Queste persone fecero di un piccolo paese un grande paese

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Queste persone fecero di un piccolo paese un grande paese

Il personaggio più importante del paese è sicuramente stato il dottor Giuseppe Molinari, medico condotto che curò molte generazioni, compresa la sottoscritta.

Faceva di tutto con l’aiuto di mia madre Oliva, che in caso di bisogno, chiamava dalla rete che segnava il confine tra le nostre case. La mamma si lavava le mani, si toglieva il grembiule e andava a tenere stretto il paziente, sia che il dottore operasse, togliesse un dente, o ingessasse.

A mia sorella Irene tolse una grossa cisti dietro ad un orecchio: un tuttofare della medicina!

Ricordo quando nacque mia nipote Agnese. La vegliarono per parecchie notti perché temevano non ce la facesse; fortunatamente andò tutto bene.

A primavera il medico le aveva prescritto iniezioni ricostituenti.

La piccola, quando vedeva il dottore, correva per tutta la casa, ma poi convinta saliva su una sedia e si coricava sul cassone della farina, pronta per essere ‘punta’!

Il dottor Molinari aveva una Balilla azzurra e appena poteva andava a caccia col suo cane bianco a macchie marroni. Il cane detestava Gino Salani; appena lo vedeva correva verso il cancello abbaiando, ma se trovava il cancello aperto cercava di morderlo alle gambe. Gino cercava di difendersi scalciando.

Altra persona di rilievo fu il dottor Galavotti, il farmacista.

Passava la maggior parte del suo tempo nel retro a confezionare e imbustare medicine che con molto scrupolo pesava su una piccola bilancia.

Era una persona cordiale, alto, magro, con gli occhiali sempre appoggiati sulla punta del naso.

La sua farmacia era conosciuta in tutti i paesi nei dintorni di San Martino. Anche durante il periodo della guerra lui riusciva a procurarsi le medicine e a non esserne mai sprovvisto.

Un brutto giorno, forse per un malore, finì nel fosso con la sua macchina e il suo posto fu preso dalla figlia primogenita.

Una persona meritevole di essere ricordata era il mugnaio che macinava il grano per fare il pane.

Mio fratello Ezio caricava la carriola con tre sacchi di grano e la mamma lo sgridava dicendo che si sarebbe rotto la schiena. Lui non dava retta e partiva con la carriola che cigolava sotto quel peso.

Il mugnaio si chiamava Clinto Brandani, era di Pilastri e aveva due figli, Ivonne e Ivano. Erano spesso da Cantù, Ivonne era amica di mia sorella Iginia e la nostra era per loro una seconda casa.

Anche la moglie Alice veniva spesso da noi appena ne aveva il tempo, era molto amica di mia madre. Il signor Clinto soffriva di artrite alle mani ma era un instancabile lavoratore, sempre tutto bianco di farina.

Perse la figlia a causa della meningite. Disperata, la madre veniva a casa nostra a cercare conforto.

Anche mia madre aveva perso una figlia di 18 anni, così cercavano di sostenersi a vicenda.

Ivonne venne sepolta a Pilastri, proprio vicino a mia nonna Burtulèta.

Quel povero padre non ce la fece più! E dovette lasciare il mulino.

Si trasferirono a Pilastri e dopo poco anche lui morì.

Noi restammo sempre in contatto con Alice e Ivano.

Di tanto in tanto venivano in bicicletta a prendere le medicine dal dottor Galavotti. Mentre il farmacista preparava le miscele lei restava a mangiare da noi. A sera se ne tornava a casa con le sue medicine e a noi restava un po’ di malinconia nel vederla andare via.

Un’altra persona che diede un contributo alla nostra comunità fu Albino Molinari, proprietario del negozio di scarpe. Anche lui aveva clienti da tutti i paesi vicini.

Era molto stimato, perché affabile e comprensivo anche con chi aveva difficoltà a pagare. “I soldi me li darete quando potrete!” diceva, così mantenne la sua clientela, che poi lasciò al figlio Valter.

