La Bici degli Antichi Mestieri di Giorgio Meschiari – La bicicletta del pollivendolo (Al pularol) – Cap.IV°

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Giorgio Meschiari

Giorgio Meschiari

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La bicicletta del pollivendolo (Al pularol)

Di Maurizio Bonzagni

Concordia in Fiore 2022

Concordia in Fiore 2022

Particolari

Particolari

Questa è una bici particolare. E’ stata la prima delle biciclette di Giorgio, quella che l’ha spinto a collezionare le bici degli antichi mestieri. Perché suo padre era un pollivendolo. Come altri nel dopoguerra si era inventato un lavoro, commerciava polli e conigli con il solo aiuto di una bicicletta, in tempi in cui solo così polli e conigli arrivavano ai mercati dalle campagne.

Non era l’unico, molti altri come lui portavano i polli ai mercati ma cercavano di non farsi troppa concorrenza muovendosi su campagne diverse. Il padre di Giorgio arrivava nella valle fino a San Martino Spino per poi vendere nei mercati di Mirandola e Carpi. Dai Terzi di San Giovanni di Concordia tutti i giorni, in bicicletta.

Giorgio con al stadirin di suo padre

Giorgio con al stadirin di suo padre

Così un giorno Giorgio decise di ricreare la bici di suo padre ed iniziò a cercarne una somigliante nei mercatini di antiquariato ma fu un amico, ammalato dello stesso male di collezionare antichi oggetti, che gli disse che ne possedeva una simile che poteva dargli.

Quando Giorgio vide la bicicletta fu un colpo al cuore, la bici era di provenienza certa dalla zona di Concordia, senza marchio di fabbrica, fatta completamente a mano da un artigiano come quella del padre, stessa forma, stessi portapacchi, sella e manubrio che ricordava. Poteva veramente essere quella di suo padre ma non poteva esserne certo,  anche se fosse stata realmente di un pollivendolo solo a Concordia erano almeno quattro, la somiglianza era però molto forte e tanta l’emozione.

Quando i figli di un collega di suo padre, Guido, seppero della sua intenzione di realizzare una bicicletta  come quella dei loro padri furono felici di donargli le ceste che avevano conservato per tanti anni in solaio. Le ceste del padre, che avevano realmente vissuto quel mestiere.

Con quelle ceste e la piccola stadera che ancora Giorgio conservava, al stadirin, la bicicletta del pollivendolo era davvero completa, come la ricordava.

La cesta legata sul portapacchi posteriore è una gabbia in cui venivano stipati  separatamente su due piani i conigli e le galline fino ai mercati, belli fiss. Quelli invenduti  venivano “puliti” e preparati così per i negozi, a farlo c’erano intere famiglie che con quello ci ricavavano da vivere. La cesta anteriore era invece per le uova, con la paglia per evitare di farne delle frittate pedalando per gli sconnessi caradòñ. Un secondo piccolo cestino di metallo appeso al manubrio serviva quando ci si recava nelle case contadine come primo pratico contenitore delle uova, per poi trasferirle nella cesta tornati alla bicicletta, era lo stesso cestino che si utilizzava anche per lavare l’insalata, chiudendo le anelle superiori e facendolo scuotere velocemente  per eliminare l’acqua.

C’è un bastone legato alla gabbia, quel bastone serviva per pesare i polli e i conigli. il pollivendolo comprava a peso e vendeva a peso. Si metteva l’animale in un sacco, il compratore e il venditore si mettevano uno di fronte all’altro con il bastone appoggiato su una spalla di ciascuno dei due, si appendeva il sacco al gancio della stadera e questa al bastone, così entrambi potevano controllare quando la bilancia era in equilibrio facendo scorrere i pesi sull’asta graduata. Quasi un rituale della vendita.

Da notare sulla bicicletta il doppio fanale, una banalità ma con la cesta davanti al manubrio il fanale superiore non avrebbe illuminato la strada e spesso si arrivava a casa dopo il tramonto, occorreva per forza un fanale basso.

La bici di Giorgio del pollivendolo è quella che si diceva un biciclon, una bici pesante con il passo di catena molto lungo, una bici da lavoro robusta, rinforzata in ogni sua parte, costruita su richiesta da un artigiano. Meno bella di quelle fatte su una base di fabbrica ma molto meno costosa e, soprattutto, chi l’ordinava ne seguiva l’intera lavorazione adattandola completamente alle sue esigenze. Am son fat far al biciclon, diceva.   

 Questa bicicletta e la testimonianza diretta di Giorgio ci riporta molto indietro negli anni. Anni da molti sconosciuti di una vita dura, un lavoro spesso basato sulla forza fisica che lasciava ben poco spazio a qualsiasi altra cosa. Tempi di iniziativa e di creatività ma anche di stenti e di sacrifici, solo un paio di generazioni distanti da noi, radici da cui deriviamo.

Nel prossimo capitolo  – La bicicletta dell’arrotino (Al muletta)

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