Picùn, daghe cianin (Piccone, batti più piano) 25/9/2013

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demolizione condominio marconi mirandola 14

Stanno demolendo un palazzo, a Mirandola. La gente sosta lungo il viale, qualcuno fotografa, alcuni commentano, altri non interrompono il jogging; magari faranno una sosta il prossimo giro. E’ il paradiso degli “umarells”, che possono commentare per ore la tecnologia impiegata confrontandola con quella dei loro tempi, trovare da ridire su come l’operatore muove il braccio meccanico, o semplicemente enumerare quelli che furono gli inquilini del palazzo, al fiòl ad còs, l’anvoda ad la còsa.

La badante ha piazzato l’anziana in carrozzina in modo da avere una buona visuale, e ambedue si passano il tempo. Tra loro e la facciata deturpata, solo l’asfalto della circonvallazione. Un operaio con l’elmetto giallo dirige un getto d’acqua verso l’area di lavoro della pinza meccanica, cosicché nell’aria c’è meno polvere e si vede anche meglio. Lo spettacolo ha un suo fascino sinistro e potente, che stride col clima dolce di un tardo pomeriggio di settembre dal cielo azzurro e dai toni che si fanno più caldi man mano che il sole scende. Un fascino che ha a che fare con la distruzione, in questo caso lenta e sistematica, e con la profanazione, l’esibizione pubblica di quanto ognuno di noi ha di più caro, se escludiamo le persone: la casa, i ricordi, le nostre cose, la nostra vita. Davanti agli occhi degli astanti c’è un vero e proprio spaccato di vita familiare, lo svelamento dell’intimità, in questo caso moltiplicato per il numero degli appartamenti, svuotati ma non completamente: rimangono finestre, tapparelle, tende, qualche sparuto mobiletto, qualche lampadario. I colori delle varie stanze, per la prima volta e per poco ancora, si trovano accostati come in una scacchiera, si distinguono le piastrelle di bagni e cucine, rubinetti, interruttori. E dovunque cavi elettrici come nervi, tondini di ferro come tendini, tubi come arterie, che l’enorme pinza di ferro strappa e trancia. Ognuno si figura la vita che si svolgeva in quelle stanze, che non era poi diversa da quella che trascorreva e trascorre nelle proprie. E mi viene in mente ancora una volta lo struggente episodio di “Allegro non troppo”, quello del gatto nelle stanze di una casa che sta per essere demolita, così simile a quella che tutti stanno guardando adesso: il micio torna con la mente al calore, alla vita di quelle stanze quando erano ancora abitate, quando la sua vita era facile e piacevole, in terribile contrasto col buio freddo e vuoto del presente. E, insieme, penso ad una canzone che i genovesi ben conoscono, e che mia madre mi raccontava da piccolo: si può tradurre come “Piccone, batti più piano”, e racconta di un episodio simile a questo anche se di tanti anni fa, in cui il protagonista raccomanda almeno un po’ di delicatezza nel distruggere i ricordi della propria infanzia. Anch’io sono lì a fotografare, a filmare, anch’io mi son cercato la posizione migliore, anch’io sarò oggetto dei commenti di chi passa e non si ferma, e giudica morbosa questa platea di guardoni. Ma molti non si fermano perché non possono, e volentieri parcheggerebbero lì vicino per potersi unire alla platea, magari senza mostrare eccessivo interesse o scuotendo la testa. Alcuni rischiano di andar nel fosso o di investire qualcuno, perché appena svoltata la curva detta “di Artoni”, o “di Montorsi”, si trovano intorno capannelli di gente col naso in su, e poi lo spettacolo del palazzo scorticato, e la distrazione è in agguato anche per i più prudenti. E chissà se tra chi segue questa distruzione chirurgica c’è anche qualcuno che in quella casa ci ha abitato, magari ci è nato, e resiste al tormento di veder rosicchiati pezzo per pezzo i ricordi di una vita. Ho fatto le mie foto, me ne vado. Quel che non vi ho detto finora è che alle mie spalle, di fronte a quel palazzo che a quanto ricordo è stato sempre lì, c’è la mia casa natale, il giardino, il cortile, la fabbrica di biscotti, l’intero mondo della mia infanzia. Tutto incolto, fatiscente, in rovina. E so bene che prima o poi un altro pubblico seguirà con curiosità le manovre di un altro braccio meccanico, e parlerà della mia famiglia, della fabbrica, e forse anche di me. Ma io quel giorno non sarò lì.

Maurizio Goldoni

La foto ed il racconto si riferiscono alla demolizione del Condominio Marconi irrimediabilmente danneggiato dal terremoto

One Response to Picùn, daghe cianin (Piccone, batti più piano) 25/9/2013

  1. Maurella says:

    In questi giorni anche il mio cuore è straziato perché stanno demolendo anche casa mia dove ho vissuto per molti anni e dove ho tutti i miei ricordi più intimi!! Devo però fare finta di niente per non rattristare chi mi sta vicino e allora quando una lacrima scende cerco di non farmi vedere e l’asciugo velocemente, e lascio che il mio cuore pianga per me!!

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