Un pilota ricorda – Bullone volante – V Capitolo

Commenti (0) Un pilota ricorda

4 - Ciò che è rimasto dell'elica

Capitolo 5

Bullone volante.

La nuova ala non è niente male ma come la precedente è lentissima, circa 45 km/h. E’ più grande e pesante e a terra è più ingombrante da gestire, sia per quanto riguarda il montaggio/smontaggio ed il trasporto a spalla, sia per le manovre in rullaggio. Ben presto ci faccio l’abitudine anche se sono spesso costretto a chiedere l’aiuto di qualcuno per trasportarla fuori e dentro l’hangar.

Per quanto riguarda la bassa velocità non è un problema in quanto non ho mai cercato la prestazione pura, ma quando un amico mi fa provare il suo mezzo attrezzato con un’ala Kronos da tredici metri quadri capace di superare i novanta all’ora, una pulce mi entra nell’orecchio. Quando non sai cosa perdi le cose sono molto più semplici. Ora ho un bel cercare scuse per motivare la scarsa velocità, alcune delle quali sono peraltro giustificate, ma seppure non eccessiva la febbre mi è entrata in circolo. Cerco così un modo per provare la sensazione del vento in faccia e dei moscerini sui denti. Non mi ci vuole molto per risolvere il dilemma senza cambiamenti drastici. In realtà si tratta di un placebo, ma molto efficace se non si hanno troppe pretese.

Sto volando per i fatti miei senza un itinerario preciso o mete da raggiungere, quando una lampadina si accende e se non sono svelto a spegnerla mi arriva una bolletta astronomica. Sono a 150 metri dal suolo ed ho un’ampia visuale. Mi metto ad osservare attentamente il terreno sottostante e dopo pochi minuti trovo ciò che sto cercando, una striscia di campagna senza apparenti ostacoli. Mi abbasso ad una trentina di metri e sorvolo detta striscia per tutta la sua lunghezza esaminandola attentamente. Non vi sono coltivazioni elevate, niente alberi o recinzioni o cavi di nessun genere, solo piccoli fossati ogni tanto che delimitano i vari campi. Dopo circa tre chilometri passo su una statale, ma la striscia continua subito dopo per almeno altri quattromila metri, è perfetto per quello che ho in mente. La sorvolo di nuovo tornando indietro per non lasciare nulla al caso ed assicurarmi di non essermi fatto sfuggire qualcosa. Al termine sono soddisfatto della ricognizione e mi accingo a mettere in opera la mia idea. Mi porto all’inizio della striscia e comincio la discesa come se stessi atterrando ma mantenendo alta la velocità. A cinque metri da terra stabilizzo il volo, quindi accelero gradatamente tirando verso di me la barra e mi abbasso ulteriormente fino a circa mezzo metro dal suolo. Eccola qua la velocità, o meglio l’illusione. 45 km/h orari a pochi centimetri da terra ed il gioco è fatto. Finalmente il mondo mi sfila accanto rapidamente e non è più immobile come sembra dalla normale quota di volo. Qui la noia non è di casa e l’attenzione e la concentrazione devono essere costanti. E’ rigorosamente vietato distrarsi. Mantenere una quota così bassa è faticoso e snervante, ma ne vale la pena. L’adrenalina scorre a fiumi, sono elettrizzato. Arrivo in men che non si dica alla statale. Senza modificare la pressione sul pedale dell’acceleratore, sposto leggermente in avanti la barra e mi alzo quel che basta per saltare la strada e la linea telefonica che la fiancheggia, poi tiro di nuovo indietro i comandi e riprendo la quota precedente. Mi piace questa nuova sensazione ed alla fine, dopo aver ripreso una quota di sicurezza, mi riprometto che quando le condizioni lo permetteranno ci riproverò.

Riprendo i voli soliti. Vado a trovare in volo amici e conoscenti atterrando, quando il terreno lo permette, nei pressi delle loro abitazioni o semplicemente facendo basse quote per salutarli. Visito spesso i campi di volo limitrofi e faccio conoscenza con vari piloti. Poi arriva l’otto novembre. E’ una giornata splendida; non freddo, sole primaverile e non una bava di vento.

