Un secolo di imprese – Mario Veronesi – 50 anni di biomedicale a Mirandola

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Mario Veronesi in apertura delle celebrazioni del 50° anniversario del biomedicale mirandolese (foto di Raffaella Brandoli)

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Non voglio assolutamente annoiarvi nel raccontare una storia che già conoscete ampiamente, descritta sia dal libro “La Plastica della Vita” sia dai giornali che si sono occupati del Distretto Biomedicale, che quest’anno compie 50 anni. Preferisco parlarvi delle innovazioni che abbiamo realizzato in questi 50 anni di continua attività nelle diverse società.

Nel 1962, quando ho iniziato a produrre nel famoso garage di casa con 3 operai, questi deflus­sori erano agli albori e non esisteva alcuna legislazione in materia. Abbiamo iniziato la produzione di tubi e raccordi utilizzando i materiali allora in uso all’industria alimentare, la più vicina al medicale, appoggiandoci ad officine esterne per l’estrusione e lo stampaggio delle materie plastiche. Nei primi mesi abbiamo sterilizzato i deflussori con il vapore e quindi eravamo condizionati all’uso del nylon per tutti i raccordi che dovevano reggere i 120° della sterilizzazione.

Da un esame eseguito su prodotti americani raccolti in occasione del mio primo viaggio negli Usa scoprimmo la possibilità di sterilizzare con un gas, l’ossido di etilene, sostanza ancora scono­sciuta alle ditte italiane che offrivano impianti per la sterilizzazione di prodotti ospedalieri, l’ossido di etilene era utilizzato nei mercati ortofrutticoli per la disinfestazione della verdura e della frutta. Artigianalmente trasformammo l’autoclave a vapore ed iniziammo l’utilizzo dell’ossido di etilene, prima puro, poi miscelato con Co2 affinando in poco tempo la tecnologia per poter sterilizzare a freddo e così utilizzare materiali meno costosi e più facili da stampare.

Colgo questa occasione per dirvi che da quando abbiamo iniziato l’utilizzo dell’Eto abbiamo sot­toposto periodicamente il personale che aveva contatti con questo gas ai controlli medici suggeritici dal medico della Montedison di Ferrara (fornitore del gas) ed eseguiti dall’ospedale di Mirandola. La serilizzazione Eto è stata una tappa fondamentale della produzione biomedicale. La sterilizzazione con Eto facilitò molto la produzione ed alla fine del 1963-inizio del 1964 avevamo già la possibilità di produrre qualche centinaio di deflussori al giorno ma dovemmo constatare che i fabbricanti di soluzioni, i nostri clienti, non ci lasciavano un margine ragionevole: volevano acquistare a 50 lire per rivendere all’ospedale al doppio, 100 lire. Capii subito che dovevo cambiare la politica commerciale offrendo i deflussori ai grossi Ospedali che fabbricavano al loro interno le soluzioni per ipodermo e fleboclisi. Questa politica comportò una proliferazione dei modelli da realizzare però ci consentì di fornire direttamente il consumatore con un margine interessante.

La Miraset, che aveva in me l’unico venditore, si qualificò in pochi mesi come un’azienda seria, flessibile e molto attiva che realizzava anche prodotti similari ma diversi dai deflussori che gli ospe­dali dovevano importare a prezzi, allora, molto onerosi. Così completammo la gamma realizzando aghi epicranici o a farfalla, sonde naso-gastriche, guanti sterili, provette sottovuoto sterili e trasfuso­ri per somministrazioni multiple. Tenendo personalmente i contatti con i farmacisti ospedalieri capii subito la grande opportunità di realizzare prodotti innovativi che mettevano l’azienda su un diverso piano rispetto a chi si limitava ad offrire prodotti standard.

Nel 1965 l’azienda aveva aumentato il giro d’affari, la società Miraset era stata liquidata e trasfor­mata nella Sterilplast con stabilimento produttivo a Medolla che a differenza di Mirandola era in area depressa, cioè offriva vantaggi fiscali. Proprio nei primi mesi del 1965 ricevemmo dal dott. Cuccia, direttore della farmacia dell’ospedale di Padova, la richiesta di circuiti ematici per emodialisi monouso sterili. Tali circuiti in minima quantità erano importati dall’Inghilterra a prezzi molto elevati.

Io restai un attimo perplesso in quanto:

  • il prodotto era molto diverso dai nostri standard;
  • comportava la realizzazione di stampi prototipi per un valore stimabile sui 20 milioni;
  • non c’era un mercato, ma solo un professore, Piero Confortini, che con un apparecchio importato, aveva ottenuto qualche risultato su pazienti nefropatici in fase acuta.

Mi feci presentare il prof. Confortini; mi feci spiegare nel dettaglio ogni particolare del circuito e rimasi affascinato dalla sicurezza che dimostrava nella terapia emodialitica realizzata con un rene del norvegese Kiil e un monitor preparato nel Regno Unito. D’altra parte, per me, l’ospedale di Padova era un cliente talmente importante che non potevo rifiutare di almeno tentare la realizzazione di questi circuiti. Accettai il rischio ed in 30/40 giorni realizzai i prototipi sterili da consegnare al prof. Confortini. Così è nata la emodialisi in Italia, così abbiamo iniziato l’acquisizione di una nuova tecnologia, così a Mirandola è nato il distretto biomedicale. Mentre assistevo alle prove dei circuiti su un paziente sottoposto ad emodialisi, mi convinsi che la tecnologia era abbastanza semplice, il rene Kiil non era protetto da brevetti ed il monitor era realizzato con una componentistica reperibile sul mercato.

Capii subito che per creare un mercato ai miei circuiti monouso avrei dovuto poter offrire all’ospedale un impianto di dialisi chiavi in mano. Era impensabile che un ospedale pubblico acquistasse il dializzatore in America, il monitor in Inghilterra e l’impianto idraulico da un fornitore locale. Nel mio intimo cominciai a pensare come convincere i miei soci ad investire l’utile della società, in questa nuova avventura che avrebbe cambiato completamente l’azienda, in caso di suc­cesso. Confortini era rimasto esterrefatto dal breve tempo impiegato per la realizzazione dei circuiti ed aveva capito la mia personale disponibilità a continuare con lui una piena collaborazione. Un fine settimana gli chiesi in prestito per 2 giorni il rene di Kiil e mobilitando giorno e notte l’officina di Carpi realizzammo un prototipo identico su lastra di plexiglass in quanto la Montedison non dispo­neva di lastre di Moplen con uno spessore di 25/30 millimetri pur essendo il Moplen un suo brevet­to. Il plexiglass presentava il vantaggio della trasparenza e consentiva di controllare visivamente il flusso ematico all’interno dei fogli di cuprofen. Le prove su paziente ebbero risultati positivi e da qui scaturì la decisione dei soci della Sterilplast di fondare la Dasco: divisione apparecchi scientifici. Continuammo l’attività all’interno dell’ospedale di Padova e dei pochi ospedali che si occupavano di dialisi: Parma, Pisa, Milano, Firenze e Roma.

Nel 1967 presentammo a Padova, ad un convegno, un centro di 9 posti letto che poteva dializzare contemporaneamente 9 pazienti a costi contenuti. Infatti il rimborso Inam per la dialisi con il Kiil fu concordato nel 1967 in 40.000 lire a trattamento. La dialisi all’inizio durava 12 ore e si ripeteva 2 volte alla settimana. Possiamo sicuramente affermare che la nascita del distretto è iniziata nel 1962 con i prodotti monouso generici, ma la vera madre di questo distretto è stata la dialisi, senza la quale Mirandola non sarebbe diventata nota in tutto il mondo.

L’azienda in tempi brevissimi diventò produttrice anche degli apparecchi scientifici in grado di depurare in circuito extracorporeo i nefro­patici e mantenerli ad una vita quasi normale. Fu uno sforzo grandissimo che ebbe successo grazie alla professionalità dei collaboratori che già avevo e che reperii in zona e qui mi fermo un attimo a ringraziare ancora una volta tutti coloro che hanno collaborato alla nascita ed alla crescita di questo distretto dimostrando professionalità, senso del dovere ed attaccamento all’azienda di appartenen­za. Un doveroso ricordo a chi non è più fra noi, come Carlo Gasparini, il cofondatore della società, e Romano Flandoli, il primo dei tecnici della dialisi, il padre della dialisi Dasco. Nel 1970 capii che i soci della Dasco non potevano sostenere lo sviluppo del mercato che già allora cominciava ad offrire nuovi prodotti quali i reni disposable di Alvav prodotti da Gambro e della Ronc Poulenc francese.

