Un pilota ricorda – Scusi, vado bene per di qua?- VI Capitolo

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VI Capitolo

Scusi, vado bene per di qua?
Una nuova elica fà ora bella mostra di sé sul delta ed ho controllato uno per uno tutti i bulloni presenti. Continuo i voli senza timori.Prendo l’abitudine ogni volta che sorvolo il Panaro ed il Secchia di seguirne il corso. E’ un modo come un’altro per rompere la monotonia del paesaggio della bassa modenese. Mi metto ad una decina di metri di altezza sopra ed al centro degli argini e seguo fedelmente le anse e le curve del fiume fino a che non arrivo ad un paese. Sono quindi costretto a lasciare il percorso perchè per legge agli ultraleggeri è fatto divieto di sorvolare i centri abitati, e io sono sempre molto rispettoso nei confronti dell’autorità costituita; bèh, quasi sempre. Infatti anche la quota di volo è regolata dalle disposizioni date dall’Aeroclub d’Italia dal quale dipendiamo. Nei giorni feriali non possiamo superare i 150 metri di quota e nei giorni festivi ed il sabato i 300 metri. Questo per non rischiare incontri ravvicinati con gli aerei militari che a loro volta non potrebbero scendere al di sotto di tali quote. Uso il condizionale a ragion veduta.

Stavo gironzolando senza una meta ed assolutamente rilassato sul mantovano oltrepo. All’epoca disponevo di un unico strumento che ritenevo molto utilie, un altimetro barometrico che immancabilmente regolavo prima di ogni decollo. Era abbastanza preciso e me lo fissavo alla coscia destra con un nastro di feltro ogni volta che partivo per un volo.

Quel giorno segnava 130 metri ed io ero tranquillisimo e, nell’assenza assoluta di turbolenze, mi godevo il volo osservando il paesaggio che scorreva sotto di me.

Lontano, verso nord, tra una leggera foschia dovuta ad una combinazione di umidità e smog, si intravvedeva il grande fiume.

Con la coda dell’occhio noto un movimento alla mia sinistra. Mi giro appena in tempo per scorgere due F-104 che mi passano a circa 300 metri di distanza ed alla mia stessa quota. E’ un attimo. Giusto il tempo di pensare che di solito viaggiano in formazione di quattro, ed ecco che altri due mi sorpassano in tromba. Sempre alla mia quota, uno a destra ed uno a sinistra ad una cinquantina di metri dalle estremità delle mie ali.

Per evitare di finire nell’aria turbolenta provocata dal loro passaggio, accelero al massimo ed in pochi attimi mi ritrovo a 500 metri di quota fuori portata della loro scia.

Mi ci vogliono almeno cinque minuti per recuperare la calma ed il ritmo normale del respiro.

Adoro gli aerei militari ed in particolar modo gli F-104 e non spreco un’occasione per poterli vedere da vicino, ma così mi pare un tantino eccessivo. Qualche anno più tardi avrò persino l’occasione di sedermi dentro la cabina di pilotaggio di uno Starfighter, ma di questo incontro ne avrei fatto volentieri a meno.

Il tre dicembre, una giornata primaverile, si va in volo io, Giancarlo e Giovanni. Andiamo a far visita di cortesia a Camposanto.

Circuitiamo intorno al locale campo di volo ma non vedendo nessuno ci dirigiamo verso Ravarino atterrando sulla pista lunghissima, oltre mille metri.

Al bar del posto incontriamo alcuni piloti di Camposanto. Sono venuti a prendere un caffè, poi andranno a Cento di Ferrara; decidiamo di seguirli. Decolliamo e facciamo rotta verso est. Ci sono già stato una volta a Cento, ma una volta lasciato il Panaro i punti di riferimento sul terreno sono molto scarsi e se ci dovessi andare da solo non so se lo troverei.

Dopo meno di mezz’ora arriviamo ed atterriamo dopo il consueto circuito. Siamo venuti il giorno giusto. Stanno festeggiando non so cosa e per l’occasione friggono patatine, gnocchi fritti, salsicce ed altro ben di dio.

Dopo i saluti di rito, ci invitano ad unirci alla compagnia; non ce lo facciamo ripetere due volte ed iniziamo ad ingozzarci come maiali. Sono sicuro che si sono poi pentiti dell’invito elargitoci tanto a cuor leggero. Tra una salsiccia e due parole il tempo passa in fretta. A pancia ormai piena noi “sanfeliciani” decidiamo di tornare.

