M°Giuseppe Morselli (giornalista) – “Al Barnardon”vecchio lunario mirandolese

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Da sx: Leonardo Artioli, Vilmo Cappi ,Alberto Morselli, Giuseppe Morselli, Franco Bozzoli

Morselli

M°. Giuseppe Morselli

(Giornalista)

“AL BARNARDON” VECCHIO LUNARIO MIRANDOLESE

Io credo di essere stato uno dei peggiori studenti del Liceo Ginnasio statale “Giovanni Pico” di Mirandola, che, quando vi entrai, nel lontano 1946, aveva appena finito di chiamarsi regio, e di non avere certamente contribuito all’elevazione del suo prestigio di scuola molto seria. A parte i puntuali “sette in condotta” che nel primo trimestre rallegravano le pagelle mie, di Sauro Pederzoli e di Gabriele Veratti, erano ben poche le materie scolastiche che mi vedevano emergere, o quanto meno galleggiare.

In matematica e fisica ero una nullità completa, in filosofia un’antica ruggine con Platone, Aristotele e Kant affiorava ad ogni momento, compromettendo, anzi deteriorando, i rapporti fra me e questi grandi pensato­ri.

In latino e greco il bisticcio era perenne, una sorta di conflittualità permanente che neppure la puntuale mediazione del prof. Nadir Festanti riusciva ad evitare. Con la scusa che erano lingue morte, io consideravo il latino e il greco come reperti catacombali, specie il greco che usava addirittura un alfabeto diverso dal nostro.

Dove le cose cominciavano ad andare un po’ meglio era in storia. Non dico certo che il ricordo dei grandi del passato, come sosteneva Machiavel­li, fosse per me uno stimolo, ma insomma si tirava avanti. In storia dell’arte ero quasi bravino: un anno con la prof. Enrichetta Cecchi mi aveva indotto ad una sorta di amore per le sculture greche. La Venere di Milo e la Franca Tesi furono i miei primi amori ma non lo confessai mai a nessuna delle due. 0 meglio non trovai mai il coraggio di dirglielo.

Ed eccoci finalmente all’italiano. Qualche insegnante, come la prof. Lusvardi, mi considerava bravo, anzi piuttosto bravo, qualche altro docente, come il prof. Mario Cincinnati, mi giudicava a livello semianalfabetico, forse per quella mia abitudine di parlare in dialetto, gergo che a lui, toscano, suonava un po’ come la lingua dei lapponi.

E tutta questa storia, questa kafkiana autobiografia per dire che io amo ancora il dialetto e, addirittura, cerco anche di scriverlo. A casa mia si parlava solo in dialetto, era la lingua ufficiale di casa Morselli e, ancora oggi, nonostante qualche libro scritto in lingua italiana (reato in cui sono anche recidivo), io penso in dialetto. L’esame di coscienza serale è pensato tutto in vernacolo, i buoni propositi (peraltro quasi mai realizzati nella pratica corrente) sono tutti ipotizzati nella mia lingua madre.

Addirittura siamo arrivati al punto che qualche persona dotata di buona volontà e di larga comprensione mi ha affidato il compito di scrivere il “dascors general” di un vecchio lunario mirandolese, noto al colto e all’inclita con il nome di “Barnardon”. E tutto questo nonostante che io sia originario di Cavezzo, il paese dello scialle, e che il mio vernacolo non sia proprio purissimo, visto dalla parte dei mirandolesi.

Come il paziente lettore può ben comprendere, ho fatto un lungo giro vizioso per giungere ad affrontare il tema che mi è stato affidato dal prof. Francesco Silvestri, il preside del “Pico’’ che ha avuto l’ottima idea di realizzare un libro sulla “nostra” scuola.

Il tema, appunto, è quello del Barnardon .

Tanto per cominciare diciamo subito cos’è “Al Barnardon .

