Marmellata di barbabietole e mele Campanine – 1946/1947

Commenti (0) Ricette della Bassa

barbabietola-zucchero-chenopodiacea-amarantacea-fittone-pianta-bystevanovicigor-istockphoto-750x500

Testimonianza di Maria Traldi di San Martino Spino.

Nelle nostre campagne la barbabietola coltivata era quella da zucchero.

Sulla bontà di questa marmellata non ci sono riscontri ma l’epoca ne giustifica i componenti e le nostre “razdore”sicuramente ne garantivano la bontà.

Marmellata di barbabietole e mele Campanine

Oggi si fa la marmellata con una bustina, in cinque o dieci minuti. Ai nostri tempi era diverso, si usava quello che la campagna ci offriva.

Dietro alla nostra casa avevamo un pezzo di terra che si coltivava a frumento e granoturco, da una parte vi era un bel vigneto.

Verso il cimitero però il terreno era diviso da filari di piante di mele che ad ottobre si vendevano (specialmente le più belle).

La maestra Emma Cerchi era cliente fissa, ne prendeva tante, per tutto l’inverno.

Le chiamavamo le mele Campanine. Si raccoglievano rosse, ma col tempo si colorivano di giallo. Quando si mettevano a cuocere nel forno della stufa diventavano un po’ grinzose, ma bastava togliere quella sottile pellicina e si poteva mangiare tutto.

A casa rimanevano quelle meno belle, ma ugualmente sane. Si mettevano in soffitta e si mangiavano per tutto l’inverno.

Finiva l’invemo e restavano delle mele che era un peccato buttare, così le aggiungevamo alle barbabietole da zucchero per ricavarne la marmellata.

Per prima cosa bisognava preparare gli attrezzi: si fissavano ai lati di due pezzi di legno più alti del mastello delle grosse grattugie ricavate da pezzi di lamiere bucherellate con grossi chiodi.

Le barbabietole dovevano essere lunghe e non tanto grosse per poterle tenere tra le mani con facilità.

Venivano lavate con delle spazzole dure per togliere la terra e quelle pulite si tenevano a portata di mano perché finita una se ne prendeva un’altra, e così via.

Noi donne, curve su quei mastelli a grattugiare, che fatica! Si doveva mettere tutta la forza che si aveva. Finito di grattugiare, si riempivano dei sacchetti di tela che si passavano sotto al torchio.

Stringendo questi sacchi ne usciva un succo nero, e così via fino all’ultima barbabietola.

La mamma metteva tutto in un grosso paiuolo di rame che veniva appeso alla catena del camino.

Si accendeva il fuoco alle tre del mattino. La cottura era molto lunga, poi man mano che il succo diminuiva si versavano le mele preparate in precedenza, mescolando sempre con un grosso bastone di legno in modo che il composto non si attaccasse al fondo del paiuolo.

Il fuoco era basso perché la cottura doveva essere dolce.

A fine cottura la marmellata si versava in vasi di coccio alti e stretti, che si infornavano non appena si sfornava il pane. Con il calore che c’era nel forno la marmellata faceva una crosta che la proteggeva dalla muffa.

Questa marmellata la si usava per fare le ciambelle, le crostate, e la si mangiava anche da colazione con il pane.

Maria Traldi

Tratto da: Quaderni di San Martino

Anno : 2008

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *