Confini parrocchiali e cura delle anime nel 700 – Un caso limite da Disvetro (Cavezzo)

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Parte iniziale della curiosa annotazione nella stesura autografa del parroco di Disvetro. Pag.68 libro morti B (1689-1759) Archivio Parr.Disvetro

disvetro

CONFINI PARROCCHIALI E CURA DELLE ANIME NEL 700
UN CASO LIMITE DA DISVETRO (CAVEZZO)

Ancora nel XVIII secolo aveva notevole importanza la definizione del­l’estensione giurisdizionale delle parrocchie rurali dal punto di vista pretta­mente pastorale, oltre che della corretta gestione dei benefici parrocchiali e delle fonti di reddito derivanti dai residenti subordinati. Di qui l’esigenza di tracciare confini ben precisi delimitanti le rispettive competenze, confini che, tuttavia, non sempre erano sufficienti ad evitare l’insorgere di liti e di­scussioni. Il « fatto » seguente dimostra appunto quanto fosse labile ed in­sufficiente qualsiasi demarcazione fisica se non veniva suffragata dalla intel­ligenza e dalla buona volontà degli uomini.

I due litiganti, rispettivamente parroci di Motta e San Possidonio, tras­sero motivo di discordia da un comune, anche se drammatico, fatto di cro­naca: la morte violenta per caduta da cavallo, avvenuta il 9 maggio 1719, di un certo Maurizio Magnani di Disvetro (località ora in comune di Cavezzo) che la sorte volle finisse la propria esistenza a cavallo — scusate il bisticcio di parole — della linea di confine che divideva non solo il territo­rio modenese dal mirandolese, bensì due parrocchie dipendenti da diocesi diverse. I due contendenti, evidentemente spinti più da venale interesse pe­cuniario (cioè dal profitto derivante dall’officiare le esequie) che da carità cristiana, vennero a lite violenta disputando a chi spettasse l’onere (o l’ono­re?!) di dare cristiana sepoltura al meschino.

Le laboriose trattative addivennero ad un logico compromesso, frutto — a quel che ci è dato intendere — più della inderogabile e comprensibile necessità di provvedere con urgenza alla sepoltura che della fattiva volontà dei due contendenti. Il poverino ricevette dunque degne esequie sia dai due litiganti che dal parroco di Disvetro del tempo, che suggellò la triste vicenda seppellendo il cadavere nel proprio cimitero ed elevando il fatto agli onori della cronaca, ricavandone memoria a pag. 68 n. 420 nel libro B dei morti (1689-1759) della parrocchia di Disvetro.

Ecco dunque quanto scrive il suddetto parroco:

“Die 11 may 1719 – Mauritius de Magnanis maritus olim Joannae de Septis super equum sedens ac currens velocissime iuxta flumen Situle ad arginem de Fantis ex eo precipitavit ac inde mortuus est nullo refectus Ec- clesiae Sacramento; eiusque cadaver sepultum fuit in cemeterio Ecclesiae Sancti Johannis Baptistae Disvetri, absolutis super illud debitis exequiis per me infrascriptum. Ego Joseph Pederzani Rector.

 Maurizio Magnani, marito della fu Giovanna Setti, andando a cavallo e correndo veloce­mente sull’argine Fanti lungo il fiume Secchia precipitò da cavallo e morì sul colpo senza po­ter ricevere nessun sacramento. Il suo cadavere fu sepolto nel cimitero della chiesa di San Giovanni Battista di Disvetro, dopo che io sottoscritto ebbi adempiuto le debite esequie. Io Giuseppe Pederzani Rettore.”

Sia noto a chiunque leggerà in avvenire che li 9 del mese maggio 1719, verso le 23 ore in circa, il prefato Maurizio Magnani veniva dalla Pioppa di Bottrighello  correndo sopra un cavallo per venire alla propria casa e nel discendere dall’argine Fanti cadette da cavallo e restò morto in un fosso che parte il confine Mirandolese e Modenese e parimenti la Parochia di S. Possidonio e della Motta, due Giurisdizioni secolari e due Diocesi diferenti cioè Regiana e Nonantolana. Al qual fatto furono chiamate la Giustizia di Modena e quella di Mirandola, come ancovi concorsero li due Parochi: quello di S. Possidonio e li altro della Motta.

Il corpo del cadavere era posto alla traversa del predetto fosso colli pie­di, gambe e la maggior parte del corpo verso la ripa di Modena e verso la Parochia della Motta e col solo capo verso la ripa della Mirandola e Paro­chia di S. Possidonio, per lo chè restò contrastato il cadavere da tutti due li Fori secolari e da tutti due li Parochi ancora, sopra la quale litte, o con­fronto, furonvi poste le Guardie Modenesi e Mirandolane guardando e cu­stodendo ciascuna delle medesime il cadavere e lo Stato del loro Prencipe; benché un solo Prencipe, cioè quello di Modena, regesse l’uno e l’altro Stato.

Dal Foro secolare dell’uno e dell’altro Stato fu accertato che la morte del controscritto Maurizio era accaduta senza offesa di nessuna persona es­sendosi attribuito il caso ad una vera e reale disgrazia. Solo restava la litte tra li due Parochi a cui di loro si dovesse il cadavere. Chi diceva al Paro­dio della Motta, come quello nella di cui Parochia era la maggior parte del corpo e chi diceva a quello di S. Possidonio, come quello che aveva nella sua Parochia la parte più nobile del cadavere cioè il capo.

Finalmente doppo li contrasti e le litti che furono infinite, si accordaro­no li due Parochi nella forma seguente cioè: che ogni uno de’ Parochi nel trasporto del cadavere ci avesse la propria croce nella sua parte e confini e che ogni uno avesse cotta e stola al collo, che il Parodio di S. Possidonio fosse il primo a intonare l’Antifona: « Si iniquitates » e che l’altro della Motta rispondesse: « …fmnt aures tuae intendente^… » e che il cadavere fos­se portato per la parte di S. Possidonio solo seguito da due Parochi ciascu­no però nella sua Parochia, e fosse consignato al Parocho di Disvetro nelli confini di tutti tre li Parochi.

L’accordo sudetto fu accettato da tutti tre li Parochi e fu determinata l’ora del levare il cadavere e tutti li tre Parochi furono avvisati, al qual in­vito non volse intervenire quello di S. Possidonio essendoli visto in esso di pregiudicare alla Diocesi di Reggio se avesse acconsentito e mantenuto e accettato l’accordo fatto et accettato, onde la mancanza sola del Parocho di S. Possidonio dissolse ogni accordo fatto et il cadavere restò insepolto un giorno di più con passione non ordinaria de parenti e confusione e scanda­lo di tutti li popoli circonvicini.

Finalmente il grande Iddio mosse il cuore al Parocho ostinato facendoli conoscere la lui indiscretezza et poca carità verso li poveri morti e che il non attendere parola meritava biasimo e vitupero, onde l’ostinazione si convertì in pietà e il giorno 11 Maggio sudetto si osservò il patto et accor­do di prima essendo restato il cadavere sepelito nel cimitterio di S. Giovan­ni Battista di Disvetro con lacrime e pianti di ogni popolo non solo per la prima disgrazia accaduta della morte, ma ancora per la riconciliazione de’ Parochi sudetti.

Voglia il grande Iddio che mai più accaddi un caso tale et occorrendo mai, sia avvertito ciascuno che troverà simil accidente a ritirare il cadavere o ad una o all’altra parte.

Giuseppe Pederzani

Tratto da:

La Bassa Modenese – Storia, tsadizione, ambiente

Quaderno 4

aNNO 1983

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