Le nostre Frazioni – Cividale – Quarantoli – Gavello – San Martino Spino – San Giacomo Roncole

Commenti (0) Racconti

Le frazioni di Mirandola – Cividale, Quarantoli,Gavello, San Martino Spino, San Giacomo Roncole.

Uscendo dalla piazza  di Mirandola in direzione nord, si imbocca l’ampio e alberato via­le Martiri dove il 22 febbraio 1945, furono trucidati dai nazifascisti 5 va­lorosi partigiani: Cesare Degani, Aristide Ricci, Remo Ricci, Giorgio Rug- geri e Darfo Dallai. Si prosegue verso l’antico ex mulino della Rotonda e si imbocca viale Gramsci.

Dopo due chilometri si incontra sulla destra la chiesa parrocchiale di Cividale, dedicata a San Michele Arcangelo. Probabilmente sia la chiesa che l’intero paese di Cividale hanno origine longobarda: la parola Civida­le deriva da “Civitas”, unità amministrativa longobarda e lo stesso San Michele era il protettore di questo popolo barbaro che invase l’Italia nel 568 e fu il primo a rimanere stabilmente nel nostro paese. La prima noti­zia di questa chiesa si ha nel 1173, fu poi rifatta intorno al 1500 e di nuovo ricostruita nelle attuali forme nel 1710. La facciata è caratterizza­ta da un porticato a tre luci che si innalza come un pronao davanti alla porta centrale. Di maggiore interesse architettonico è l’abside. La chiesa è l’unico santuario del mirandolese perchè accoglie nel suo interno la Beata Vergine del Borghetto che un tempo era nel quadrivio del Borghetto, ritenuta miracolosa. Fu trasferita nella chiesa nel 1736.

Chiesa parrocchiale si San Michele Arcangelo.

Chiesa parrocchiale si San Michele Arcangelo.

Visitata la chiesa di Cividale, si percorre via Punta per giungere a Quarantoli.

Poco prima dell’ingresso del paese va notata la cosiddetta casa Ferra­resi, un palazzo ottocentesco, caratterizzato da un duplice porticato a tre luci sulla facciata, di discreta eleganza.

Casa Ferraresi

Casa Ferraresi

Quarantoli, probabilmente il più antico nucleo abitato della bassa modenese, vanta l’unica chiesa romanica di tutto il territorio. La prima noti­zia che si ha della pieve di Quarantoli, dedicata alla devozione di Santa Maria della Neve, risale all’anno 1044, in cui è già nominata con il titolo di Pieve. Si presenta con alcune parti originali risalenti al secolo XII o ri­condotte all’aspetto originale, con parti di epoca barocca e con altre par­ti di stile ibrido. Ma il tempio esisteva certamente prima del Mille.

La facciata, piuttosto brutta, è in stile barocco e risale al 1670. L’in­terno è a tre navate e si presenta al visitatore con effetti di grande sug­gestione per il gioco di luci che filtra dalle strette finestre.

Il monumento di maggiore interesse è certamente il pulpito, che pre­senta le figure simboliche dei quattro Evangelisti e una bellissima Croce bizantina.

Le sculture del pulpito sono certamente da attribuire al XII secolo e opera di artisti della cerchia di Willigelmo, l’affascinante scultore del Duomo di Modena. Di grande interesse e di mirabile effetto suggestivo è anche la cripta, seppure essa contenga motivi di stile diverso.

La Pieve di S. Maria della Neve accoglie inoltre altre apprezzabili opere d’arte e certamente il tempio merita una visita apposita. Alcuni docu­menti testimoniano che la chiesa di Quarantoli fu riedificata nell’anno 1114 per ordine di Matilde di Canossa e che per altri tre secoli fu il tem­pio di maggiore importanza anche per la Signoria dei Pico, almeno fino alla riedificazione della chiesa di San Francesco.

Pieve di Quarantoli - Ora danneggiata dal sisma del 2012

Pieve di Quarantoli – Ora danneggiata dal sisma del 2012

All’uscita di Quarantoli, poche decine di metri prima del passaggio a li­vello sulla ferrovia Bologna-Verona, è possibile notare un Crocefisso accolto in una nicchia di una casa. Questo “Cristo” opera in terracotta co­lorata, ha circa due secoli e dà il nome alla località.