E’ da ricordare anche il fratello del nostro dottore Giuseppe, il veterinario Paolo Molinari, che sposò mia cugina Gina, figlia della zia Duniin.

Restò in paese parecchio tempo, poi si trasferì a Mirandola.

Passò il suo lavoro al nipote Peppino, figlio di Darma sorella di Gina.

In un paese come San Martino non poteva mancare il mercante di stoffe, il signor Elti Poletti, anche lui molto conosciuto.

Il signor Poletti era molto gentile e paziente, tirava giù dagli scaffali pile e pile di rotoli pur di accontentare il cliente.

Ricordo quando andai con mia madre a comprare il mio primo cappotto, non ne avevo mai avuto uno bello, quello che avevo era fatto con una coperta che ci regalò un soldato americano.

Che gioia vedere tutte quelle stoffe srotolate sul banco!

Mi colpì una in particolare, ma mia madre disse che non si poteva perché costava troppo, e che non c’ero solo io nella nostra famiglia.

Il signor Poletti, mosso dalla compassione, dimezzò il prezzo della stoffa per farmi un regalo.

Persone come quelle ce ne sono poche.

Indispensabile a quei tempi era il meccanico delle biciclette: Idalgo.

Spesso e volentieri eravamo da lui, a dire la verità le nostre gomme e i copertoni avevano bisogno di frequenti riparazioni perché non ne avevamo tanto riguardo.

E’ stato molto importante anche il contributo dei parroci.

Nei miei ricordi il primo è Don Cesare. Non era tanto alto, un po’ trasandato, e con lui viveva Romilda, la fedele perpetua, piccolina, tutta gobba e molto simpatica. A quei tempi la nostra chiesa non era curata come adesso ed era dipinta di un grigio azzurro. All’interno c’era la nostra Madonnina col bambin Gesù in braccio.

Regalata dai Menafoglio di Mirandola, era sempre vestita a seconda del periodo liturgico, di viola durante la Quaresima, di oro e argento per il resto dell’anno.

Don Cesare restò a San Martino per parecchi anni, poi un giorno si ammalò e lo ricoverarono a Carpi all’arcivescovado, dove rimase fino alla fine dei suoi giorni.

Venne sostituito da un parroco che si chiamava Don Marino, alto, bruno, molto cordiale; la perpetua rimase lì con lui.

Avevo sette anni quando mio padre si ammalò. Don Marino venne da noi e chiese a mio fratello Ezio di poterlo incontrare.

Mio padre non voleva confessarsi, ma cominciarono a chiacchierare.

Ezio era seduto sul cassone della farina che si trovava sotto alla scala. Ad un certo punto mi disse: “Strano che stia su così tanto tempo…”. Alla fine Don Marino scese contento perché nostro padre gli aveva chiesto di essere confessato e lui gli aveva risposto che lo aveva già fatto anche solo scambiando due parole.

“Tutto qui?”, chiese stupito mio padre, che ricevette allora l’assoluzione dei suoi peccati e l’estrema unzione.

Così nostro padre se ne andò in pace, chiedendo perdono anche a nostra madre per averle fatto tanti torti. Lei lo perdonò.

Passarono gli anni, dopo Don Marino arrivò Don Sala, e Romilda la perpetua era sempre lì. Don Sala era pieno di iniziative e rifece tutto l’interno della chiesa; anch’io partecipai ai lavori per abbellirla.

Verso la fine degli anni Quaranta arrivò Don Oscar Martinelli, che rimase molti anni a Gavello Modenese e soffrì tanta fame, perché la parrocchia di Gavello era povera e gli abitanti davano ben poco alla chiesa.

Fece del bene a tutti ma ricevette molto poco.

Fu lui a sposarmi, e con mio marito gli facemmo una donazione che volle usare per aggiustare il campanile.

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Maria Traldi

Tratto da: Quaderni di San Martino Spino

Anno 2008

Illustrazioni di Francesca Cavani

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