Arrivo al campo col mio vespino e non perdo tempo in chiacchiere, giornate così non sono molto frequenti. Apro l’hangar, spingo fuori il carrello e per prima cosa faccio il pieno di miscela, dopodichè mi accingo ai controlli prevolo. Inizio come sempre dalla ruota anteriore controllando bulloni e cavetti del freno e dell’acceleratore, poi giro intorno al carrello da destra osservando e testando con le mani la tenuta della bulloneria e la presenza degli anelli di sicurezza. Anche le due candele devono essere ben salde e la marmitta deve avere un minimo di gioco per ammortizzare meglio le vibrazioni, specialmente ai bassi règimi del motore. Metto l’elica in posizione verticale e controllo che non vi sia gioco tra essa e l’albero motore. Terminato il giro rientro nell’hangar, mi carico sulle spalle l’ala e la porto fuori camminando di lato e stando bene attento a non sbattere contro qualcosa con le estremità. La posiziono di fronte al carrello, quindi la controllo. Bulloneria interna, stecche e cavi d’acciaio. Ora posso montarla. Abbasso la piantana (il grande tubo verticale del carrello alla cui estremità superiore è fissata l’ala) e la posiziono con accuratezza tra le piastre dell’attacco ala/carrello, quindi fisso il tutto col bullone di ferro di 14 x 1 cm.

E’ un bullone molto importante. In effetti è l’unico elemento che tiene insieme l’ala ed il carrello.

In realtà vi è pure un cavo d’acciaio di sicurezza, ma nel malaugurato caso di rottura del bullone non permetterebbe una manovrabilità del mezzo sufficiente per evitare di precipitare, ma solo di evitare un contatto troppo violento col terreno. Vi sono poi due correnti di pensiero riguardanti il bullone. C’è chi lo preferisce d’acciaio perchè metallo più duro e chi come me di ferro perchè se sottoposto ad uno sforzo eccessivo si piegherebbe anziché spezzarsi. La questione, tuttora irrisolta, lascia il tempo che trova visto che non ho mai sentito di un incidente dovuto a questo motivo.

Alzo finalmente l’ala e fisso la piantana. Spingo il delta nella zona di parcheggio e blocco le ruote posteriori con due zeppe. Ora manca solo il riscaldamento del motore. Alcuni piloti hanno montato l’accensione elettrica, molto comoda ma che aumenta il peso e la manutenzione e dimenticando che il vecchio saggio dice: “Ciò che non c’è non si può rompere”. Posiziono l’acceleratore a mano poco sopra il minimo, afferro saldamente la maniglia dell’avviamento a strappo, urlo “via dall’elica” e tiro con tutte le mie forze. Naturalmente il primo tentativo fallisce, ma è normale. Al secondo il motore parte con un rombo e l’elica inizia a girare vorticosamente. Mi siedo sul sedile, tolgo l’acceleratore manuale e manovro quello a piede per raggiungere i girimotore necessari. In meno di tre minuti tutto è compiuto. Non mi resta che abbigliarmi a dovere e partire. Indosso l’eskimo (solo più avanti avrò una vera tuta di volo invernale), indosso il casco, calzo i guanti e mi siedo sul sedile allacciando le cinture di sicurezza. Muovo di lato e avanti e indietro l’ala per controllare che i movimenti siano liberi e do un paio di sgasate. E’ tutto a posto, sono pronto.

Rullo verso la linea di decollo. Un’occhiata attorno per assicurarmi che non vi sia traffico in atterraggio, il cielo è libero. Dò tutto acceleratore, trenta metri di corsa poi la ruota anteriore si stacca da terra e punta verso l’alto trascinandosi dietro l’intero delta. Raggiungo una quota di sicurezza e viro a sinistra per liberare il circuito d’atterraggio. A 150 metri livello il volo ed effettuo un paio di virate per un ultimo controllo del mezzo. Ora sono pronto per godermi il volo.