Il caratteristico "Cristo" di Quarantoli

Il caratteristico “Cristo” di Quarantoli

Superata la ferrovia ci si inoltra nella cosiddetta “valle mirandolese”, un vastissimo riquadro di terreno di natura argillosa, praticamente spo­glio di alberi ma non privo di una sua suggestione. Fino a non molti anni fa la zona era piuttosto desolata e inospitale ma negli ultimi tempi la col­tura intensiva delle ortive ha letteralmente trasformato questa zona ren­dendola particolarmente produttiva.

La strada, abbastanza tortuosa, segue il rialzo del cosiddetto Dosso di Gavello. Probabilmente era l’arginatura provvisoria di qualche corso d’acqua e certamente questo rialzo è stato abitato anche in epoca roma­na. Numerosi reperti, soprattutto “mattoni manubriati” testimoniano la presenza in questa zona di insediamenti romani risalenti al tardo Impero.

Dopo alcuni chilometri si giunge a Gavello il cui monumento più importante è la chiesa parrocchiale.

Anche Gavello ha una sua lunga storia, più che millenaria. A parte gli insediamenti dell’età del bronzo, particolarmente importanti nella vicina località della Tesa (più esattamente nel fondo Roma, situato a circa due chilometri dal paese) e a parte i modesti insediamenti di età romana, si presume che in questa località esistesse già un castello ai tempi del re longobardo Rachis, nella prima metà dell’ottavo secolo. In seguito Gavello viene a far parte della diocesi di Reggio, poi affidato dai canonici reggiani, intorno al 1200, alla famiglia Bozoli. Dal 1300 circa segue le vi­cende storiche di Mirandola.

Maggior edificio storico di Gavello è la chiesa parrocchiale, dedicata a San Biagio, protettore, secondo la tradizione popolare, della gola.

Il tempio è stato ricostruito nel 1928 sulle rovine di una chiesa precedente, esistente fin dal ‘400. La facciata è in stile neogotico, l’interno a tre navate. Di rilievo il fonte battesimale, in marmo, del 1669, un bel Crocefisso in cartapesta e la statua della Madonna del Popolo, di recente costruzione, ma oggetto di notevole devozione.

Lasciata Gavello, si prosegue sulla strada principale delle Valli, che se­gue il sinuoso percorso del Dosso. Il paesaggio è quello consueto, prati­camente privo di alberi, oggi ricco di vastissime colture di ortive.

Vale la pena ricordare quanto affermano Pellegrini e Gasperi, i quali sostengono che il Dosso di Gavello rappresenta un antico alveo del fiu­me Secchia (a noi sembra piuttosto l’argine) che all’altezza di Concordia piegava verso Est, attivo fino a tutto il XII secolo dopo Cristo.

Si arriva in località “Tre Gobbi”, sede di una antica trattoria con lo­canda, poi in località la Baia, che assieme a Portovecchio, testimonia che un tempo qui vi era un grande meandro del corso del fiume Po.

San Martino Spino, il cui nome deriva da “Spinum”, cioè bosco sel­vaggio, sterpeto, fu antico possesso dell’abbazia di Nonantola, poi dei Vescovi di Reggio. Alla fine del secolo XII i reggiani dotano il paese di un forte castello, trattandosi di terra di confine con il Ferrarese e il Manto­vano. Infine nel 1353, San Martino Spino entra in possesso di Paolo Pico, signore di Mirandola. Da ricordare che nel 1749, il paese di S. Marti­no Spino, fu infeudato dal Duca di Modena alla famiglia dei Menafoglio, con il titolo e il grado di “Marchesato e feudo nobile di primo grado insi­gne”. Paolo Antonio Menafoglio, che entrò in possesso del Marchesato nel 1750 ad opera del Duca di Modena Francesco III, tenne per sè e per i suoi successori questo titolo fino al 1797, quando un editto della repub­blica Cisalpina abolì tutti i titoli e i feudi del Ducato modenese. Monu­mento più importante del paese è la chiesa parrocchiale dedicata a S. Martino da Tours.

L’attuale struttura risale al 1 636 e fu benedetta nel 1 647. Fu edificata sui resti di un precedente tempio, di cui si sa che fu consacrato nel 1572 dal Vescovo di Comacchio, ma certamente la località di Spino, aveva un tempio intorno al Mille. Se ne ha una prima notizia nell’anno 980. La fac­ciata della chiesa è in stile classicheggiante, all’interno sono di buon va­lore una statua della Madonna (secolo XVIII) e un dipinto raffigurante San Sebastiano, che viene attribuito alla scuola del Guercino. La chiesa conserva anche le ossa di San Clemente, invocato dalla gente come pro­tettore dei giovani e degli agricoltori. Le reliquie sono esposte ogni anno dal 25 aprile al 1 maggio. L’elegante campanile risale al 1677.

