Un pilota ricorda – I primi contrattempi – III Capitolo

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2 - Deltaplano a motore

 I primi contrattempi.
11 giugno 1.989. Inizia la mia attività di pilota. Monto l’ala sul carrello, faccio il pieno di miscela ed effettuo accurati controlli prevolo. Decollo e mi godo oltre mezz’ora di volo senza allontanarmi dalla zona del campo. Mi diverto da matti e non vorrei mai scendere, ma la sera incombente non mi lascia alternative. Smontata l’ala e riposto il carrello mi ferma Lucio. “Ti sei divertito stasera, eh? Credevo non volessi più tornare giù. Tutto bene, ma ti consiglio di provare molti atterraggi, devi padroneggiarli completamente.” Lo tranquillizzo assicurandolo che non mancherò.

Una settimana dopo torno al campo. Mi preparo al volo e memore del consiglio dell’istruttore decido di compiere vari atterraggi. Effettuo il primo e va tutto bene. Un’ altro voletto e di nuovo atterro. Non capisco cosa devo migliorare, tutto mi viene alla perfezione, non la minima sbavatura. Forse è troppo prudente. Ridecollo, effettuo la virata per liberare il sentiero di discesa e vedo arrivare al campo Lucio. Penso tra me: -Ora gli faccio vedere come atterro. Viro di nuovo, rifaccio il circuito ed inizio la discesa. Perdo quota dolcemente, motore al minimo, comandi leggermente spostati in avanti. Sto pensando che dopo questo ennesimo atterraggio mi godrò un po’ di volo in santa pace … ma che succede? Un pilota a terra sta correndo a perdifiato nella mia direzione sbracciandosi disperatamente.

Mi risveglio dai miei sogni ad occhi aperti e schiaccio giù tutto l’acceleratore spostando nel contempo i comandi tutto in avanti. Il delta tocca terra a pochi centimetri dal ciglio del fosso, ma la potenza del motore a tutto gas (che dio lo benedica) mi fionda immediatamente verso l’alto e sorvolo i nuovi hangars in costruzione a meno di un metro. Riprendo quota, mi allontano dalla pista ed attendo un paio di minuti per permettere al cuore di riprendere il ritmo abituale. Calmatomi, torno in circuito ed atterro con la massima attenzione e concentrazione.

Meritatissima lavata di testa da parte dell’istruttore e prima lezione impartitami dall’esperienza diretta. Nei 1.409 atterraggi che seguiranno non troverò mai un secondo di tempo per pensare ad altro che non sia l’atterraggio stesso, per quanto facile potesse apparire. Mai il vecchio detto “sbagliando s’impara” fu più appropriato.

