernacolo intagliato da P.Bonelli.

Tabernacolo intagliato da P.Bonelli.

Cappella della Madonna delle benedizioni in Duomo intagliata da P.G.Guagnelini.

Cappella della Madonna delle benedizioni in Duomo intagliata da P.G.Guagnelini.

Ancona del Bonelli in Gesù col dipinto della Madonna col Bambino.

Ancona del Bonelli in Gesù col dipinto della Madonna col Bambino.

Anche la famiglia Paltrinieri ebbe una piccola dinastia d’intagliatori. Il primo fu Pier Giovanni Agostino che nacque in Tramuschio nel 1744, ma poi si trasferì alla Mirandola. La sua arte venne molto apprezzata “all’estero”; uno dei suoi primi lavori fu un coro in una chiesa di Carpi, poi ricevette molti ordini da chiese di Cento, Finale e Ferrara. Ebbe comunque modo di lavorare anche nel Duomo intagliando sei candelabri per l’altare maggiore seguendo lo stile dei Salani. Quarantacinquenne cadde da una scala mentre eseguiva lavori nella chiesa del Seminario alla Mirandola; lasciò il giovanissimo figlio Giacinto che ne ereditò l’abilità artistica. Dopo gli studi ginnasiali, Giacinto venne accolto dal frate Fermo d’Este nella propria officina dove imparava l’arte del disegno e dell’intaglio e quindi venne mandato a Bologna per perfezionarsi, ma arrivò Napoleone e lui tornò a casa di corsa dove affinò le proprie capacità con lo studio autodidatta e l’intenso esercizio. Riuscì in breve a farsi un nome e nel 1812 ricevette la prima importante commissione dall’agente dei Beni della Corona in Modena per la costruzione di una magnifica specchiera per la Casa Reale in quella città. Mise poi mano alla Pieve della Fossa mirandolese arricchendola di varie opere d’arte, tra cui un maestoso baldacchino e il pulpito finemente intagliati, ma soprattutto il bellissimo frontale dell’urna che racchiude le ossa del martire s. Massimo. La sua opera era ormai richiestissima e fece vari lavori per le chiese di s. Biagio in Padule, Concordia, Vallalta e naturalmente per quelle della Mirandola, compreso il restauro dell’ancona di s. Luigi Gonzaga nel Gesù. C’è da sottolineare che i tanti ordini che provenivano in gran parte dalle chiese erano agevolati dal fatto che Giacinto Paltrinieri non era avido ed i suoi prezzi erano particolarmente contenuti; come si usa dire qui nella bassa “as cuntintava”.

Anche il suo insegnamento nella bottega ottenne grandi risultati e tra tutti gli allievi spiccarono due nomi importanti: Pietro Forghieri che dimostrò una tale abilità da divenire primo intagliatore della Regia Corte Estense, ma che essendo un modenese non ci interessa, mentre Giovanni Besutti fu l’ultimo grande intagliatore mirandolano, cum as dgiva alora. Se sull’abilità manuale del Besutti non si può che tessere lodi, và però detto che mancava totalmente di fantasia e tutte le sue opere furono frutto di disegni del maestro Paltrinieri. Restaurò la magnifica cornice di s. Luigi nella chiesa del Gesù riportandola al suo antico splendore, intagliò baldacchini, candelabri e cornici per le chiese di Moglia, Gonzaga, Staggia e molte altre dei dintorni. Uno degli ultimi suoi lavori fu la cornice per il ritratto di Giovanni Pico.

Oltre a questi artisti di cui la storia ci ha tramandati nomi ed opere, vi sono poi altri artigiani mirandolesi che, pur cadendo nell’anonimato o non riuscendo ad acquisire fama e gloria, hanno contribuito comunque a dare lustro alla nostra città. Gli splendidi stucchi di Pompeo Salari nel Gesù, per esempio, furono ottenuti da stampi in legno costruiti da Giovan Battista Beccarelli, oscuro artigiano che fu artefice, sempre nel Gesù, anche dei confessionali originali incassati nei muri perimetrali e che furono poi sostituiti con altri in stile ottocento. Alla Concordia, nella chiesa di s. Caterina, un altro sconosciuto artigiano mirandolese, forse della scuola del Bonelli,  intagliò il soffitto ligneo. A Carpi, nella chiesa di s. Ignazio, di sicura provenienza mirandolese, fa bella mostra di sé una splendida cornice dorata per il quadro dell’altare maggiore, ed anche nella basilica la cornice dell’altare di s. Bernardino da Siena è mirandolese.

Le mode ed i gusti della gente cambiano col tempo; per comodità e durata nel tempo si cominciò a preferire lo stucco al legno intagliato ed anche gli stili subirono evoluzioni che purtroppo i nostri  valenti intagliatori non riuscirono a seguire. Gli ordini calarono e le botteghe chiusero o subirono ridimensionamenti o si riciclarono in attività meno artistiche e dopo un centinaio d’anni l’arte mirandolese del legno andò perduta. Sigh!

Vanni Chierici

Fonti:  Memorie storiche della città e dell’antico ducato della Mirandola –

              Vol. IV – XIII – XIV – XVI –

             Deputazione di storia patria …. – Alfonso Garuti: Testimonianze         

             sull’artigianato artistico del legno a Mirandola dal XVII al XIX

             secolo.

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