Decollo per primo e contrariamente al solito non aspetto gli altri impostando la rotta verso il sole calante. La direzione presa dovrebbe nelle mie intenzioni portarmi sul Panaro e seguendolo arriverei a Camposanto. Purtroppo la rotta presa non è compatibile con le scarse cognizioni geografiche che ho della zona, ma questo naturalmente lo scoprirò poi. Dopo un tempo che sospetto essere troppo lungo, arrivo in vista del fiume.

Compio una virata di 360 gradi per vedere dove sono gli altri ma mi accorgo che intorno a me non c’è nessuno. Dove saranno finiti? Non sono così veloce da lasciarmeli tanto indietro. Penso tra me che forse hanno fatto una deviazione oppure, conoscendo la zona meglio di me, hanno preso una rotta più diretta. Scrollo le spalle e mi metto a seguire il Panaro. Il volo prosegue tranquillo ed il tempo passa, ma di Camposanto non vi è l’ombra. Anzi, seguendo il fiume ho dovuto correggere la rotta decisamente verso sud il che mi è parso parecchio strano. Ora ho il sole alla mia destra e non dovrebbe essere così. Qualche dubbio comincia ad affacciarsi alla mia mente e dopo oltre mezz’ora dal decollo inizio a preoccuparmi seriamente. Il sole sta calando e la sera si avvicina trascinandosi appresso il buio, cosa fare?

Tornare indietro dubitando di aver raggiunto il fiume avendo già oltrepassato Camposanto o proseguire sperando che i miei dubbi siano campati in aria? Non so decidermi di prendere una decisione, poi un paese appoggiato al Panaro arriva a togliermi dall’imbarazzo. Decisamente non è Camposanto! Cerco nei cassetti della mia memoria la topografia del territorio della bassa modenese ed arrivo alla conclusione di trovarmi a Bomporto. Voglio però esserne sicuro e decido di atterrare in un campo vicino ad un casolare per chiedere informazioni. Suono il campanello ed appare una persona che cortesemete mi conferma di essere a Bomporto. Rngrazio sentitamente e decollo avendo ora le idee più chiare. Prendo quota e mi metto a seguire il fiume nella direzione contraria con l’intenzione di arrivare a Camposanto e da lì a S. Felice quando un delta mi appare all’orizzonte ed in men che non si dica mi raggiunge. Lo riconosco immediatamente, è Paolo di Camposanto. Mi fa ampi cenni e mi invita a seguirlo. Lo vedo attraversare il corso d’acqua ed atterrare nel locale campo di volo che io non avevo notato per la totale mancanza di attività. Lo seguo ed atterro.

“Ma dove sei finito? Ti stanno cercando tutti!” Resto di stucco, non mi pare una situazione tanto tragica. Gli spiego gli avvenimenti, ma lui taglia corto impaziente e mi dice di seguirlo senza perderlo di vista. Esagerato! Decolliamo e mi accodo. Lascia subito il Panaro e prende una rotta diretta attraverso la campagna che apparentemente non presenta alcun punto di riferimento. Rimugino tra me che avevo già risolto la situazione, quando girando lo sguardo verso sinistra mi rendo conto che il sole sta tramontando. Le preoccupazioni tornano a farsi largo e capisco che se avessi seguito il fiume come era mia intenzione sarei arrivato a Camposanto col buio e se mi fosse andata bene avrei dovuto atterrare là.

Una ventina di minuti dopo il decollo arriviamo in vista della ceramica che si trova a circa due chilometri a sud del campo e finalmente poso le ruote sulla pista di casa quando è ormai buio. Un’altro paio di minuti ed avrei avuto bisogno delle luci di atterraggio che noi ovviamente non abbiamo. Mi è andata bene.

In questi primi mesi di volo l’esperienza mi sta insegnando un sacco di cose. Tutti mi corrono incontro e mi subissano di domande sul tipo: “Ma dove sei finito?” “Ma ti sembra l’ora di tornare?” “Ho una bussola in più, la vuoi comprare?” “Ho una vecchia carta stradale, la vuoi?” Ecc …, ecc …

Le due solite bottiglie di Brachetto mettono fine per il momento agli sfottò. Ma per parecchi giorni, ad ogni mio ritorno al campo dopo un volo solitario, immancabilmente trovavo un buontempone che mi chiedeva: “Ma lo sai dove sei stato?”

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