I nostri tentativi di rendere disposable il rene Kiil fallirono miseramente e il diffondersi della fistola arteriosa venosa consentiva l’utilizzo delle pompe ematiche che avrebbero poi portato a ridurre a 4 ore per 3 volte alla settimana i tempi di dialisi. Piuttosto che soffocare l’azienda per insufficienza finanziaria, preferimmo venderla alla Sandoz di Basilea, multinazionale farmaceutica che aveva tutti i mezzi necessari per darle un futuro. Dopo pochi mesi di gestione Sandoz, noi soci privati capimmo che non eravamo in grado di condurre l’azienda secondo le procedure della multinazionale e proposi una collaborazione esterna per la ricerca e lo sviluppo che avrei gestito con una nuova società, la Bellco, alla quale avevo associato i miei più stretti collaboratori che aspiravano ad una maggior indipendenza professionale: Carlo Gasparini il socio di sempre, Alessandro Calari, Libero Luppi, Romano Flandoli, Giorgio Garutti, Gianni Bellini, Carlo Bellini, Claudio Trazzi, Lucio Gibertoni.

Contemporaneamente avevamo progettato una nuova linea di prodotti per emodialisi che avrem­mo realizzato nella nuova società Bellco.

Detta linea era innovativa rispetto ai prodotti allora fabbricati dalla Dasco e prevedeva:

  • un preparatore di soluzioni dialitiche individuale che non necessitava di impianto di sterilizza­zione in quanto aveva un circuito monouso per la preparazione del liquido di dialisi: l’Unimat venduto in oltre 5.000 esemplari negli anni a seguire;
  • una pompa ematica a due teste brevetto del Prof. Ringoir di Gent che consentiva la dialisi con un solo ago;
  • filtro a rotolo singol pass che ne consentiva l’utilizzo su tutti i monitor Dasco già installati in Europa il Vita 2, venduto in oltre 1.000.000 di pezzi;
  • nuovi modelli di circuiti artero-venosi.

Il contratto di collaborazione con Dasco non andò a buon fine e Bellco si trovò di nuovo sola sul mercato. Anche allora, nel 1972, benché la terapia emodialitica fosse agli albori rispetto ad oggi ed i trapianti di là da venire come routine, il prodotto innovativo aveva un’importanza basilare. Lo dimostra il successo ottenuto al Congresso di Vienna del 1973 dalla nuova linea di prodotto Bellco che offrivano vantaggi tecnici rispetto ai prodotti della Dasco.

E qui devo fare una considerazione: come allora anche oggi, benché il mercato sembri saturo, l’innovazione è di importanza basilare per l’introduzione di nuovi prodotti.

A dimostrazione di quanto valga l’innovazione, voglio sintetizzare la storia di una ditta locale la Redax, fondata dal mio ex-socio Lucio Gibertoni, che ha lavorato con me in Dasco-Bellco-Dideco e Dar. Nel 2000 ha iniziato un’attività nel settore dei drenaggi post operatori che è andato a produrre a Trapani per usufruire di vantaggi finanziari offerti dalla Regione Sicilia. Dopo 12 anni di attività ha sviluppato una linea di prodotti innovativi che può produrre automaticamente in un nuovo stabili­mento produttivo realizzato nel Comune di Poggio Rusco per la convenienza del prezzo del terreno.

La cifra d’affari realizzata nel 2011 è stata di 12,5 milioni di euro. I drenaggi di vecchio modello che ancora vende in qualche ospedale vengono prodotti da un terzista indiano. Questo caso dimostra che nel 2010 come 50 anni fa c’è ancora la possibilità di realizzare prodotti innovativi, ma ci vuole dedizione alla ricerca e contatti continui con gli utilizzatori sanitari che bisogna seguire nelle loro necessità giornaliere. Nessun cliente viene in ufficio, bisogna non stancarsi di frequentare ospedali. C’è anche un certo rischio economico in quanto sbagliare è abbastanza facile ma si deve perseverare nella ricerca del meglio rispetto al prodotto esistente.

lo non ho fatto un’analisi accurata sull’attività delle piccole medie aziende che operano nel nostro distretto ma in generale possiamo affermare che i nostri costi sono compatibili soltanto con la produzione di prodotti innovativi o prodotti automatizzati. Questo già lo dissi al Ministro Bersani nel 2001 in Comune a Mirandola.

I prodotti Bellco ebbero un notevole successo sia in Italia che in Europa ma nel 1976 per ottenere un appoggio finanziario dall’Eni, indispensabile per sostenere lo sviluppo della società, dovemmo cedere la maggioranza delle azioni mantenendo però una gestione abbastanza autonoma.

Gli amministratori dell’Eni capirono subito che i nostri risultati si ottenevano solo con la nostra gestione, infatti quando nel 1982 noi vendemmo la totalità delle azioni, dopo poco vendettero la Bellco alla Sorin che la tenne nel suo gruppo fino a qualche anno fa, quando la cedette alla società indipen­dente che l’ha gestita fino a pochi giorni fa, quando è stata acquistata dal gruppo Montezemolo.

Nel frattempo i soci Bellco avevano costituito una nuova società, la Dideco, che realizzò tre linee di prodotti tutti molto innovativi rispetto al mercato Europeo:

  • ossigenatori e circuiti di Cec per interventi di cardiochirurgia:
  • sistemi per l’autotrasfusione intraoperatoria;
  • sistemi per plasmaferesi e separazione dei componenti ematici.

Erano prodotti destinati ai perfusionisti ed ai centri trasfusionali.

Non appena mi proposi come produttore di un ossigenatore a bolle, progettato dai nostri tecnici ed assemblatore di circuiti per Cec, ricevetti la visita degli allora pionieri della chirurgia cardiaca, da Perenzan a Pellegrini e tanti altri ancora, che non credevano ai loro occhi nel vedere una produzione di qualità con applicati tutti i controlli di sicurezza possibili. Ognuno ci chiedeva un modello diverso compatibile con le pompe in sua dotazione.

Presentammo i nostri prodotti prima in Italia poi nei vari centri Europei, affidandone la distribu­zione all’American Hospital Supply con la quale mi teneva i rapporti un mio vecchio collaboratore belga. Una flessibilità sui modelli e uno stretto controllo della qualità ed una modicità di prezzi rispetto ai prodotti americani, in poco tempo ci fece acquisire il mercato dei circuiti e solo una parte di quello degli ossigenatori in quanto il mercato era nelle mani delle grandi aziende americane che organizzavano i congressi di chirurgia cardiaca ai quali tutti gli europei chiedevano di essere invitati.

Eravamo l’unica azienda Europea che produceva ossigenatori e circuiti Cec e molti non volevano credere che una ditta Italiana potesse offrire una tecnologia sofisticata quale l’ossigenazione del sangue in Cec.                       “

Sempre all’interno della Dideco un altro gruppo di tecnici realizzò gli apparecchi ed i circuiti monouso sterili per la separazione dei vari componenti ematici con la forza centrifuga.

Non appena scaduto il brevetto detenuto dalla Marina Militare statunitense che riguardava un sistema per separare dal solvente i globuli rossi conservati a -98° in azoto liquido, noi realizzammo in plastica questi contenitori inizialmente di acciaio e potemmo offrire un sistema che serviva a:

  • lavare i globuli rossi recuperati dal campo operatorio per ritrasfonderli al paziente;
  • separare il sangue nei vari componenti: plasma, globuli rossi, globuli bianchi e piastrine, e sostituire la parte ammalata o prelevare dai donatori la sola frazione interessata.

Furono entrambe tecniche di successo che in pochi anni entrarono nella routine ospedalie­ra. Dideco sviluppò l’autotrasfusione in quanto più legata alla chirurgia cardiaca ma non investì sull’aferesi e dopo alcuni anni dovette abbandonare la linea della quale era stata la prima ed unica fabbricante in Europa. Questo dimostra che anche i prodotti più innovativi vanno supportati dall’op­portuna ricerca di prodotti migliorativi rispetto a quelli iniziali per fronteggiare la concorrenza che prima o poi arriva.

Oggi Dideco vende nel mondo oltre 500.000 ossigenatori all’anno pari a circa il 50% del consumo totale di questi prodotti.

A questo punto è doveroso riconoscere quanto abbiano contribuito le multinazionali allo svilup­po delle vendite di Dasco, Bellco e Dideco ed ai relativi investimenti produttivi e logistici. Non credo assolutamente che se le stesse aziende fossero rimaste di proprietà di investitori privati sarebbero state in grado di far fronte alla concorrenza delle multinazionali del settore.

Nel 1986 vendetti la Dideco al gruppo Pfizer la grande farmaceutica americana già proprietaria della Schily, fabbricante di ossigenatori, che per primo investimento a Mirandola costruì una palaz­zina uffici, meravigliandosi degli spartani uffici della gestione Veronesi.