La costruzione dei due nuovi hangars termina prima della fine di giugno e finalmente posso mettere al coperto il mio mezzo. Per oltre un mese faccio esperienza volando sulla zona del campo e compio le prime brevi trasferte intorno a Mirandola e Quarantoli. Il tempo si mantiene sul bello stabile ed il vento non è mai troppo forte né fastidioso. Daltronde se le foglie degli alberi “ridono” io non vado in volo. Alla fine di giugno compio la mia prima “lunga” trasferta. Siamo invitati come club a Bevilacqua per la locale sagra paesana. Decolliamo di primo pomeriggio con un discreto caldo che provoca fastidiose termiche. Le affronto per la prima volta e so già che non mi piaceranno affatto. Il volo è movimentato come mi aspettavo, ma i salti subiti ogniqualvolta entro in una termica non sono poi così terribili come mi sarei aspettato. Preferirei comunque volare in un’atmosfera più rilassante. All’atterraggio una piccola termica mi costringe ad abortire il primo tentativo. Atterro allora dalla direzione opposta e parcheggio il delta nella zona adibita all’uopo. Per oltre due ore ci ingozziamo di gnocchi fritti, salumi e salsicce ai ferri, ma non perdendo mai di vista i velivoli. Abbiamo dato il permesso agli indigeni di osservarli da vicino con la preghiera di non toccare niente, ma fidarsi ciecamente non lo riteniamo molto salutare. Riempito lo stomaco, decidiamo di andare a far visita al campo di Cento di Ferrara. Decolliamo, effettuiamo un passaggio a bassa quota per ringraziare dell’ospitalità e ci mettiamo in rotta. La temperatura è calata di qualche grado e le termiche sono sparite, il resto del volo me lo godo tutto. Arriva agosto. Nel periodo estivo non decollo mai prima delle 18.00 per evitare la turbolenza, ma anche così a volte il vento mi gioca scherzi antipatici. Il due agosto il tempo non è un granchè. Il cielo è coperto e c’è una leggera brezza, ma non minaccia pioggia. Decido di fare un voletto in quel di Camposanto. Sono solo cinque minuti di volo e se peggiora posso tornare in fretta o al limite atterrare nel locale campo di volo. Parto e constato con piacere che la brezza non dà particolari fastidi. Mentre volteggio osservando l’attività a terra, mi accorgo che la manica a vento segnala un rinforzo del vento. Torno alla base. Mi ritrovo con un forte vento laterale, fortunatamente costante e non a raffiche, che mi fa volare di traverso. Niente di preoccupante ma anzi divertente. Per dare un’idea, prendiamo il quadrante di un orologio. Il vento proviene da ore tre, il velivolo punta la prua verso ore due, ma procede con rotta ore 12. Una sensazione particolare. Arrivo al campo e mi immetto nel circuito di atterraggio. Sono a circa cento metri di altezza e quando inizio il sottovento (tratto parallelo alla pista, ma in direzione contraria che mi porta all’altezza della testata pista) ho un forte vento in coda. Non riesco a perdere molta quota e dopo la virata mi ritrovo in finale con un’altitudine eccessiva. Non riuscirò ad abbassarmi a sufficienza per effettuare l’atterraggio, anche perchè ora ho il vento contrario che mi sostiene, quindi decido di abortire e ripetere il circuito. Stavolta lo inizio ad una quota inferiore e non ho problemi. Tocco terra dolcemente a metà pista ad una velocità estremamente ridotta e questo mi salva da guai seri. Dopo i primi due sobbalzi sulle asperità del terreno, la forcella della ruota anteriore si spezza di netto ed il trave inferiore del carrello si pianta a terra facendo leva e obbligando il delta a rizzarsi e appoggiarsi alla prua dell’ala. La forza cinetica, grazie alla bassa velocità, non è sufficiente a far ribaltare il velivolo che si immobilizza sull’attenti. Ho spento immediatamente il motore, ma mi trovo a faccia in giù trattenuto dalle cinture di sicurezza ed impossibilitato a liberarmi da quella scomoda posizione. Presto arrivano i miei amici che hanno assistito all’evento e raddrizzano il delta. Posso così liberarmi dalle cinture e scendere con le gambe tremolanti. Dopo averli rassicurati sulle mie condizioni fisiche, controllo i danni. A parte la forcella tutto il resto, compresa l’ala, è integro e non presenta segni di lesioni; sono stato abbastanza fortunato. Più tardi un esame più approfondito mi svelerà che la rottura non è dovuta ai continui colpi presi nei sobbalzi durante rullaggi, decolli ed atterraggi come avevo ipotizzato in un primo momento, ma ad un utilizzo nella costruzione del mezzo di materiale scadente. Durante la riparazione mi accerterò che non venga commesso lo stesso errore. La tradizione del campo vuole che incidenti incruenti o errori veniali vengano bagnati con l’offerta di due bottiglie di Brachetto; mi adeguo volentieri. La notte ho un sonno agitato ed il giorno dopo mi sveglio con un dolorino al fianco. Mi reco al pronto soccorso dove mi diagnosticano la frattura composta di due costole. Oh beh, tanto ho il delta in officina e non potrei volare comunque. Riprendo i voli quindici giorni dopo e per un paio di mesi tutto procede tranquillo. Effettuo alcune trasferte in compagnia di altri piloti ed inizio così a conoscere gli altri campi vicini. Atterro per la prima volta