1970 1972 – Comincia una nuova era – Jugoslavia e Ungheria

Commenti disabilitati su 1970 1972 – Comincia una nuova era – Jugoslavia e Ungheria Storia dei presidi chirurgici Mirandolesi

Il primo viaggio di ricognizione lo facemmo insieme io e Bellini nel settembre del 1970 e toccò Jugoslavia, Ungheria, Romania e Bulgaria.Io venivo in treno da Graz (visita ad un perfusionista presso l’A.K.) a Zagabria, Gianni Bellini in auto dall’Italia.

Io da pochi mesi avevo scoperto la bontà della birra, che ben si sposava con le succulente carni locali e l’asburgica cucina. Per anni avevo bevuto solo acqua e cocktails a base di gin o vodka.

Fu nello stesso tempo un viaggio di lavoro, dove per la prima volta avevo l’opportunità di muovermi negli amati paesi orientali con un obiettivo commerciale, ma anche uno spasso unico,  data l’unicità di molti dei   personaggi con i quali entrammo in contatto.

La Dasco godeva allora, in questa volonterosa apertura e disponibilità finanziaria degli ospedali jugoslavi , di una posizione di predominio, poiché i primi pionieri del rene artificiale in quel paese erano per molti motivi legati a persone e realtà operative di ospedali italiani di prestigio, Milano, Padova , Verona ecc. dove la Dasco era presente dagli albori.

Le società jugoslave addette alle rappresentanze e alla importazione di prodotti ospedalieri erano numerose, di dimensioni  e capacità diversissime; spesso realtà presenti in una sola delle tante repubbliche, altre volte coprivano l’intero territorio della federazione. Avevano uffici molto caotici, dove la gente era abituata a lavorare ad orari per noi pazzeschi, e con grande dispendio di caffè, brandy e generi alimentari consumati sulle scrivanie.

Gli ospedali le vedevano come un male necessario e sia i medici che i funzionari di queste ditte cercavano di ritagliarsi un rapporto privilegiato con le aziende straniere, foriero di viaggi all’estero e regali.

1972 Gianni Bellini e il Prof. Vasile Jonovic responsabile nefrologia del più grande ospedale di Belgrado

1972 Gianni Bellini e il Prof. Vasile Jonovic responsabile nefrologia del più grande ospedale di Belgrado

Dialisi nel centro dialisi di Rjieka (Fiume) Jugoslavia

Dialisi nel centro dialisi di Rjieka (Fiume) Jugoslavia

dialisi nel centro dialisi di Rjieka (Fiume) Jugoslavia

dialisi nel centro dialisi di Rjieka (Fiume) Jugoslavia

Gianni Bellini già aveva a che fare con una di queste società a Zagabria, la Jugosanitarija, dove ricordo due personaggi, il direttore,Sig. Rajcevic, e il nostro promotore, Sig.Kusic.

Il primo, probabilmente per trascorsi poco chiari, viaggiava constantemente con il revolver in tasca; il cervello caotico devastato dal diabete, riusciva comunque a costruire  reti dove impigliare gli affari, che allora non mancavano, ma prevalentemente si preoccupava di intascare provvigioni “extra”, del tutto private e personali.

Data la sua indole ipocondriaca , cominciò a rivelarmi  tutta una serie di  ipotetici torti subiti da parte di Gianni Bellini (probabilmente con quest’ultimo avrà fatto in seguito simili discorsi nei miei confronti) e un giorno ce lo vedemmo persino arrivare in Dasco a Mirandola , a pretendere di riscuotere della fantomatiche provvigioni sue private e personali: Gianni Bellini giustamente si defilava e lasciava alle mie competenze diplomatiche il compito di risolvere queste penose situazioni.

Dasco gli fu anche “fisicamente ostile”. In una delle sue puntate a Dasco Mirandola, mentre era seduto in portineria e attendeva di parlare con il sottoscritto, un posacenere di cristallo si auto catapultò sulla sua testa, con conseguente ferita e sanguinamento. Sparì in seguito e non ne ebbi più notizie.

Il secondo, nostro referente diretto, che aveva la funzione vitale di tenere per noi i rapporti con gli ospedali, soffriva dello stesso morbo del suo capo, la sete esagerata di provvigioni, e non impiegò molto tempo per capire che io ero completamente sordo da quel lato.

Lui fino ad allora era stato necessario a Gianni Bellini, per tenere semplicemente i contatti nel territorio: nulla di più si poteva pretendere dal tipo. Io però avevo altri obiettivi, e in futuro infatti lo avrei scaricato, insieme al suo capo,senza rancori personali.