Acquistai una quota del 40% della società Darex costituita dal mio ex socio Gibertoni e dai col­laboratori Deserti e Ganzerli per costruire attrezzatura per l’emodialisi e la Cec. Avevo il progetto di creare una linea di prodotti monouso sterili per anestesia e rianimazione.

A quei tempi gli anestesisti utilizzavano tubi tracheali di gomma rossa con cuffia in lattice e tubi di neoprene con raccordi in acciaio per trasferire i gas.

Tutti gli altri presidi erano in gomma o silicone tutti autolavibili e risterilizzabili.

Molte aziende avevano campionato tubi corrugati di politene ma gli anestesisti diffidavano della tenuta e non si staccavano dai loro standard. Occorreva un prodotto innovativo ma sicuro.

Cominciai a realizzare un tubo in Pvc con l’esterno corrugato e l’interno liscio per evitare i vortici f dei raccordi in Pvc flessibili saldabili chimicamente al tubo.

Presentai un’abbondante campionatura al prof. Torri che era il responsabile nella commissione UHI della certificazione dei circuiti per anestesia e rianimazione. Mentre Torri sottoponeva i campio­ni a tutte le prove più assurde che lo convinsero ad omologarli, noi avevamo sviluppato su consiglio del prof. Damia un filtro antibatterico autoumidificante sterile, l’Hygrobac, che consentiva l’utilizzo dello stesso circuito per l’intera seduta operatoria su più pazienti. Oggi le vendite annue di Hygrobac raggiungono i 30 milioni di pezzi.

Visto il successo di circuiti e filtri venne realizzata una gamma completa di circuiti monouso per anestesia e la rianimazione per adulti, bambini e neonati. Abituammo con tantissimi campioni questa categoria di medici all’utilizzo del disposable che apprezzarono sia per la qualità, l’affidabilità, la praticità d’uso e i prezzi contenuti. In pochi anni creammo un mercato, sia in Italia che in Europa, che non esisteva.

Nel 1993 vendetti la Dar alla Mallinkrodt americana e continuai a gestirla personalmente fino al 2000.

Per darvi un’idea della forza della multinazionale sui mercati. Nel 1993 Dar fatturava 40 miliardi: 20 in Italia e 20 in Europa. Alla fine del 2000 Dar, sempre gestita da me, fatturava 120 miliardi: 40 in Italia e 80 nell’export.

E qui vi confermo l’estrema importanza che hanno avuto e che avranno le multinazionali nello sviluppo di questo distretto.

Continuando il mio iter di imprenditore alla Starmed, dove da 10 anni sto creando un mercato a caschi per la ventilazione non invasiva, che rappresenta un’alternativa alla maschera facciale ed essendo a-traumatici consentono trattamenti prolungati e quindi più efficaci. Anche il casco è stato ed è un prodotto innovativo di un certo successo.

Ora Starmed appartiene alla multinazionale Intersurgical, che ha filiali dirette in tutta Europa.

Concludo la mia relazione con un incitamento ai giovani a perseguire con costanza e metodo la ricerca di nuovi prodotti, che nel nostro settore sono la base di un sicuro successo, e ringrazio chi mi ha seguito in questi 50 anni.

Mario Veronesi

Copertina e impaginazione: Alessio Bignozzi – Tipolito Salvioli

I documenti pubblicati sono di proprietà di: Centro Studi numismatici e Filatelici di Mirandola

Anno 2013

Leggi anche: “Storia dei presidi chirurgici mirandolesi”Autore : Giorgio Goldoni

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Guarda la video-intervista al Dott. Mario Veronesi realizzata dal giornalista Guido Zaccarelli.

 

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2 Responses to Un secolo di imprese – Mario Veronesi – 50 anni di biomedicale a Mirandola

  1. Libero montagna says:

    Ho conosciuto Flandoli come insegnante Itp all’istituto tecnico, appena costituito a Mirandola. Molto preparato, molto competente e molto esigente. Per i primi apparecchi per la raccolta di plasma, dall’Avis vennero i primi volontari per il collaudo. Nel libro i 50 anni del Galilei, un serbatoio di tecnici del biomedicale, c’è anche un lungo articolo del Dr. Veronesi. Chi fosse interessato al libro può chiedere al prof. Balboni o al prof. Chiarotti.

  2. Libero montagna says:

    Un articolo del Dr. Veronesi si può leggere anche sul libro per i 50 anni dell’istituto Galilei. Nell’articolo emerge sempre il problema atavico, ma ancora attuale, della viabilità.

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