a Quarantoli dove mi festeggiano allegramente e mi invitano ad andare a trovarli in qualunque momento. Imparo anche ad inseguire i treni. Il tratto ferroviario Bologna-Verona passa a poco meno di un chilometro dal nostro campo e al suo fianco non vi sono ostacoli di rilievo per un lungo tratto. Circuito appena fuori S. Felice con la locale stazione in piena vista. Quando vedo partire un treno mi abbasso ad una ventina di metri, lo affianco e lo accompagno fino al momento in cui prende velocità e mi lascia indietro. Spesso i macchinisti mi salutano col suono della sirena ed io rispondo agitando le mani. Anche i passeggeri a volte si affacciano ai finestrini agitando le braccia. E son soddisfazioni! Ho già effettuato il mio primo fuoricampo (atterraggio in un campo non adibito a tale scopo) ed il 22 settembre decido di andare a trovare un amico che abita poco fuori S. Prospero e che possiede un piccolo appezzamento di terreno che coltiva. Proprio dietro la sua casa un campetto coltivato ad erba spagna si presta perfettamente alla bisogna. Viste dall’alto le cose sembrano spesso quello che non sono. La campagna modenese appare pulita, ordinata, divisa in lotti ben precisi. Con l’esperienza si possono distinguere le varie coltivazioni e capire di quale produzione si tratti e persino a quale altezza arrivino le varie erbe e piante. Ma per l’appunto, occorre l’occhio allenato dall’esperienza. Arrivo sul posto ed inizio a circuitare a bassa quota osservando bene la zona. La linea elettrica più vicina si trova ad una distanza di sicurezza e gli alberi presenti sono ben lontani dalla linea di volo. L’unico vero ostacolo è la presenza di un piccolo canale che confina col campo, ma valuto che il rischio non sia eccessivo e solo una sfortunata coincidenza di una piantata di motore nel preciso momento sbagliato potrebbe creare seri problemi. Terminata la ricognizione passo a fianco del campo per portarmi all’atterraggio e noto come l’erba spagna sia molto lussureggiante. Tutto quello che riesco a pensare è che l’amico avrà un ottimo raccolto. Viro allineandomi al campo ed inizio la discesa col motore al minimo e concentrato al massimo. Pochi attimi prima di toccare mi rendo finalmente conto che l’erba è troppo alta, ma ormai è tardi. E’ l’atterraggio più corto che mi sia mai capitato di effettuare. Mi fermo in meno di quattro metri e mi ritrovo immerso nella vegetazione alta più di mezzo metro. So già che il decollo sarà problematico. Scendo e mi dirigo verso la moglie dell’amico che attratta dal rumore del motore è uscita di casa e mi sta venendo incontro. Lui non c’è e dopo alcune frasi di circostanza saluto e mi appresto a decollare. Innanzitutto cerco di valutare la situazione. L’erba alta frenerà parecchio la corsa di decollo e non sono sicuro di riuscire a prendere abbastanza velocità per staccarmi da terra. Penso di avere tre opzioni. Trovare un altro campo da cui partire, attendere il mio amico e fargli falciare una striscia d’erba sufficiente per il decollo, oppure tentare così e sperare in bene. Mi guardo intorno, ma non c’è modo di spostare il delta se non smontando l’ala, inoltre il campo più vicino non è affatto vicino. Lascio perdere la prima opzione. La moglie mi ha detto che il marito tornerà verso sera, addio anche alla seconda. Decido per un paio di tentativi alla va o la spacca. Mi preparo. Casco, avviamento, cinture. Accelero al massimo tenendo frenato il mezzo, poi rilascio i freni e parto … si fa per dire. Neanche cinque metri e sono di nuovo fermo. Scendo, testardo come un mulo, giro il delta e riprovo. L’elica, la cui estremità si trova a circa trenta centimetri dal terreno, sega l’erba allungandomi ad ogni tentativo la striscia di decollo. Dopo nove tentativi mi ritrovo con una pista lunga una quindicina di metri ed al decimo mi ritrovo in aria finalmente libero. Faccio un passaggio a bassa quota per osservare i danni prodotti poi prendo la rotta per il campo. Quando atterro, gli altri piloti restano a bocca aperta; enormi ciuffi d’erba sono impigliati in ogni anfratto del velivolo. Qualcuno mi chiede se ho fatto una bassa quota troppo bassa, altri vorrebbero sapere perchè l’ho mimetizzato e uno vorrebbe avere un preventivo per la falciatura del proprio prato. Le risate si sprecano, anche da parte mia, almeno fino a quando non mi rendo conto delle condizioni in cui si trova la mia povera elica. I bordi d’entrata delle pale sono seghettati e questo spiega le leggere vibrazioni che percepivo durante il volo di ritorno. Fortunatamente uno dei piloti è un ottimo falegname. Gli consegno l’elica e me la restituisce il giorno dopo come nuova. Il mio amico non se l’è presa per i danni subiti, però si rifiuta categoricamente di pagarmi per la falciatura adducendo come scusa che non era tempo e che l’erba più che tagliata era stata macinata. Altre volte sono atterrato su quel campo e su molti altri, ma sono sempre stato molto attento nel valutare l’altezza dell’erba e le condizioni in genere del terreno. Ma tutto questo è già storia di ieri; tempo due giorni e la sorte non sarà più così benigna.

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