Inoltre , dovevo far breccia anche con la nuova linea prodotti per la cardiochirurgia,:c’era già un po’ di cardiochirurgia in Jugoslavija e il cardiochirurgo leader allora era il Prof. Papo, operativo nell’Ospedale Militare di Belgrado, nonché medico personale di Tito, nonché appassionato filatelico. Papo aveva un simpatico pappagallo in casa, che riconosceva la bussata del padrone e lo chiamava per nome prima ancora che entrasse. Io ovviamente volevo conoscere bene e tenermi stretti i clienti finali, e qui Kusic e Raijcevic non mi potevano dare nessuna assistenza.

In questo primo viaggio con Kusic  e Gianni Bellini conobbi una serie di figure di primo piano nell’ambito ospedaliero con le quali avrei poi lavorato per anni, a Lubiana (il prof. Luzar), a Zagabria (il dott. Hromadko), a Fiume (il dott.Zec e il prof. Franciskovic), a Spalato(il dott. Polic) e a Belgrado(il prof. Stefanovic). Altri vennero da varie città jugoslave in visita presso di noi in Italia ,in particolare presso l’ospedale di Verona, nostro faro e carta da visita prestigiosissima , su raccomandazione dei primi.

In genere un soggiorno in Jugoslavia diventava intollerabile dopo una settimana, e ciò che misurava la differenza tra gli export managers mosci e quelli tosti era la capacità di resistenza all’estero in condizioni non ottimali, cibo, compagnie, rapporti con una clientela molto primitiva.

I serbi in particolare con il loro carattere aggressivo (peggiorato anche dalla tinteggiatura politica , che era allora “anticapitalista di facciata”) rendevano la vita dura, anche perché tendevano a volerti evangelizzare e trasformarti in serbo, o almeno filo serbo.

Era ovvio trovare un  rifugio benevolo nelle zone più benigne, l’Istria, la Dalmazia e la città di Zagabria.

In Slovenia un certo risentimento antitaliano e austriacante era sempre palpabile, ma in caso di “nostalgia” per l’Italia era sempre possibile effettuare una visita lampo a Trieste e una cena all’italiana sul Carso, per poi ributtarsi nella mischia oltrefrontiera.

Con il nostro maturo collega zagabrese Sig. Kusic  attraversammo tutto il paese: Gianni Bellini si divertì a sottoporre il Sig.Kusic ad ogni tipo di angheria.

Kusic faceva colazione con frattaglie e zampetti di maiale e aveva la cattiva abitudine di stendere abiti sudaticci sul retro della macchina di Gianni Bellini per asciugarli. Kusic soffriva di mal d’auto e veniva sempre relegato sul sedile posteriore, poi doveva subire una guida speciale fatta di continue accelerazioni e decelerazioni che rendevano il suo viaggio un vero tormento.

Durante il viaggio sopramenzionato lo abbandonammo a Belgrado,  poi io e Gianni Bellini andammo a Novi Sad a trovare il nostro vecchio amico Guga Melkus (ginecologo all’Ospedale di Novi Sad, era figlio dell’ex-sindaco, una specie di sceicco plenipotenziario , a sua volta amico del veterinario Pozzetti di Mirandola, vicino di casa di Gianni Bellini) e proseguimmo per l’Ungheria.

La seconda parte del viaggio fu più spedita, anche se implicava attenzione ai visti, alla polizia presente ovunque e in generale al fatto che eravamo aldilà della “cortina di ferro”.

A Budapest conobbi la realtà organizzativa della Sandoz che, tramite una organizzazione statale locale, bene manovrava commercialmente. Il vecchio ex- proprietario della società che distribuiva la Sandoz anteguerra, il soldato asburgico Staud, più che ottantenne, bazzicava ancora l’ufficio, ma il vero timoniere era  lo scaltro Sig. Nizsalovszky, ebreo assolutamente non “ortodosso”, che si muoveva benissimo nell’ambiente ospedaliero e ministeriale ungherese fatto anche prevalentemente di ebrei, e presso la stessa società statale che importava prodotti ospedalieri , dove i quadri principali erano ebrei: lui  divenne estremamente importante per la introduzione dei nostri prodotti.

I prodotti cardio furono il nostro primo lasciapassare di prestigio in un paese che contava una vecchia e alta tradizione chirurgica,e provava  un’ansia profonda di svecchiamento;   il rene seguì dopo poco.

Io divenni rapidamente operativo in quel paese già all’inizio del 1971 e gli ungheresi erano compiaciuti della mia assiduità. Ovviamente anche lì vigevano gli accordi non scritti della Jugoslavia,e il coinvolgimento personale era fondamentale (nessuno lavorava per la gloria socialista).

Il paese aveva anche un suo fascino unico e la mia  intraprendenza commerciale caratterizzata dall’introduzione di prodotti ospedalieri innovativi si trovava a convivere con un ambiente estremamente accattivante.

Le immagini mostrano la dialisi nel centro dialisi di Rjieka (Fiume) Jugoslavia

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