Di rilievo anche, nei pressi di San Martino, il Palazzo di Porto Vecchio, dal 1883 sede del Centro di allevamento e deposito quadrupedi dell’Esercito italiano ed ora Centro Logistico Militare.

Palazzo di Porto Vecchio

Palazzo di Porto Vecchio

Altro edificio interessante il cosiddetto “Palazzo Pico” ora Palazzo Tioli, donato dai Pico alla famiglia Tioli a titolo di “buonuscita”. L’edifi­cio risale alla fine del ‘600 e per vari anni fu sede di campagna della fa­miglia dei Signori di Mirandola.

Nelle campagne intorno a San Martino Spino, suscitano un notevole interesse alcune tipiche costruzioni della zona, i cosiddetti “Barchessoni”. Il meglio conservato è il “Barchessone Vecchio”: si tratta di un an­tico ricovero per gli animali (cavalli e muli) del Centro allevamento qua­drupedi dell’Esercito.

Barchessone Vecchio

Barchessone Vecchio

L’immagine attuale di San Martino Spino è ben diversa da quella degli anni precedenti la seconda guerra mondiale. Oggi l’estrema frazione del comune di Mirandola si presenta come un centro assai attivo. Da San Martino Spino e anche da Gavello partono ogni anno centinaia di tonnellate di cocomeri, meloni, pomodori e altre ortive, diretti ai mercati del nord Italia e di tutta l’Europa occidentale.

Partendo ancora una volta da Mirandola in direzione di Modena sulla statale N. 12 dell’Abetone e del Brennero, a circa un chilometro dalla città, sulla sinistra, si incontra il piccolo oratorio di San Pietro, del ‘600, sulla cui facciata sono murate due palle di cannone usate dalle truppe francesi nel furioso cannoneggiamento di Mirandola del luglio 1735.

Poco dopo si arriva a S. Giacomo Roncole. Prima dell’ingresso del paese si nota sulla destra la casa natale dell’eroe garibaldino Francesco Montana­ri.

San Giacomo Roncole, o più semplicemente Le Roncole, è un villaggio molto antico.

La prima chiesa, che a quei tempi era indice di un concreto insediamento civile, risale al 1277, restaurata e ampliata nel 1763 e ancora nel 1794. Il campanile fu rifatto nelle attuali forme baroccheggianti dal 1771 al 1774, utilizzando i mattoni dell’abbattuto convento dei Carmelitani di S. Maria delle Grazie della Galeazza.

Il paese è stato dominio dei Pico fino al 1710. Nel 1767 fu eretto in Marchesato e affidato in feudo dal Duca di Modena Francesco III al Marchese Giuseppe Francesco Paolucci, la cui famiglia lo tenne fino al 1797.

La chiesa parrocchiale, che nei primi tempi era dedicata solo a San Giacomo, è dedicata dal 1470 ai santi Filippo e Giacomo. La facciata è di so­brio stile neoclassico, mentre all’interno si trovano alcuni discreti quadri dell’Ottocento.

Chiesa parrocchiale di San Giacomo Roncole

Chiesa parrocchiale di San Giacomo Roncole

Di fronte alla chiesa sorge un importante edificio, detto il Casinone, eret­to negli anni ’30 da quel grande sacerdote che fu don Zeno Saltini, che proprio qui, creando la comunità dei Piccoli Apostoli, diede inizio alla sua splendida utopia di Nomadelfia.

Il "Casinone" di San Giacomo Roncole

Il “Casinone” di San Giacomo Roncole

A breve distanza, un luogo sacro alla memoria della lotta di Resistenza.

Tra la chiesa e l’osteria Ganzerli, sulla statale, nel settembre del 1944 fu­rono trucidati da nazifascisti sei giovani partigiani: Nives Barbieri, Adriano Barbieri, Luciano Minelli, Giuseppe Campagna, Enea Zanoli e Alfeo Martini.

Giuseppe Morselli

Tratto da: Guida storica e turistica della Bassa Modenese

A cura di Giuseppe Morselli

Anno 1982

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *