Ricordi natalizi – “Pist”, “Savor”, Messa, Cargatìa tìa tia.

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Mauro

Ci prepariamo per I’inverno.

Contro i battenti, sulle finestre, vengono messi “i salsicciotti” gonfi di lana, per ripararsi dai venti freddi.

Tempo di novene: prima, quella dell’Immacolata, poi quella di Natale. Mi prendono le smanie delle feste, e anche la preoccupazione per la pagella scolastica. Frettolose pulizie in casa: non è stagione di andare a fondo.

Comincia la preparazione dei pani di Natale, e del pesto per i tortelli dolci; poi viene fatta la spartizione fra tutti.

Serata dei tortellini: giù le mani dal “pist”, ché se mia madre non sta attenta, finisce prima di cominciare a riempire i riquadri della sfoglia. Odore di bensone, con o senza “savor”.

La nonna prepara la “brusca”; è un liquore fortissimo, una miscela di grappa, rum, ed altro ancora, da offrire con il pane di Natale ai parenti e ai vari ospiti in visita augurale la mattina del 25 dicembre.

Natale. Messa dell’aurora. Per i regali bisogna aspettare fino alla Befana. La pentola del brodo sulla stufa.

Col dito disegno gli auguri sul vapore dei vetri. Cargatìa tìa tìa. Santo Stefano. Presto, dai nonni a legare i frutti, cioè ad annodare cordicelle attorno alle future gemme, per propiziare un raccolto buono. Il pomeriggio giochiamo a tombola, e nelle pause mangiamo le castagne bollite.

Norma

Una fetta di pane di Natale, un tortello al forno e un bicchierino di liquore Sassolino era il menu della prima colazione della Vigilia; poi per tutto il giorno non si mangiava più niente altro.

La mattina di Santo Stefano arrivavano i bambini con un bastoncino in mano. Prima di entrare in casa passavano nell’orto, e lì picchiavano piano sugli alberi da frutta. Era di buon augurio, così le gemme sarebbero nate in gran numero e la frutta sarebbe stata abbondante. Poi, recitando questa filastrocca, venivano davanti alla porta a chiedere cose da mangiare:

Cargatìa tìa tìa ,

Carga ben Sent Stivan

E di pir e di pom

Tuta la roba ca gh’è in’d stal mond

E dal fèn pr’al cavalen

E la gianda pr’al ninen

E dal gren in dal granar

C’an g’n ‘in possa mai mancar.

Perlopiù ricevevano mele, arance, mandarini e frutta secca. Si poteva ben offrire, visto che il raccolto sarebbe stato buono grazie a quella picchiatina sui rami.

 

 Cargatìa tìa tìa / carica bene Santo Stefano / e delle pere e delle mele / tutta la roba che c’è in questo mondo / e del fieno per il cavallino / e della ghianda per il maialino / e del grano nel granaio / che non ce ne possa mai mancare.

Ancora negli anni Settanta gruppetti di ragazzini mantenevano viva questa tradizione, non tanto per raccogliere cibo, quanto per il piacere di ricevere un po’ di soldi, in giocosa competizione con gli amici. Diversamente dalla raccolta di Capodanno, che si fa tuttora, seppure limitatamente a poche zone del paese, e per opera di pochi bam­bini, o anche in forma privata come gioco augurale da parte di giovani adulti, nella tradizione locale la raccolta di Santo Stefano è andata perduta. E lungo gli anni sono stati dimenticati in buona parte i versi della filastrocca, come si può constatare in questa versione, ridotta e modificata, riferita dagli ultimi protagonisti della “Cargatìa”: “Cargatìa tìa tìa / Carga al de ad Sant Stìan / Carga ben carga mal / C’an g’n’in possa mai mancar”.

Tratto da Il setaccio della memoria

Autore: Chiara Fattori

A cura del Comune di Cavezzo – Banca Popolare dell’Emilia Romagna

Anno 2000

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