E’ un vecchio lunario di Mirandola, stampato “in folio”, che conta ormai più di un secolo di vita e che, soprattutto, è scritto interamente in dialetto mirandolese.

Qualcuno ha detto che questo lunario, che nella sua testata promette di fornire “l’indicazion dil festi, dil sagri e dil feri dal Mirandules e dintoran”, è un piccolo “albero degli zoccoli” della cultura mirandolese, una residua testimonianza della vita agreste e contadina della Bassa modenese.

Il lunario, come tutti sanno, veniva puntualmente affisso alle porte delle stalle o delle cantine. Serviva anche, tramite l’indicazione dei cam­biamenti di luna, per le semine e per l’imbottigliamento del vino.

Tanto è vero che si ricorda un episodio assai curioso: un anno, per colpa di un banale errore di stampa, l’indicazione della luna di marzo venne stampata in modo sbagliato e un agricoltore pretese di citare in giudizio i responsabili del lunario chiedendo il risarcimento del danno per il vino andato a male. Cose che capitano.

Per quanto riguarda il dialetto, è chiaro che il linguaggio si è evoluto nel corso degli anni. Forse il vernacolo attuale è un po diverso da quello di cent’anni fa. La stessa impostazione del periodo è variata, tuttavia il “Barnardon” è sempre quello, immutabile, fedele ad una tradizione che, pur­troppo, va scomparendo.

Interessante è pure conoscere l’origine del nome del lunario. Bisogna risalire al secolo scorso, quando la vita culturale, si fa per dire, di Mirandola era caratterizzata dalla presenza di uno strano personaggio.

Si trattava di Antonio Bernardi, nato alla Mirandola l’8 maggio 1795 e morto a Modena il 14 maggio 1859, all’età di 64 anni. Costui era un astronomo, molto bizzarro anche nel carattere, autore di varie pubblicazioni ritenute piuttosto contro corrente. Sosteneva infatti, a differenza di Co­pernico e qualcun altro, che la terra era ferma e il sole girava.

Questa sua teoria, unita ad un carattere per lo meno stravagante, era spesso oggetto di dileggio da parte di molti mirandolesi che, tenuto anche conto della cospicua mole del Bernardi, lo chiamavano appunto “Al Barnardon”. Quando Antonio Bernardi morì, professando ancora una volta la sua fede legalitaria nei confronti del Duca Francesco V d’Austria-Este, il suo ricordo a Mirandola non si spense.

Nell’autunno 1878 un gruppo di giovani studenti mirandolesi (i cui nomi purtroppo non si conoscono) decise di stampare un lunario scritto tutto in dialetto, forse per contrapporlo al più austero e aulico lunario detto il “Mirandolano” che era scritto in lingua italiana. Sta di fatto che il “Mirandolano” vivrà ancora per breve tempo, mentre il più popolare “Barnardon” è giunto fino a noi. E “Barnardon” fu il nome del lunario.

Era stampato presso la tipografia Cagarelli, poi, intorno al 1910, l’inca­rico passa alla tipografia Candido Grilli. Nella stampa del lunario si succe­dono poi i fratelli Malavasi, Riccardo Piccinini, mentre dal 1962 ad oggi è la tipografia di Franco Bozzoli a curare la pubblicazione del glorioso foglio mirandolese.

Chi sono stati e chi sono gli autori del “Barnardon”? Dopo il periodo dei giovani anonimi della fine ‘860, fu un certo maestro Testi a prendersi cura del lunario, poi lo stesso tipografo Gaetano Cagarelli, poi di seguito Candido Grilli con la nuora Chiara Pellacani, dal 1929 al 1961 il redattore fu il cav. Giuseppe Baraldi, detto anche ”Pipen dal gess”, dal 1962 fino al 1970 fu compito dell’avv. Luigi Bocchi, e dal 1971 fino al 1975 si assunsero l’incari­co Leonardo Artioli e il figlio Paolo. Infine dal 1976 fino ad oggi, il compito è stato affidato, senza molti meriti, alle cure di chi ha presunzione di scrivere queste note . Forse sono il primo mirandolese non nato a Mirandola ad occuparsi della stesura di questo “dascors general”e devo confessare che la cosa mi procura un pizzico di orgoglio. Ogni tanto anche un giornalista può essere sincero.

