Il matrimonio – Tradizioni e superstizioni nella Bassa Modenese

Commenti (0) Racconti

640px-Matrimonio_1929

……Finalmente, con o senza il vestito bianco e il tradizionale velo che in parte copriva il volto della sposa, arrivava il giorno del ma­trimonio, una festa per almeno due famiglie e per un imprecisato numero di amici e di invitati, sempre troppi, a giudizio di coloro che dovevano sobbarcarsi le spese del lungo e laborioso pranzo di nozze. Ma in genere non si andava in trattoria o al ristorante, si ri­mediava tutto in casa.

Nella stragrande maggioranza dei casi il rito del matrimonio re­ligioso doveva svolgersi nella chiesa del paese della sposa o co­munque nella sua parrocchia. Cambiare parrocchia poteva essere il segnale visibile di qualcosa da nascondere. Nel giorno delle nozze la puntualità era d’obbligo per quanto concerneva lo spo­so, la sua famiglia, i parenti e gli amici di lui che dovevano pren­dere il loro posto in chiesa, dove attendevano la sposa che entra­va nel tempio a braccetto del padre.

La sposa era puntualmente in ritardo, poiché aveva sempre qualche ultimo dettaglio da sistema­re. In assenza del padre, ne faceva le funzioni un fratello maggio­re oppure il parente più stretto, come uno zio o un cugino. Guar­dando l’altare, sul primo banco a destra stavano i genitori dello sposo, con gli amici e i parenti alle loro spalle, ma sempre nel primo banco potevano sistemarsi anche i bambini piccoli. Sul lato sinistro veniva parcheggiata la famiglia della sposa, con i genitori nel primo banco.

Durante la cerimonia religiosa la sposa non doveva assoluta­mente mettere i guanti che andavano posati sull’inginocchiatoio: erano sconsigliati anche i gioielli, i braccialetti o altri anelli, mentre erano ammessi solo piccoli orecchini, che avevano il compito di il­luminare il viso. Se l’abito della sposa era provvisto di uno strasci­co molto lungo, erano d’obbligo le piccole damigelle che, secondo gli antichi Egizi (e anche romani) avevano l’importante funzione di scacciare o di tenere lontani gli spiriti maligni che avrebbero potu­to rovinare la festa.

Dopo il fatidico sì, lo scambio delle fedi e il rituale bacio, i no­velli sposi uscivano dalla chiesa, accompagnati dai genitori, ricor­dando che il padre della sposa doveva stare accanto alla madre dello sposo e viceversa. Poi la rituale pioggia di riso, ma anche di pasta alimentare e di fiori. Poi la sposa doveva gettare il suo bou­quet fra la gente e se era una ragazza a raccoglierlo, anche per lei erano imminenti le nozze, entro l’anno.

Inutile dire che il giorno del matrimonio, sia una volta che at­tualmente, è un giorno di grande importanza, un giorno da ricor­dare per sempre. Ma attenzione: se è vero che il buongiorno si ve­de dal mattino, nei tempi passati venivano adottati molti accorgi­menti per far sì che il matrimonio fosse il più felice possibile. Per­ché anche in questa occasione le tradizioni (o se volete, le super­stizioni) erano parecchie. Tanto per cominciare, era meglio se si trattava di un giorno di pioggia, in omaggio al vecchio proverbio “Sposa bagnata, sposa fortunata”. Ma non bastava: nello stesso mo­do in cui un antico proverbio dice che il buongiorno si vede dal mattino, se la sposa si svegliava al mattino delle nozze al canto de­gli uccelli, oppure, meglio ancora, se trovava un piccolo ragno fra le pieghe del suo bianco vestito, il matrimonio nasceva con il pie­de giusto.

Il classico velo, dove possibile, doveva essere preso in prestito da un’altra donna felicemente sposata, affinché la prosperità, la fe­licità e la fertilità potessero facilmente passare da una donna all’al­tra. Ma in molte case si usava il velo di famiglia, nel senso che esi­stevano famiglie tradizionali che si tramandavano di generazione in generazione preziosi e antichi veli da sposa, come veri e propri tesori di famiglia.

Una cosa assolutamente da non fare, perché portava sfortuna, era mostrare al futuro sposo l’abito bianco prima della cerimonia; il promesso sposo poteva vederlo soltanto in chiesa. Non solo, ma la stessa sposa non avrebbe nemmeno dovuto guardarsi riflessa nello specchio; tuttavia, se proprio non riusciva a resistere a que­sta forte tentazione, poteva farlo a condizione di togliersi una scar­pa o un guanto oppure una calza. Ma anche lo sposo doveva stare attento perché, per evitare problemi, in quel giorno fatidico, dove­va scendere dal letto mettendo a terra prima il piede destro. Ed era anche meglio se infilava per prima la scarpa destra.

Restava naturalmente sempre valido il vecchio adagio secondo cui “né di Venere né di Marte non si sposa né si parte”, perché il martedì era il giorno dedicato a Marte, dio della guerra, e nessuno degli sposi aveva bisogno di guerre, mentre il venerdì – secondo la cabala – era il giorno in cui furono creati gli spiriti maligni, i quali, come tutti sanno, sono sempre in agguato.

A proposito di “sposa bagnata, sposa fortunata”, vi è da aggiun­gere che l’acqua che scende dal cielo portava bene, mentre invece le eventuali lacrime della sposa prima del fatidico sì non erano gradite. La giovane doveva attendere la conclusione del rito, a di­mostrazione tangibile del fatto che non era una strega. In chiesa, poi, era necessario non far cadere a terra le fedi nuziali e tanto meno dimenticarle a casa: sarebbe stato un segno evidente di tra­scuratezza e di scarsa voglia di compiere il grande passo. Del bou­quet abbiamo già accennato, fortunata la ragazza che lo prendeva al volo.

Ultima tradizione (o superstizione) riguardava il letto matrimo­niale: era usanza che venisse approntato la sera prima delle nozze dalle mani caste di ragazze nubili, ma anche questo non sembrava garantire notti tranquille, tenuto conto del vecchio proverbio che asseriva: “Sposati e vedrai, il sonno perderai e più non dormirai”. Il proverbio non precisa se per colpa del marito troppo focoso o per colpa di qualche figlio poco incline a rispettare il riposo not­turno della madre.

Altra tradizione antichissima è quella della torta nuziale: al tem­po degli antichi Romani l’usanza voleva che la madre dello sposo offrisse una pagnotta di farina di grano alla sposa e poi a tutti gli invitati, mentre i Greci donavano agli dei dolci al miele o al sesa­mo affinché fossero benevoli nei confronti degli sposi.

Solo agli inizi del Novecento è apparsa la torta nuziale di color bianco e a più piani, sormontati (in modo un po’ kitch) dalle due statuine raffiguranti gli sposi. La torta si è sempre gustata verso il termine del banchetto nuziale che, sempre per tradizione, doveva essere ricco di numerose portate.

Nel prossimo capitolo: Il pranzo nuziale

Tratto da: Antiche tradizioni mirandolane

Autore Giuseppe Morselli

Edizioni Bozzoli

Anno 2006

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *