Via Milazzo ( Franco Gambuzzi 21/5/2014)

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pianta amici e negozi 7

Sono ripassato di recente in via Milazzo e la cosa che mi ha colpito maggiormente è il silenzio.

Non una voce, un rumore, nulla.

La vita pulsante della città si è ormai trasferita altrove.

E la responsabilità non è solo del terremoto che ha colpito questa terra.

Da troppo tempo botteghe ed attività hanno abbandonato il centro storico, sono state costrette ad abbandonare quelle strade di cui erano un vero e proprio presidio di convivenza e condivisione umana. Mentre percorrevo questa mia vecchia strada ripensavo a quegli anni, per come i nostri giochi di allora fossero scanditi dai richiami delle nostre madri, dalle sgridate di qualcuno cui avevamo invaso gli spazi, dai rumori tipici delle officine e dei laboratori degli artigiani e dei bottegai che popolavano con noi quei luoghi. I ricordi affluiscono in modo disordinato e la memoria troppo spesso fallisce.

Lasciando la piazza, passando dal voltone, arrivo allo slargo dove Milazzo e Marsala si dividono, o sarebbe meglio dire, si congiungono. Questo slargo è chiamato, da sempre, “le Tre Zucchette” probabile nome di una antica osteria (o forse, molto più verosimilmente, la vecchia osteria si era chiamata così richiamandosi al tipico copricapo ebraico, magari ci abitavano tre rabbini).

Dove aveva il proprio laboratorio di falegnameria Adolfo Pollastri c’è una serranda chiusa. Ricordo come mi soffermassi spesso, davanti alla sua vetrinetta, a guardare le bocce da gioco, tutte di legno, con incisioni di fantasiosi ricami. Ai miei occhi di bambino la sua figura aveva assunto un ché di eroico, anche per i discorsi origliati tra i grandi, per il suo essere stato uno dei capi della lotta partigiana e questo mi giustifica il fatto che guardassi a lui con rispetto, e anche con un po’ di timore. Tanto che quando, giocando a pallone nello spiazzo, mi sentivo in dovere, magari dando sulla voce a qualche amico, di impedire che il pallone finisse contro i vetri della sua vetrina. A dire il vero non è che lui, con il suo atteggiamento molto riservato e discreto, facesse molto per mettersi in evidenza, anzi lo ricordo curvo sul tornio con gli occhiali sul naso, nel suo camice scuro. Questo mio timore reverenziale mi rimase anche quando, qualche anno più tardi, già più grandicello, grazie a mio zio Elmer, assistetti ad una rappresentazione di “Otello” nel palco che condividevano le loro famiglie, in Teatro Nuovo. Rispettosamente, mi ero seduto dietro e ricordo il mio meravigliato stupore quando mi fece sedere alla balaustra lasciandomi il suo posto.

Di recente ho visto in rete una vecchia foto risalente alla fine degli anni ’40, dove viene ripreso mentre, probabilmente parte di una delegazione, visita l’asilo nido di viale della Libertà (ex ONMI) durante la distribuzione dei pasti,in secondo piano, nella sua tuta da lavoro.

Sono consapevole di come ci si ricostruisca una personalissima immagine della propria memoria, probabilmente non sempre aderente alla realtà, tuttavia di lui mi è rimasto il ricordo di una persona di grande dignità ed onestà intellettuale che, dopo la stagione della ribellione e della lotta, è ritornato al proprio lavoro nel suo piccolo laboratorio alle “Tre Zucchette”

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