Vale la pena aggiungere che nel 1978, alla vigilia del primo centenario del lunario, un gruppo di facinorosi, innamorati del Barnardon e del dialet­to mirandolese, diede vita ad una sorta di società segreta, detta appunto“L’ordan dal Barnardon”.

Furono, gli sprovveduti, Leonardo Artioli e Franco Bozzoli, attuali proprietari della testata, ai quali si unirono il dott. Vilmo Cappi, ormai nume tutelare della cultura mirandolese, e un suo degno compare, il giornalista Giuseppe Morselli. I quattro diedero vita ad un Consiglio Grande e Generale, composto da loro stessi, e ogni anno attribuiscono il collare dell’Ordine a personalità di rilievo. Basterà citare i nomi di don Zeno Saltini, di Piero Gigli, di Francesco Scarlini e di Lino Smerieri, per avere l’idea che il premio è valido.

L’organismo è quanto di meno democratico si conosca, comunque, ogni anno, a rotazione ciascuno di essi diventa Gran Maestro dell’Ordine e comanda lui. Questa setta segreta ha anche pubblicato un libro dal titolo “Nona i me car mirandules” che uscì in occasione del centenario del lunario. Il titolo riproduce le prime parole del discorso generale e per i curiosi dirò che il vocabolo “nona” significa più o meno ciao.

Detto della storia, resta da aggiungere qualcosa su questo lunario, sui suoi contenuti, come si dice adesso. Io credo che il “Barnardon” sia molto semplicemente il riflesso della nostra cultura popolare, fatta di saggezza antica, di buon senso pratico, il tutto condito da un pizzico di sano umorismo. E’ il carattere dei mirandolesi. Il lunario, questo è certo, non sbaglia mai. Infatti afferma che in inverno farà freddo, mentre in estate è molto probabile che farà caldo. Non solo, ma aggiunge anche che in primavera non mancheranno giornate di pioggia, mentre in autunno tutto fa pensare che ci saranno giornate di nebbia. Nell’edizione del 1983, addirittura si affaccia l’ipotesi che i meloni saranno gialli e le angurie rosse.

Ma al di là della banalità, è certo che questo lunario, che negli ultimi anni ha avuto un rilancio di vendite e dì consensi che ha del miracoloso, rappresenta noi mirandolesi, con i nostri pregi e i nostri difetti, con la nostra indolenza e il nostro indugiare sul frivolo e sul pettegolezzo. Ma è anche un piccolo monumento di saggezza, altrimenti, forse, non sarebbe riuscito a superare lo scoglio del secolo, impresa che a ben poche pubblicazioni del genere è riuscita.

Cosa dire ancora del lunario? Ci sarebbe da scrivere un libro. Ma è già stato fatto.

Tratto da:

Sessant’anni di Vita del Liceo-Ginnasio “Giovanni Pico” – Mirandola 1923-1983

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One Response to M°Giuseppe Morselli (giornalista) – “Al Barnardon”vecchio lunario mirandolese

  1. Jole Ribaldi says:

    Complimenti vivissimi! Avrei voluto che continuasse a parlare del suo percorso scolastico, per scoprire come e quando si accese in lei il fuoco del desiderio di sapere. Capisco comunque che lo scopo era parlare del dascors general e non avrebbe potuto dilungarsi sull’argomento che mi ha incuriosito.
    La ringrazio molto. La lettura è stata molto piacevole.
    Io sono nativa di San Possidonio, ma mio fratello e mia nipote abitano a Mirandola.
    Adoro i dialetti e mi piace siano parlati correttamente, come correttamente si dovrebbe parlare in italiano.

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