Dove vado a gironzolare oggi? Andiamo verso Mirandola, poi vedremo. Passo tra S. Felice ed il polo industriale e faccio rotta per Medolla, qui viro verso nord e mi dirigo a Mirandola. Lascio la città alla mia sinistra e mi abbasso di un centinaio di metri per osservare la fabbrica in cui lavoro poi riprendo quota. Ora sto sorvolando la campagna che si trova tra Mirandola e Quarantoli. Sono indeciso se andare a trovare un amico che abita nei pressi di S. Giustina o se andare a far visita alla Banda Bassotti, nome con cui sono conosciuti i piloti di Quarantoli per la loro statura mediamente non eccelsa. Il fato decide per me.

Improvvisamente un forte botto sovrasta il rumore del motore e vibrazioni terrificanti iniziano a scuotere il deltaplano. Non ho nemmeno il tempo di avere paura o chiedermi cosa diavolo succede, la mia reazione è automatica. Riduco al minimo il motore e controllo velocemente che l’ala sia in ordine. Le vibrazioni sono diminuite leggermente e non vedo danni evidenti. Mi concentro allora sull’atterraggio d’emergenza ed in planata procedo verso un campo di erba spagna perfetto per la bisogna. Non c’è traccia di linee elettriche nella zona. Nonostante le forti vibrazioni, che mi preoccupano non poco, tocco terra senza problemi e spengo immediatamente il motore. Faccio un respiro profondo ed aspetto un attimo per permettere al cuore di riprendere il ritmo normale quindi slaccio le cinture e scendo. Vado verso il retro del velivolo, l’unica parte che non ho potuto controllare in volo. Ho l’elica quasi a brandelli. Non era molto vecchia e mi pare impossibile che possa essersi scollata. Decido di soprassedere per il momento e di concentrarmi sul ritorno al campo. A poco più di mezzo chilometro c’è una casa colonica, mi dirigo là. Suono il campanello e mi apre la razdora. Spiego in poche parole ciò che mi è successo e chiedo se gentilmente mi lascia fare una telefonata, non c’è problema. Chiamo il campo. Risponde Lucio. Racconto in breve le mie vicissitudini e dove mi trovo. Dice che entro mezz’ora mi porterà un’elica nuova. Ringrazio la gentile signora e torno al delta. Tempo venti minuti ed all’orizzonte si profilano due delta che vengono dritti nella mia direzione. Atterrano nei pressi e ne scendono Lucio, Giancarlo con in mano un’elica e Giovanni. Risate, pacche sulle spalle, qualche sfottò ed un attento esame dell’elica danneggiata. La punta di una pala è tutta frastagliata e ne mancano sei centimetri buoni. Esaminandola da vicino, Lucio mi fa notare alcuni segni orrizzontali proprio dove inizia il punto di rottura. Sono alcune piccole linee parallele nettamente incise sul legno.

“Sembra quasi l’impatto di un bullone.” afferma. Controllo immediatamente la zona del motore e scopro ben presto che manca uno dei quattro bulloni, delle dimensioni di 8 cm x 1,5, che ancorano il medesimo al telaio. Quando era stato rimontato il motore, dopo la riparazione del delta, evidentemente non era stata usata abbastanza loctite per bloccarli nella loro sede, visto che data la loro posizione non era possibile dotarli di fermi di sicurezza. A lungo andare, le vibrazioni ne avevano allentato uno che infine era ucito completamente dalla sua sede ed era finito contro l’elica riducendola in quelle condizioni. E mi era andata anche bene. Il bullone aveva colpito la pala in fase discendente ed era rimbalzato verso terra. Se l’avesse colpita mentre stava salendo, mi vengono ancora i brividi a ripensarci, avrebbe potuto distruggere l’ala facendomi precipitare da 150 metri, o peggio avrebbe potuto colpire me; casco, braccio, schiena, gamba, brrrrrrrrr…………………………………………………………….. !!!

A proposito del vecchio saggio di prima: “Tutto è bene ciò che finisce bene … e al diavolo ciò che avrebbe potuto essere.” Naturalmente vi sono anche i danni collaterali, le due immancabili in questi casi bottiglie di Brachetto.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *